Rivista Anarchica Online
La corsa di Alice
di Maria Teresa Romiti
Alice nel Paese della Meraviglie fa una bella corsa elettorale per asciugarsi. Il gioco è semplice: si
corre intorno ad un circolo, partendo quando si vuole e fermandosi quando si è stufi. Alla fine tutti
vincitori. Noi ripetiamo spesso il gioco, con la segreta speranza che serva a qualcosa, ma non siamo nel
Paese delle Meraviglie e quindi la corsa elettorale non serve per asciugare e tantomeno per
divertire. Anche quest'anno si gioca, nonostante la scollatura tra la classe politica (impegnata solo
nel proprio mantenimento) ed il paese reale (in crisi) sia molto profonda. Sarebbe forse più saggio
non dover fare i conti con il malcontento, con la rabbia, ma non si può. Il voto è un rito di cui
spesso non si conosce il vero significato: legittimazione del potere, della delega. Il potere dello
stato democratico si basa per definizione sul consenso che si esprime attraverso il voto, quindi se il
consenso cala bisogna ripetere il rito per rilegittimare lo stato. Si deve ripetere la cerimonia, anche
quando c'è il rischio che la maschera possa cadere mostrando il volto putrefatto che le sta dietro. Si
devono rischiare le astensioni che non si riesce neppure ad esorcizzare con la solita equazione
«non-votanti uguale a qualunquisti». Non siamo più solo noi a dire: «Il sintomo evidenziato dalle astensioni, pure nella sua complessità
motivazionale, è leggibile come un indicatore della fessura che sta sempre più aprendosi tra società
politica e società civile» (L.L., La buia notte dell'epoca della fede, Volontà n° 3/80). Ma ora la
«fessura» è diventata un abisso che sta sconvolgendo non solo le istituzioni o le forme politiche,
ma le ideologie, i modelli culturali che stavano alla base. Le culture della società occidentale non
riescono più ad essere egemoniche o anche solo dominanti, sembra anzi che nessuna cultura sia in
grado di porsi come strumento, come punto di riferimento. Non lo è certamente quella cristiana, pur
egemonica per secoli, e nonostante il revival mistico/religioso di questi ultimi anni. Molte delle
ultime lotte portano un preciso segno religioso (vedi Iran), la richiesta del ritorno al mondo antico
come soluzione ai mali d'oggi, ma la cultura cristiana non riesce a coagulare questi fermenti in un
sistema organico. Forse troppo legata al Palazzo, ha perso la capacità di svolgere un discorso
diverso. Non lo è neppure la cultura liberale/illuminista che, battuta sul terreno razional/scientifico,
non riesce che a muoversi in cerchio ripetendosi senza originalità. Ma la grande sconfitta di oggi è la cultura marxista. Solo dieci anni fa si poteva considerare,
almeno in Italia, egemonica, oggi è quasi ridotta in brandelli. E' vero che la società moderna ha
raggiunto un grado di complessità tale da richiedere analisi molto sofisticate oppure molto parziali,
è anche vero che l'analisi marxista si è sviluppata nella società ottocentesca in cui era più facile
individuare le componenti diverse della realtà, ma è comunque un grosso smacco per una ideologia
che ha l'ambizione di porsi come spiegazione scientifica della storia, della società passata, presente
e futura, diventare obsoleta in meno di un secolo. Modello ormai superato porta i suoi adepti a
ricercare varianti e novità nell'ambito di altre ideologie. Si può così riscoprire l'utilitarismo di
Stuart-Mill o di Bentham o il gradualismo di Owen oppure si può cercare di fare manbassa nei testi
una volta considerati reazionari o ancora andare alla riscoperta di un nuovo scientismo che può
essere indifferentemente il darwinismo in tutte le sue forme o il ritorno ad un puro meccanicismo. Il
risultato è povero e non incanta nessuno, domina la disillusione. Marx, come Dio, è morto lasciando tanti orfani sconcertati, incapaci di analizzare quello che hanno
di fronte. E' ancora la crisi che incalza. Non è ozioso chiedersi quali siano le realtà emergenti, anche per
tentare di capire, per quanto possibile, la direzione del cambiamento: poche, quasi nesuna, forse «i
verdi», almeno all'estero, insiemi eterogenei che si riuniscono solo sul lavoro contingente senza
porsi, almeno apparentemente, una progettualità completa. Non è solo incapacità, è una vera e
propria scelta, obiettivi parziali comuni e basta. Resta il fatto che l'uomo ha bisogno di una rappresentazione di se stesso e del mondo, ha bisogno di
cultura. Lo spazio apertosi tra le culture in crisi non può essere lasciato vuoto, deve essere riempito
con un'altra visione del mondo. Non sarebbe possibile ipotizzare una cultura libertaria emergente, tanto più che la società
complessa tende a controllare tutti gli aspetti della vita individuale e provoca perciò un aumento
della domanda di libertà? Alcuni timidi segni direbbero di si: riscoperta del momento individuale,
del piacere, ricerca di spazi personali liberi, senza controlli. E' indubbiamente una domanda
confusa, contraddittoria, ma non potrebbe essere altrimenti. Il progetto globale, la visione del
mondo non è solo rifiuto di catene o desiderio di libertà, è una cultura che si pone domande su
domande, uno strumento flessibile in grado di rispondere a situazioni ed esigenze diverse. Ho detto
che potrebbe esistere uno spazio potenziale per la cultura libertaria, ma la realtà è molto diversa.
Soffocamento, perdita, crisi anche per noi. E allora? Perchè non riusciamo a farci portatori di una
cultura, della nostra cultura? Perchè anche per noi, pur così lontani dal Palazzo tutto sembra
immutabile, il rito si svolge sempre uguale a se stesso? Anche per noi vale la frattura con la società reale. Abbiamo costruito un muro, un solido muro che
ci tiene prigionieri. Abbiamo chiuso il mondo all'esterno, troppo spaventati per uscire, per
misurarci giorno per giorno con una realtà che non è la nostra, ma con la quale dovremmo fare i
conti continuamente per non chiudere il nostro progetto nel limbo delle discussioni accademiche.
Preferiamo morire di morte lenta piuttosto che rischiare di metterci in discussione. Eppure perchè il
nostro sogno possa farsi realtà deve uscire dal buio delle nostre menti per rapportarsi con il
presente in una tensione continua tra sogno e realtà. E' vero che questo processo dinamico è
spossante, che si sta meglio dietro il muro tra le rassicuranti risposte di chi la pensa come noi. Ma
dietro il muro non si può vedere, non ci si accorge di quello che sta succedendo, si rischia di
scoprire che il mondo se ne è andato per conto suo, lasciandoci soli, al riparo del muro.
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