Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 108
marzo 1983


Rivista Anarchica Online

Pacifisti all'est
di Giuseppe Gessa

In un romanzo di fantascienza si racconta di una serie terribile di catastrofi provocate da un batterio che attaccava la plastica e la fondeva. Il batterio si era formato a causa del contatto tra alcuni microorganismi presenti nelle fogne e la materia con cui venivano costruite speciali bottiglie autodistruttibili prodotte da una grossa industria chimica. I ricercatori di questa industria, dopo alcune analisi, riuscirono a neutralizzare l'effetto del batterio. Il messaggio del libro appare chiaro: il terribile monopolio delle possibilità decisionali che detenevano i ricercatori, dopo aver provocato la catastrofe, solo loro potevano annullarla. Essi erano quindi, anche nella veste di benefattori, la rappresentazione del dominio. A Ginevra, sede delle trattative tra le superpotenze sulla limitazione delle armi strategiche, si rappresenta allo stesso modo la volontà dello Stato di confermarsi unica sede legittima per decidere dell'esistenza stessa dell'umanità. Le trattative non mettono in dubbio la legittimità etica della ricerca e della produzione di armamenti da parte delle potenze statali, ma si decide soltanto sulle modalità con cui devono essere prodotte. Si decide su una ripartizione delle sfere di influenza, sulla quantità e sulla qualità degli armamenti da installare, sull'immagine che ogni blocco riesce a darsi dinnanzi all'opinione pubblica. Il passo essenziale è compiuto: le trattative hanno acquistato il titolo di volontà di pace, lo Stato è diventato il luogo di decisione.
I movimenti pacifisti non possono non tenere conto di questi fatti nella lotta contro i pericoli di guerra, oppure rimarranno perennemente immersi nel pantano della legittimità istituzionale, nel gioco delle alleanze tra Stati, negli schieramenti pro o contro uno dei blocchi. In una logica come questa l'azione del movimento pacifista sarà annullata, proprio perché funge da legittimazione al monopolio delle decisioni da parte dell'istituzione.
La sconfitta del movimento contro la guerra degli anni '60 fu dovuta anche al fatto che i pacifisti non compresero che anche i paesi del non-allineamento erano portatori di un progetto di forte sviluppo bellico. L'ingenua contrapposizione terzo mondo-paesi industrializzati si rivelò uno sterile semplicismo. Gli aiuti economici che i paesi sottosviluppati ricevevano e ricevono tuttora, sono impiegati per la maggior parte in commesse di armi alle industrie americane, sovietiche od europee. Quella che poteva sembrare una semplice dichiarazione ideologica, è invece l'effetto obbligato delle azioni di un movimento per la pace non slegato dalle catene di partiti e ideologie del dominio.
Anche restringendo il nostro campo d'indagine all'Italia, con un movimento pacifista per la maggior parte ancora troppo legato a partiti e organizzazioni istituzionali, emergono tutte le lacune e le velleità di azione del pacifismo fine a se stesso. Agendo completamente immerse nei principi della sacralità dello Stato, le organizzazioni pacifiste trasformano una strategia di intervento contro la guerra e gli armamenti, in una tattica politica che privilegi l'uno o l'altro blocco, oppure proponga il progetto della terza forza europea, niente comunque che smascheri la vera natura del militarismo.
Una delle più grosse lacune che il movimento per la pace italiano dei mesi scorsi ha espresso è stata la sua incapacità di sviluppare momenti di mobilitazione che si rivolgessero contro il blocco militare dei paesi dell'est. Questa incapacità critica era certamente dovuta anche alla presenza nel territorio italiano delle basi militari della NATO e dall'installazione futura delle nuove basi missilistiche in Sicilia, ma è stata certamente utilizzata da quelle forze quali il PCI che avevano interesse a vestire la maschera del pacifismo antiamericano per fare pressioni politiche sul governo. Salvo poi abbandonare il campo e tornare su posizioni sostanzialmente non troppo negative nei confronti del blocco atlantico. Ecco emergere la differenza tra una strategia per la pace e una tattica politica per cui la pace è solo un prezioso orpello.
Ora, in una visione antiautoritaria della lotta antimilitarista, la critica spietata e le mobilitazione contro la tecnocrazia militare sovietica sono di vitale importanza. Solo in questo modo il movimento pacifista italiano ed europeo potrà sfuggire alle accuse di chi rinfaccia ai movimenti pacifisti di fare oggettivamente il gioco di Mosca. Solo in questo modo un movimento pacifista potrà essere tanto forte da incidere sulla corsa agli armamenti, proprio perché verrà a trovarsi in una posizione aliena da quelle delle forze dell'istituzione. L'istituzione in questo modo viene a trovarsi spiazzata, proprio perché privata della sua legittimità decisionale.
Certo, il distacco tra il potere decisionale di questo movimento pacifista e quello dello Stato rimane sempre enorme, ma è comunque l'unico modo perché la lotta contro la guerra non si riduca a sterili e opache sfilate.
La necessità di mobilitarsi contro il militarismo dei paesi comunisti è rinforzata dalla impossibilità che in quei paesi possa esprimersi un dissenso antimilitarista organizzato. Le poche notizie che ci giungono parlano però di mobilitazioni che si sarebbero tenute nei mesi scorsi, prontamente represse, e considerate dai media sovietici espressioni della controrivoluzione imperialista. D'altro canto le ricerche più accurate sulla società sovietica, quali quelle fatte da C. Castoriadis (un suo saggio è apparso su «Volontà» 1/1982) dimostrano come la tecnocrazia militare acquisti sempre maggiore importanza in Unione Sovietica. Da anni ormai in Russia le risorse migliori sia umane che materiali sono destinate all'esercito. Nell'URSS esistono ormai due diversi livelli produttivi: uno è quello destinato all'esercito, perfettamente efficiente, con una ricerca costantemente all'avanguardia. L'altro è quello destinato alla società civile, con le conosciute carenze nella produzione e nella distribuzione di beni di prima necessità.
La macchina militare sovietica cresce ogni giorno in potenza e in aggressività ed è perfettamente in grado di bilanciare le forze militari della NATO. Le mobilitazioni del movimento pacifista devono quindi mettere in discussione la alidità del principio di autorità. Con questo non vogliamo certo considerare gli anarchici quali unici depositari della lotta antimilitarista. Ci pare comunque importante affermare che la lotta contro gli armamenti deve tendereimprescindibilmente ad attenuare il più possibile l'influenza politica ed etica dello Stato, perché si allarghino gli spazi dipensiero e di azione non-autoritari e libertari.