Rivista Anarchica Online
Un maggio diverso
di René Lourau
Che cosa sta succedendo in Francia? Questa domanda ingloba quella che segue: siamo in presenza
di un nuovo movimento studentesco? La situazione politica francese è caratterizzata da una grande delusione dell'elettorato di sinistra.
Non soltanto gli «autogestionari», stupefatti di veder riporre nell'armadio quella specie di materiale
elettorale che è l'idea di autogestione. Il governo ripete senza posa di aver mantenuto le sue
promesse e che misure importanti sono già state prese. E' in parte vero. Ma per chi queste misure
sono importanti? L'abolizione della pena di morte è la più spettacolare e la più coraggiosa: ma basta
forse per «cambiare la vita» di 54 milioni di abitanti? Le nazionalizzazioni, in fondo, che cosa
sconvolgono effettivamente, se non il reclutamento del personale direttivo delle imprese? Quanto ai milioni di lavoratori, devono accontentarsi dell'ultima reincarnazione dell'ideologia
partecipazionista: i «gruppi di espressione» che la legge «Auroux» istituisce, in attesa di ipotetici
«consigli di fabbrica». Il pensionamento a 60 anni e la settimana di 39 ore faranno vibrare
d'entusiasmo le masse dei giovani disoccupati. Per loro lo Stato spende cifre folli allo scopo di
camuffare le statistiche - come quelle persone che non si lavano mai e si inondano di profumo per
dissimulare l'odore della sporcizia. Quanto alla decentralizzazione regionale essa non risolve né il
problema corso né il problema bretone. Essa va, come le nazionalizzazioni, nella direzione della
costituzione di una nuova classe di notabili. Essa non saprebbe, non più che in Italia o Spagna,
lottare ad armi pari contro le tendenze del capitale, contro l'egemonia dello Stato. Dunque, l'applicazione pressocché coscienziosa del programma Mitterrand, se favorisce una certa
mobilità sociale ascendente all'interno della borghesia intellettuale, non modifica le strutture della
società. Ma c'è un altro fenomeno parallelo da sottolineare. Al tempo stesso che il governo assomma le sue
«promesse mantenute» la massa della popolazione diviene sempre più indifferente a questi meriti.
Perché? Non soltanto perché si tratta perlopiù di decisioni che non «cambiano la vita», ma anche
perché, senza trombe né tamburi, la politica economica e finanziaria del governo viene,
continuamente e sempre di più, sorpassata dalla crisi. La disoccupazione ne è il sintomo più
impressionante. Le misure previste dal programma socialista non possono né sopprimerla, né
diminuirla, né stabilizzarla. Ci si limita semplicemente ad arrabattarsi per moderarne la crescita
progressiva. L'insegnamento superiore non sfugge alle ripercussioni del «piano di rigore», così come alle
angosce prodotte dalla prospettiva della disoccupazione come coronamento degli studi. A ciò
bisogna aggiungere il peso delle contraddizioni nella istituzione universitaria, ben poco modificata
dopo il '68. Non è casuale che l'agitazione abbia avuto inizio tra gli studenti di medicina, una
facoltà nella quale la selezione è già molto forte, cosa che rafforza il corporativismo della
professione medica. Non è un caso che siano i nuclei di estrema destra ad alimentare il malcontento tra gli studenti di
diritto; la disciplina giuridica resta la cittadella della reazione, ma se i gruppusculi fascisti cercano
di manipolare il malcontento studentesco, quest'ultimo non è per questo una manifestazione
puramente di destra. La difficoltà di distinguere tra la «buona» e la «cattiva» agitazione sarebbe
abbastanza ridicola, se non richiamasse alla mente un avvenimento chiamato Kronstadt. Questa difficoltà nasce in gran parte dalla sparizione quasi totale del sindacalismo studentesco.
Fenomeno già evidente e carico di conseguenze nel 1968. Alla fine della guerra d'Algeria (1962),
che aveva portato una profonda politicizzazione, l'UNEF non ha saputo trovare un nuovo fronte,
una «nuova frontiera» nella rivoluzione pedagogica e la trasformazione dell'istituzione
(universitaria, ma anche sindacale!). La contestazione generale del maggio '68 si è dunque svolta al
di fuori del sindacalismo e con ... non importa chi (gli «irresponsabili»). Ciò che resta oggi del
sindacalismo di sinistra (PC e trotzkysti) non costituisce neppure una forza riformista coerente. Certi aspetti amministrativi della legge sull'insegnamento superiore che sta per venir votata
prossimamente vanno a istituzionalizzare il «rigore» che già viene messo in pratica, sotto forma di
missione che i governi di destra non avrebbero mai osato proporre: soppressione d'un gran numero
di ore d'insegnamento (ore complementari), selezione rinforzata ... Si sarà «di destra» se ci si
permette di criticare queste decisioni, così come tante altre decisioni economiche e sociali del
governo? E se i sindacati operai stessi, incatenati per il momento dalla loro fedeltà al governo socialista e
perturbati da una legge Auroux che modifica le loro abitudini di potere, si mettessero anch'essi a
rifiutare il conformismo e l'impotenza dei governanti? Diventerebbero improvvisamente dei
sindacati «di destra»?
(trad. di Gianfranco Bertoli)
|