Rivista Anarchica Online
Dietro quei barili
di Nucleo anarchico Cesano Maderno
L'affare diossina è sempre stato avvolto nel mistero: - era un mistero la produzione dell'ICMESA, infatti nessuno (a parte la direzione e i tecnici) era a
conoscenza delle sostanze lavorate e i lavoratori credevano di produrre profumi; - è un mistero la quantità di diossina uscita dal reattore quel fatidico 10 luglio; le stime ufficiali basate
sull'integrazione delle quantità ritrovate sul terreno vanno da 3 etti a 3 chili; altre stime suggeriscono
quantità da 5 a 8 volte superiori; - è un mistero (?) dove siano finiti i soldi che la Roche ha pagato come indennizzo alla Regione e ai
vari comuni interessati (134 miliardi complessivi) escluso il comune di Seveso che sta ancora trattando,
e dove siano finiti i soldi stanziati per la salute e la bonifica, visto che ne sono stati usati ben pochi; - sono un mistero i dati ottenuti da sei anni di analisi, visite, controlli effettuati sulla popolazione
interessata dalla contaminazione; i dati ufficiali resi noti sono pochissimi, vaghi e falsati; si sa poco
sulle nascite di bambini malformati, sulle mutazione genetiche, sulle malattie epidermiche causate dalla
diossina, sulle morti causate da tumore al fegato, ecc.; - è un mistero quanto tempo ci vorrà prima che la diossina scompaia dal terreno e consenta una vita
normale: all'inizio si parlava di 5 anni, ora addirittura di 20. Le zone bonificate sono state riaperte e
la gente può viverci ma non si possono ancora allevare animali da cortile, quasi che la vita di un uomo
valga meno della vita di una gallina, e la coltura è consentita solo per particolari tipi di piante. Un altro mistero è quello relativo ai famosi 41 barili, che stanno destando preoccupazioni crescenti tra
i governi europei. Nel settembre scorso dall'ICMESA si dice che siano partiti 41 barili contenenti 22 quintali di fanghi
inquinati dalla diossina, fanghi tolti dal reattore del reparto B, quello della fuoriuscita della nube, e
mischiati con terreno; il camion che trasportava i barili dopo aver passato la frontiera di Ventimiglia
ha fatto perdere le sue tracce e non si è ancora scoperto dove sia finito il suo carico. Alcuni sostengono che sia ancora in Francia (e che finirà nell'inceneritore ad alta temperatura di Saint-
Vulbas), altri sostengono che sia finito in una cava usata per depositare residui altamente tossici e
radioattivi nei pressi di Lubecca, sul confine tra le due Germanie; da coloro che hanno gestito tutta
l'operazione non potremo sapere niente, perché vincolati al silenzio da una postilla nel contratto
stipulato fra le parti. Oltre alla Givaudan, alla ditta di trasporti Mannesman, agli incaricati della Regione Guzzetti e Noè,
una parte di responsabilità va imputata certamente al governo italiano che ha lasciato gestire alla
multinazionale svizzera la rimozione della diossina contenuta nei reattori, cercando poi di rimediare
presentando alla Convenzione di Londra (organizzazione che regola e controlla le immersioni di scorie
tossiche e radioattive nell'Atlantico) un progetto di smantellamento, che prevedeva la immersione di
tutti e tre i reattori e delle tubature del reparto B, ben 20 giorni dopo che i barili erano partiti. A noi, in fondo, non interessa solo sapere dove siano finiti i barili, perché essere sicuri che siano in un
paese straniero non risolve certo il problema che sta all'origine di questa faccenda, cioè la produzione
di questi veleni e la gestione da parte di pochi della vita di tutti. Inoltre quello che ci interessa
sottolineare è che la sparizione di questi barili non rappresenta certamente «l'ultimo atto», come si
tende a far credere: tutta questa zona, infatti, continuerà a subire le scelte del potere politico e scontarle
sulla propria pelle ancora per molte generazioni. Un fatto che avvalora questa ipotesi è che la zona A (quella maggiormente inquinata) è ancora da
bonificare: il piano di bonifica consiste nello scavo di due enormi vasche che raccoglieranno tutto il
terreno inquinato, le apparecchiature della fabbrica e la fabbrica stessa e che saranno ricoperte da teloni
impermeabili, da argilla e infine da terra sana (sulla sicurezza della durata di queste vasche ci sono forti
dubbi). Su questi 40 ettari di terreno pianeggiante dovrebbe sorgere un «parco naturale» con un bosco
e con la costruzione di una collina. Quasi a pareggiare i conti con la natura. Il 18 aprile a Monza è iniziato il processo contro la Roche e contro tutti i responsabili del disastro
ecologico: avrebbe dovuto sedere tra gli imputati anche Paolo Paoletti, direttore di produzione
dell'ICMESA, ucciso nel febbraio '80 da Prima Linea. L'ufficiale sanitario Giuseppe Ghetti, invece,
fu «gambizzato» qualche anno fa: era stato tra l'altro medico di fabbrica all'ACNA di Cesano Maderno
all'epoca dei casi di tumore alla vescica. Considerando che la Regione Lombardia ed altri enti hanno rinunciato a costituirsi parte civile al
processo apertosi a Monza, perché soddisfatti del rimborso monetario ottenuto, qualsiasi illusione di
«giustizia» può essere considerata vana. Le conclusioni sono sempre le solite: ancora una volta il potere politico, forte della delega datagli dalla
gente, e il potere economico hanno dimostrato come sia possibile gestire a modo loro situazioni così
gravi come questo disastro ecologico; quindi per distruggere questo disegno politico bisogna
sviluppare una pratica tendente al massimo coinvolgimento della popolazione su qualsiasi problema
che possa portare ad un cambiamento della vita sociale, per una futura società anarchica.
|