Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 111
giugno 1983


Rivista Anarchica Online

Un maggio diverso
di René Lourau

Che cosa sta succedendo in Francia? Questa domanda ingloba quella che segue: siamo in presenza di un nuovo movimento studentesco?
La situazione politica francese è caratterizzata da una grande delusione dell'elettorato di sinistra. Non soltanto gli «autogestionari», stupefatti di veder riporre nell'armadio quella specie di materiale elettorale che è l'idea di autogestione. Il governo ripete senza posa di aver mantenuto le sue promesse e che misure importanti sono già state prese. E' in parte vero. Ma per chi queste misure sono importanti? L'abolizione della pena di morte è la più spettacolare e la più coraggiosa: ma basta forse per «cambiare la vita» di 54 milioni di abitanti? Le nazionalizzazioni, in fondo, che cosa sconvolgono effettivamente, se non il reclutamento del personale direttivo delle imprese?
Quanto ai milioni di lavoratori, devono accontentarsi dell'ultima reincarnazione dell'ideologia partecipazionista: i «gruppi di espressione» che la legge «Auroux» istituisce, in attesa di ipotetici «consigli di fabbrica». Il pensionamento a 60 anni e la settimana di 39 ore faranno vibrare d'entusiasmo le masse dei giovani disoccupati. Per loro lo Stato spende cifre folli allo scopo di camuffare le statistiche - come quelle persone che non si lavano mai e si inondano di profumo per dissimulare l'odore della sporcizia. Quanto alla decentralizzazione regionale essa non risolve né il problema corso né il problema bretone. Essa va, come le nazionalizzazioni, nella direzione della costituzione di una nuova classe di notabili. Essa non saprebbe, non più che in Italia o Spagna, lottare ad armi pari contro le tendenze del capitale, contro l'egemonia dello Stato.
Dunque, l'applicazione pressocché coscienziosa del programma Mitterrand, se favorisce una certa mobilità sociale ascendente all'interno della borghesia intellettuale, non modifica le strutture della società.
Ma c'è un altro fenomeno parallelo da sottolineare. Al tempo stesso che il governo assomma le sue «promesse mantenute» la massa della popolazione diviene sempre più indifferente a questi meriti. Perché? Non soltanto perché si tratta perlopiù di decisioni che non «cambiano la vita», ma anche perché, senza trombe né tamburi, la politica economica e finanziaria del governo viene, continuamente e sempre di più, sorpassata dalla crisi. La disoccupazione ne è il sintomo più impressionante. Le misure previste dal programma socialista non possono né sopprimerla, né diminuirla, né stabilizzarla. Ci si limita semplicemente ad arrabattarsi per moderarne la crescita progressiva.
L'insegnamento superiore non sfugge alle ripercussioni del «piano di rigore», così come alle angosce prodotte dalla prospettiva della disoccupazione come coronamento degli studi. A ciò bisogna aggiungere il peso delle contraddizioni nella istituzione universitaria, ben poco modificata dopo il '68. Non è casuale che l'agitazione abbia avuto inizio tra gli studenti di medicina, una facoltà nella quale la selezione è già molto forte, cosa che rafforza il corporativismo della professione medica.
Non è un caso che siano i nuclei di estrema destra ad alimentare il malcontento tra gli studenti di diritto; la disciplina giuridica resta la cittadella della reazione, ma se i gruppusculi fascisti cercano di manipolare il malcontento studentesco, quest'ultimo non è per questo una manifestazione puramente di destra. La difficoltà di distinguere tra la «buona» e la «cattiva» agitazione sarebbe abbastanza ridicola, se non richiamasse alla mente un avvenimento chiamato Kronstadt.
Questa difficoltà nasce in gran parte dalla sparizione quasi totale del sindacalismo studentesco. Fenomeno già evidente e carico di conseguenze nel 1968. Alla fine della guerra d'Algeria (1962), che aveva portato una profonda politicizzazione, l'UNEF non ha saputo trovare un nuovo fronte, una «nuova frontiera» nella rivoluzione pedagogica e la trasformazione dell'istituzione (universitaria, ma anche sindacale!). La contestazione generale del maggio '68 si è dunque svolta al di fuori del sindacalismo e con ... non importa chi (gli «irresponsabili»). Ciò che resta oggi del sindacalismo di sinistra (PC e trotzkysti) non costituisce neppure una forza riformista coerente.
Certi aspetti amministrativi della legge sull'insegnamento superiore che sta per venir votata prossimamente vanno a istituzionalizzare il «rigore» che già viene messo in pratica, sotto forma di missione che i governi di destra non avrebbero mai osato proporre: soppressione d'un gran numero di ore d'insegnamento (ore complementari), selezione rinforzata ... Si sarà «di destra» se ci si permette di criticare queste decisioni, così come tante altre decisioni economiche e sociali del governo?
E se i sindacati operai stessi, incatenati per il momento dalla loro fedeltà al governo socialista e perturbati da una legge Auroux che modifica le loro abitudini di potere, si mettessero anch'essi a rifiutare il conformismo e l'impotenza dei governanti? Diventerebbero improvvisamente dei sindacati «di destra»?

(trad. di Gianfranco Bertoli)