Rivista Anarchica Online
Il fattore K
di Mauro Suttora - LDU (Lega Disarmo Unilaterale)
Chi afferma che oggi in Italia esiste un movimento per la pace o è disinformato o è in malafede. Si
vada in Olanda, in Germania, in Gran Bretagna, per vedere cos'è un vero movimento per la pace,
con la gente che si «muove». In Italia c'è un «certo» movimento, qua e là; c'è un «falso» movimento (quello della marcia Milano-Comiso, che è stata in realtà una serie di manifestazioni del PCI per la penisola; quello dei comitati
fantasma per la pace, pieni di burocratini di partito riverniciati a nuovo, capaci solo di farla
scappare, la gente, con il loro noioso sinistrese). Ma, in definitiva, poco si muove. Lo dico con
dispiacere, perché io stesso cerco di far qualcosa per far crescere questo movimento rachitico, e
vorrei che la partitocrazia imperante e le lusinghe istituzionali non continuassero a soffocarlo. Ma
tant'è: i gruppi anarchici, la Lega per il disarmo unilaterale di Cassola, il Movimento nonviolento,
la Loc, il Campo internazionale e le leghe autogestite di Comiso (cioè tutti gli antimilitaristi), anche
se in crescita, coinvolgono ancora solo poche migliaia di persone in tutta Italia. Lo stesso le riviste
Senzapatria e Azione Nonviolenta. Perché? Quello che caratterizza l'Italia rispetto agli altri paesi interessati ai Cruise (che sono stati la molla
iniziale del movimento degli anni '80) è innanzitutto la mancanza di un grande organismo pacifista
indipendente dai partiti. In Gran Bretagna c'è il CND (Campaign for Nuclear Disarmament), con
250.000 membri. In Olanda c'è l'IKV (Consiglio interecclesiale per la pace), con più di 400 gruppi
locali attivi in ogni più piccolo paese. In Belgio ci sono il VAKA fiammingo e il CNAPD
francofono. In Germania Ovest il gruppo-ombrello possono essere considerati i Verdi, che per loro
fortuna non sono ancora un partito («E se non superate il 5% alle elezioni?» «Chi se ne frega, noi
esistiamo indipendentemente dal parlamento! Se poi ci entriamo, tanto meglio: andremo a far
casino anche lì dentro!»). Oltre ai Verdi, due altre organizzazioni aspirano ad un ruolo di
coordinamento del variegato e vitalissimo movimento tedesco: l'ASF, presieduta da un vescovo, e
l'AGDE. In Italia, niente di tutto questo. Intendiamoci, si sta parlando di pacifisti, non di antimilitaristi: cioè di gente che si oppone solo alle
armi atomiche, e non anche all'esercito. Ma il problema è che il PCI non è contro le armi atomiche.
Anzi, in realtà, non è neanche contro i Cruise: è «per la sospensione dei lavori a Comiso, come
contributo dell'Italia per le trattative di Ginevra», come ribadisce la Direzione del PCI in un
documento del 26 gennaio scorso, e come diceva l'appello della Milano-Comiso, tratto di peso da
documenti PCI (altro che intellettuali...). Per cui, fanno benissimo i comunisti - assieme alla loro
corrente esterna del PdUP - a tenere da ormai un anno e mezzo addormentato il movimento per la
pace italiano: se lo appoggiassero, magari noi correremmo il rischio di essere egemonizzati, ma le
posizioni inconsistenti del vertice PCI verrebbero spazzate via ... dal buon senso. Sì, perché è il
semplice buon senso ad indicare a tutti, ai vescovi cattolici americani, al Labour party inglese, ai
partiti socialisti olandese e tedesco, perfino alla DC olandese, posizioni più avanzate di quelle del
PCI: e cioè, disarmo unilaterale atomico e indifferenza diffidente verso le trattative USA-URSS di
Ginevra, che al massimo sanzionerebbero una nuova Yalta alle spese dell'Europa. Ma, si dirà, a noi antimilitaristi cosa importa occuparci di queste cose che riguardano i «pacifisti
atomici», che forse faranno anche gurra alla guerra, ma certo non alla pace sociale? Importa
moltissimo, perché in realtà la gente che partecipa alle dimostrazioni per la pace è molto più
radicale di coloro che si arrogano il diritto di rappresentarla (come l'END). In Germania, in
particolare, c'è da ormai 3 anni una situazione di vera e propria sovversione permanente, una
rivoluzione culturale ma anche pratica che ha creato un circuito alternativo a cui fanno riferimento
milioni di persone: occupanti di case, ma anche migliaia di iniziative culturali, sociali, economiche,
in ogni quartiere di ogni città, che fanno da supporto al movimento antimilitarista così come a
quello femminista, a quello ecologista e a quant'altri. E lo stesso in Olanda. Si ride in faccia a chi
propone di non uscire dalla Nato, perché sarebbe destabilizzante. Però, poiché l'unione fa la forza, e poiché noi ci opponiamo non ai puffi ma nientepopodimenoche
al «complesso militare-industriale» (eserciti, armi, fabbriche di armi, Nato e Patto di Varsavia, stati,
governi, culto della violenza), può anche servire partecipare alle iniziative di chi non ha il coraggio
di chiedere tutto subito, ma almeno qualcosa: il famoso primo passo, per cominciare, nel nostro
caso, a fare a meno delle armi atomiche. E infatti le donne del campo permanente di Greenham
Common, in Inghilterra, si sono battute affinché tutto il CND appoggiasse le proprie azioni dirette,
riuscendoci (cosa che, come ricorda Roussopoulos, non riuscì a Bertrand Russell negli anni '60). In
Olanda gli antimilitaristi anarchici di Onkruit e della «piattaforma radicale» litigano con i
perbenino dell'IKV e ne denunciano le posizioni più stupide (come quella di rafforzare l'armamento
convenzionale in cambio della rinuncia unilaterale al nucleare), ma si tratta di polemiche
costruttive, fra gente che si muove nella stessa direzione. In Spagna gli obiettori totali del MOC
sono presenti dappertutto, e così in Germania gli anarchici nonviolenti di Graswurzelrevolution
(«la rivoluzione dalle radici dell'erba», decentrata ed antiautoritaria) e Gewaltfreie Aktion («Azione
Nonviolenta»), che hanno organizzato le azioni dirette dello scorso 12 dicembre. Negli USA la
forte War Resisters League (che, assieme agli altri gruppi antimilitaristi che ho citato, aderisce alla
WRI, War Resisters International, l'Internazionale dei resistenti alla guerra, che ha un ufficio con
due persone a Londra) non disdegna di appoggiare la campagna veramente minimale del «Freeze»
con le proprie azioni di disobbedienza civile (di cui i gesuiti fratelli Berrigan e l'ex consigliere di
Nixon, Daniel Ellsberg, sono i fautori più intransigenti). In Italia, invece, molti antimilitaristi - specialmente gli anarchici e i radicali - si sono appollaiati su
di un Aventino un po' sterile, snobbando i pacifisti dell'ultima ora e lasciando spazio così alle
pseudo-iniziative di PCI & C. Certo, è impossibile collaborare con chi è parte integrante del
complesso militare-industriale, con chi pretende di fare il pacifista in piazza e di presiedere la
commissione difesa in parlamento (on. Vito Angelini, comunista, amico di tutti i generali): basta
leggere cosa scrivevano Claudio Venza («Rosso, rosa e grigioverde», 1978, ed. Interrogations) o
Roberto Cicciomessere («Italia Armata», 1982, ed. Gamma) per scoprire chi bluffa. Ma si tratta di affrontare intelligentemente questo «fattore K» (anche in Francia un forte PC
impedisce di fatto la crescita dei pacifisti spontanei) con la presenza, e non con l'assenza, perdendo
tempo in dibattiti accademici su violenza e nonviolenza. Perciò andiamo anche a Berlino in maggio
- come ci invita a fare Rossoupoulos -, anche se sappiamo che il problema non è tanto quello, in
negativo, di evitare la terza guerra mondiale, quanto quello, estremamente urgente, di intaccare
concretamente i concetti di difesa armata, e quindi di sovranità nazionale, e quindi di stato.
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