Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 107
febbraio 1983


Rivista Anarchica Online

Un fuoco di paglia?
di Maria Teresa Romiti

«Una manifestazione così non si vedeva da anni!». Solo a Milano un serpente lungo sei chilometri.
Duecentomila persone hanno occupato il centro gridando la loro rabbia. Le piazze si sono riempite ovunque, con determinazione, anche con durezza. Non poteva essere altrimenti per una manifestazione voluta più dalla base che dai vertici, dilaniati da diatribe interne, preoccupati che la situazione sfuggisse loro di mano. Ma i blocchi stradali, le manifestazioni spontanee dei giorni precedenti, le contestazioni avevano fatto capire che la misura era colma, la rabbia poteva esplodere travolgendo tutti, sindacati compresi. Molto meglio rischiare, cavalcare la tigre incanalando l'energia che stava covando.
Una manovra non del tutto riuscita visto che gli operai sono scesi in piazza decisi, in alcuni casi dissentendo apertamente con il sindacato. C'era da chiedersi come mai, dopo che questi ultimi anni sono stati caratterizzati da apatia, sfiducia, sempre minor partecipazione. Quando qualsiasi provvedimento anche il più iniquo veniva accettato senza battere ciglio. Eppure motivi per arrabbiarsi non ne sono certo mancati: l'economia sull'orlo del collasso, l'inflazione galoppante, la disoccupazione che ha raggiunto livelli record e non accenna a fermarsi, uno stato che assomiglia sempre più ad una belva affamata, attacchi dal fronte padronale. Niente, tutto passava sotto silenzio.
Forse l'apatia, la rassegnazione erano più in superficie che reali, il malcontento covava sotto la cenere, incapace di esprimersi, soprattutto per la sfiducia verso sindacati e partiti che paralizzava l'azione. Poteva essere altrimenti? Erano anni che gli accordi passavano sopra le teste dei lavoratori, le assemblee erano state svuotate dei loro contenuti e manovrate in tutte le direzioni.
Una reazione più che comprensibile che alla lunga è diventata pericolosa anche per il sindacato. Anche la ricerca della cogestione, della mediazione si fa più difficile quando gli operai non ci stanno più. Ne ha approfittato la Confindustria buttandosi in un attacco tra i più decisi di questo ultimo periodo.
Ma alla fine, dopo l'ennesima stangata, il meccanismo inceppato ha ripreso a muoversi, il malcontento si è trasformato in rabbia, il mugugno in voglia di lottare. E' nata così la manifestazione nazionale del 18 gennaio che ha avuto un punto di forza, è vero, nel pieno appoggio del PCI, ma che è nata prima, dalla rabbia, dalla decisione di andare in piazza nelle fabbriche, tra gli operai stufi di essere presi in giro; il PCI, come al solito, ha preso la palla al balzo e si è tuffato a capofitto. Non è un caso che la consegna del silenzio, chiesta dai vertici sindacali, non sia stata seguita. Ancora più indicativo è stata a Milano l'accoglienza riservata ai militanti anarchici, scesi in piazza con gli studenti. In mezzo al corteo operaio, nonostante gli slogan contro sindacati e partiti, sono stati guardati senza ostilità, anzi, a tratti, con una certa simpatia.
Sono segni importanti di una rabbia ancora confusa, che forse non riesce a delineare un discorso coerente, preciso, le cui mete non sono del tutto chiare, ma che è presente, ha rotto il senso d'impotenza, la sfiducia totale, il rintanarsi che la paralizzava.
Purtroppo a far da contropartita alla vivacità della piazza c'è la chiusura, il 23 gennaio, di uno dei più brutti accordi sindacali che si ricordi. Al tavolo delle trattative si sono fronteggiati sindacati e confindustria; mediatore il governo, in una battaglia senza esclusione di colpi, che doveva decidere da che parte starà il potere nei prossimi anni. Sicuri sconfitti i lavoratori sulle cui teste è passato il gioco dei grandi. Così si cerca di far passare come vittoria dei lavoratori un accordo che prevede tra l'altro la riduzione del 18% della scala mobile (quella che non si tocca), aumenti salariali medi per l'83 di £25.000 (anche con le nuove aliquote fiscali meno di £20.000 in busta paga) e poco di più (35.000/40.000) per gli altri due anni, nessun possibile aumento economico nei contratti integrativi per almeno 18 mesi, mobilità massiccia, ritorno alla chiamata nominale, riduzione della cassa integrazione. E soprattutto il riconoscimento di una mitica professionalità che in realtà cela il ritorno alla selezione meritocratica.
Un vero requiem per le conquiste di dieci anni fa come involontariamente sottolineano le parole di Salustri, vice-presidente della Confindustria: «Abbiamo ottenuto una timida inversione di tendenza su tanti tabù dando minor peso alle indicizzazioni, rendendo possibili migliori controlli sull'assenteismo, riconoscendo la validità della chiamata nominativa, riaffermando che anche i miglioramenti aziendali devono restare all'interno dei tetti programmati di aumenti salariali, consentendo un sia pur debole riconoscimento della professionalità e del merito».
Rimane una sola grossa domanda: «Come reagiranno gli operai di fronte a questa ennesima presa in giro?». Le prossime settimane potranno dirci se abbiamo assistito solo ad un fuoco di paglia o se è nato qualcosa di più importante.