Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 111
giugno 1983


Rivista Anarchica Online

Pianeta donna
a cura di Collettivo Le Scimmie

Siamo ancora qui! Un'altra volta le pagine della rivista ci ospitano per un servizio al femminile. Una mania femminista? No, solo la continuazione ideale del nostro primo lavoro. Considerando indispensabile ricomporre anche la frattura femminile/maschile all'interno di ognuno per una società anarchica che non sia solo una parola vuota, non potevamo partire che dal presente, dalla realtà dimidiata che è l'unica che abbiamo. Ecco quindi le interviste a donne diverse per esperienza, realtà, vita, età. Alcune fra le intervistate hanno vissuto il '68, il femminismo, hanno fatto attività politica, altre sono state solo spettatrici, ma questi fenomeni le hanno toccate in modo diretto o indiretto, a seconda dei casi, le hanno fatte discutere con la società e soprattutto si sono messe in discussione, hanno spesso rivisitato le esperienze fatte, la loro condizione, hanno incominciato ad ipotizzare un loro «essere diverse», la stessa esigenza è condivisa da tre ragazzine che ci hanno dato risposte estremamente sintetiche, a volte povere, ma comunque significative per quanto riguarda le aspettative, i problemi, i sogni. Non è ovviamente un campione «scientifico» il nostro, ma uno spaccato, una traccia, un umore.
Ed anche la nostra riflessione sui grandi temi legati al femminile per riflettere, ripensare, tentare di non dare per scontato ciò che scontato non è. Quindi un articolo sul lavoro, uno sulla maternità, uno sulla violenza sessuale, un altro che tratta a livello teorico quelle che sono le basi dalle quali parte la nostra ricerca e infine la sessualità con due posizioni contrapposte; un inizio di dibattito che speriamo si sviluppi su questo e sugli altri temi.
Più domande che risposte, più dubbi che certezze, ma la grande voglia di chiederci, di chiedere agli altri, uomini e donne, com'è il mondo per poterlo cambiare insieme.

Collettivo Le Scimmie

Saranno diverse?

1)L'esperienza femminista ha lasciato un segno profondo e importante nella nostra società; per te che senso ha il femminismo? Come lo vedi? Come lo giudichi?
2)Come pensi di impostare il tuo futuro, quali sono gli obiettivi che vuoi raggiungere (lavoro/ rapporti interpersonali/ società/ ecc.) e soprattutto ti senti ostacolata o incoraggiata nelle tue scelte?
3)Che rapporti vuoi avere con i compagni, gli amici, il ragazzo, se ce l'hai, e come sono in realtà?
4)Secondo te è possibile pensare ad un modo diverso di essere donna rispettoa quello che è sempre stato? Se sì, quale?

Elena, 17 anni
1) Non posso dire che il femminismo abbia molto senso per me. Io non l'ho vissuto. Ho trovato tutto già fatto e non ho sentito il senso di soffocamento del proprio «io» come molte donne della generazione precedente. Comunque penso si possa dire sia stata una esperienza da un lato positiva, perché sono convinta che abbia raggiunto dei risultati concreti, come il poter parlare fra donne, affrontare insieme i problemi, dall'altro negativa, perché in fondo ha imposto dei comportamenti, delle regole precise. Sembra quasi di dover essere simili agli uomini o comunque di dover rifiutare per forza tutto ciò che le donne hanno fatto fino ad ora.

2) In futuro vorrei potere fare un lavoro vicino ai miei interessi e ai miei studi e che, ovviamente, mi piaccia. I miei rapporti interpersonali mi soddisfano molto già da ora, sono esattamente come li voglio; sinceri, ricchi, in futuro vorrei poter continuare ad averne di simili, ovviamente anche con altre persone.

3) A questa domanda penso già di aver risposto prima. I rapporti che ho con alcuni dei miei amici e compagni sono ottimi, non nel senso che non litighiamo mai, ma perché sono profondi e coinvolgenti e vorrei averli così anche in futuro con persone diverse. Per il ragazzo vale lo stesso discorso, perché secondo me non è poi tanto differente nella sostanza, dai profondi rapporti di amicizia e soprattutto richiede lo stesso impegno, la stessa profondità, lo stesso coinvolgimento.

4) Secondo me esiste un modo diverso di essere donna, un modo di essere veramente se stesse. E' solo con l'autonomia, con l'essere solo se stesse che nasce la vera parità tra entrambi i sessi senza che uno imiti obbligatoriamente i gesti dell'altro. Insomma il modo di essere donna è cercare la propria essenza, possibilmente considerando tutti gli altri «persone» senza distinzione alcuna.

Francesca, 17 anni
1) Effettivamente il femminismo è stato molto importante per l'evolversi della nostra società, anche se io non posso dire di averlo vissuto, perché sono troppo giovane per aver partecipato a queste lotte. Secondo me il giudizio sul femminismo è ambivalente, sia positivo che negativo. Positivo perché di fatto con questo movimento le condizioni delle donne sono migliorate, negativo perché, ovviamente, sono stati fatti anche molti errori, come ad esempio creare nuove regole, nuovi dogmi, altrettanto rigidi di quelli che si volevano abolire.

2) Credo di non essere un'arrivista ma, nel campo del lavoro, ho intenzione di avere successo. Intendo non nel senso di «diventare famosa», ma di intraprendere una carriera che possa soddisfarmi completamente, dove io possa esprimere me stessa e arrivare quindi a un successo personale. In questo progetto credo proprio che sarò ostacolata dalla società, anche se la cosa non mi impaurisce poi molto, perché penso di avere la forza per andare avanti da sola.

3) Sono soddisfatta dei rapporti che ho con gli amici perché sono riuscita ad instaurare delle relazioni profonde con molte persone e quindi posso dire che per quanto rigurda il campo affettivo non vorrei che cambiasse qualcosa nel futuro.

4) Penso che la donna, ma anche l'uomo, debba imparare ad essere più se stessa. E per questo basterebbe seguire una sola regola, cioè che non esistono regole di comportamento, regole sul modo di pensare e di vivere. Solo così una persona potrà diventare «Persona» e non solo o uomo o donna.

Rossella, 16 anni
1) Grazie al movimento delle donne di allora, ora la donna è riuscita ad ottenere una certa libertà nel rapporto col sociale e una certa sicurezza in se stessa. In questo periodo di «stasi» in cui si è passati dal collettivo al privato, anche il movimento delle donne ha ricalcato questo aspetto. Sembra che il progresso si sia bloccato oppure sia portato avanti in una maniera per me non valida. Mi sembra che le nuove femministe siano delle fanatiche maschiliste che con il loro modo di fare ricalcano gli stereotipi maschili.

2) Vorrei innanzitutto riuscire a realizzare me stessa, rendermi economicamente indipendente ed essere rispettata e considerata grazie alle mie capacità e alla mia sensibilità nel campo del lavoro, nei rapporti interpersonali e sociali. Anche se posso sentirmi incoraggiata o ostacolata nelle mie scelte, spesso agisco di testa mia.

3) In realtà non è ancora stato costruito un rapporto con i compagni, in parte per una mia scelta, poichè mi sento anarchica internamente ma non ancora del tutto fisicamente. Il giorno che io deciderò per mia scelta di entrare nel movimento vorrei essere considerata come Rossella e non come «donna di ... » poiché ora la mia impressione è quella di essere considerata così.

4) Col mio ragazzo non esistono problemi di parità ma problemi di possessività per entrambi. Inoltre per amore lui tende ad evitarmi e a non lasciarmi fare esperienze, non lasciarmi risolvere i problemi da sola o influenzando le mie scelte. Per cui desidererei una maggior fiducia.

5) Non può esistere un modo universale di essere donna, ma ciascuna dovrebbe sapersi costruire il proprio modo di essere donna.

Vogliamo continuare

1) Per chi, come te, ha vissuto il periodo caldo del femminismo, accettandolo o rifiutandolo, ma sempre dall'interno, cosa è stata questa esperienza e cosa è cambiato oggi?
2) Oggi il dibattito verte soprattutto su temi come il ritorno a casa, la bellezza della maternità, ma anche sulla scelta della solitudine, su nuovi obiettivi sul lavoro e sulla società stessa. Come hai impostato la tua vita, anche alla luce delle tue esperienze passate, e perché hai fatto queste scelte?
3) Se provi ad immaginare un modo diverso di essere donna rispetto agli schemi tradizionali, cosa pensi dovrebbe cambiare nel comportamento delle donne? E solo delle donne?

Adriana, 35 anni
1) La mia personale esperienza del femminismo, come probabilmente quella di molte altre donne che già erano inserite in una attività politica iniziata nel '68, ha segnato quattro tappe nella mia crescita personale che sintetizzerò così: a) riscoperta del privato; b) rapporti fra donne; c) conoscenza di sè; d) indipendenza.
a) Per l'attività politica precedente contava poco l'individuo, era la massa che dava forza e faceva muovere; pur non volendo rinnegare questa esperienza, mi pare che il cambiamento di fronte e il modo di comportarsi di molti compagni sia dipeso proprio dal fatto che la crescita dell'individuo non era tenuta sufficientemente in considerazione. Mi sembra che il principio secondo cui non si cambia il mondo se non si cambiano le persone non fosse troppo considerato. Il femminismo significò per me il prendere in considerazione la storia personale di ognuna di noi per capire qual era la realtà in cui vivevamo.
b) Il cominciare a parlare di noi apertamente ci ha abituate a non considerare i nostri problemi come solo «nostri» e ha portato a una solidarietà fra donne superiore a qualunque altro tipo di solidarietà che avevo riscontrato nei gruppi in cui avevo militato. L'«autocoscienza» avrà avuto i suoi difetti (le famose «menate») ma ha dato nuovo valore all'amicizia.
c) La scoperta dei problemi comuni e la possibilità di risolverli mi ha fatto acquistare maggiore sicurezza in me stessa. I gruppi di studio (per conoscere il ruolo della donna nella storia) e la pratica del self-help mi hanno dato una conoscenza di essere donna e la gioia, pur tra mille difficoltà, di esserlo. Risultato: sapevo di essere diversa dagli uomini ma ero orgogliosa di esserlo.
d) Il risultato di questo processo fu la mia indipendenza. Ora, visto che sono «felicemente» sposata con un figlio, credo sia necessario spiegare cosa significa per me essere indipendente. Non significa vivere per conto mio, né mantenermi da sola (anche se questa seconda cosa è vera, anzi sono io che guadagno di più), e neppure voler vivere indipendentemente dal mio compagno; significa invece avere indipendenza di giudizio, di pensiero, di comportamento, essere disponibile al confronto ma non dipendere da lui nelle scelte, come era invece prima (quando militavo attivamente lui era un leader).
Forse dipende anche dall'età che ho, ma mi sento libera, ho sempre voglia di lottare per tutto ciò che ritengo giusto, non voglio che la famiglia (il mio ruolo di moglie e di madre) prenda il sopravvento su di me donna (individuo con i suoi desideri e i suoi problemi).
Ora non «milito» più in un gruppo femminista (anche se talvolta ne sento la nostalgia) e quindi rispetto ad allora è cambiato il mio ruolo rispetto al movimento (da attivo a passivo), ma per me sono rimasti tutti i valori che da quelle lotte mi sono venuti e che fanno di me quella che sono ora.

2) Come ho già detto sono una donna che lavora e che ha famiglia; non rinnego nessuna di queste scelte anche se oggi, se ne avessi le possibilità economiche, sceglierei di non lavorare. Il lavoro che faccio mi piace abbastanza e mi dà discrete soddisfazioni (economiche e non), ma mi porta via molto tempo. Mio figlio cresce e crescono sempre più le sue esigenze conoscitive e io mi sento in dovere di dargli tutto quanto è in mio potere di dargli, ma il tempo libero è poco e anche io ho le mie esigenze; la difficoltà sta nel riuscire ad avere tempo per lui senza togliere tempo a me; se non lavorassi naturalmente tutto sarebbe più facile.
Per quanto riguarda la mia vita diciamo che va divisa in due: lavoro e famiglia. Per il lavoro ho scelto di fare un lavoro sempre più qualificante e sempre più gratificante per me stessa (vorrei, come ho già detto non lavorare, ma visto che devo, reputo giusto farlo nel miglior modo possibile) ed anche per testimoniare, se ancora ce n'è bisogno, il ruolo attivo che la donna deve avere.
Per la famiglia la intendo così: siamo tre persone che si amano e si rispettano, ognuna ha i suoi bisogni ma anche i suoi doveri, se ci si ricorda sempre questo non si può che vivere bene. Con mio marito la questione è chiara, anche se talvolta succede che uno dei due (non necessariamente lui) cerchi di avere il sopravvento o di dimenticarsi i bisogni dell'altro. Per quanto riguarda il bambino, ogni giorno è una battaglia per fargli capire che io non sono la mamma a sua disposizione per preparargli da mangiare e lavarlo, ma una persona diversa da lui con cui vive. Nello specifico poi, dato che è un maschio, cerco di evitare che cresca come sono cresciuti i maschi delle precedenti generazioni, non rinunciando neppure a mettere in risalto gli atteggiamenti sbagliati nei confronti miei o delle altre donne, del padre o degli altri uomini che ci stanno intorno. Non ho ancora perso la speranza che possa diventare un uomo migliore. Mi sono dimenticata di dire perché ho scelto di avere una famiglia, ma in realtà non ho scelto: mi sono sposata dieci anni fa, quando ancora non si pensava a soluzioni diverse (fu già diversità lo sposarmi in municipio) e ho fatto un figlio sul nascere del movimento femminista. La scelta è stata fatta dopo, e cioè scelsi, anche nei momenti di maggior crisi della nostra unione, di continuare (la scelta ovviamente fu di entrambi) su questa strada perché è una esperienza che mi interessa (sopratutto quella della maternità) e perché con loro due sto sostanzialmente bene. Può darsi che domani faccia una scelta diversa, ma credo che comunque non sarà mai una scelta di solitudine perché non amo vivere sola, mi piace sapere che quando voglio ho qualcuno con cui parlare, confrontarmi e, perché no, litigare. Ciononostante quando capitano brevi periodi in cui rimango sola (senza marito e senza figlio) mi godo ampiamente questa «solitudine» forse proprio perché so che è temporanea.

3) Innanzitutto distinguerei fra le donne che hanno coscienza di sè e no. Per le seconde si tratterebbe innanzitutto di fare la lunga strada dell'indipendenza, del rispetto di se stesse. Non è nemmeno necessario lavorare fuori casa per questo, anche stando in casa si può cambiare ruolo, se si smette di considerarsi al servizio degli altri, sempre pronte al sacrificio dimenticando se stesse. Quando le donne si sentiranno loro pari agli uomini, sarà più facile fare in modo che gli uomini le considerino pari. Pari ma non uguali. L'atteggiamento degli uomini deve cambiare, ma credo che sarà una conseguenza del cambiamento delle donne. Per esperienza personale tutti gli uomini (o quasi tutti) che hanno vissuto o subito le conseguenze del femminismo sono cambiati o almeno hanno capito che non potevano che adeguarsi. Nessuno rinuncia ad una posizione di privilegio se non vi è costretto: sta a noi costringerli e le persone e le condizioni cambieranno. Credo che perché delle persone possano convivere (anche uomini e donne) siano necessari alcuni «compromessi», cioè che entrambe le persone o i gruppi possano cedere su questioni non sostanziali per venire incontro alle esigenze dell'altro; ma questo può avvenire se le persone partono da una situazione di parità. Questo significa che le donne, una volta acquisita la propria indipendenza e forza (e solo allora) possono tendere una mano agli uomini.

Irene, 34 anni
Mi è assai difficile, se non impossibile, dare organicità a 15 anni della mia vita, e che 15 anni! Ed è per me assai difficile, nel tentativo di spiegarmi, scindere di quegli anni l'esperienza femminista da quella politica. Sarebbe stato diverso il mio approccio al femminismo - partecipato ma critico - e le mie scelte come donna - e come individuo - se non avessi vissuto una realtà politica come quella del movimento giovanile degli ultimi anni '60? E quanto hanno inciso sulla mia «militanza politica» le mie convinzioni sulla necessità della liberazione della donna?
In effetti me lo domandavo anche allora, senza riuscire mai a darmi una risposta: e così mi ritrovavo sistematicamente negli interminabili «scazzi» fra «femministe pure» e «politiche» a tifare ora per le une, ora per le altre senza mai schierarmi, totalmente e definitivamente, né con le une, né con le altre. Ma qualunque fosse la collocazione c'era una cosa che mi faceva «sperare» nel femminismo: e cioè ci si era rese conto che si doveva analizzare la realtà partendo da noi stesse e quindi non soltanto dalla nostra «storia» ma, soprattutto, con i nostri strumenti e con la nostra ottica. Era un metodo di lavoro integrativo, ma meglio ancora alternativo, rispetto alle classiche riunioni politiche di discussione sui massimi sistemi a base di dotte citazioni dei soliti leader riconosciuti: si era capito che il problema non era quello di diventare «brave» come i maschi (e quindi non si doveva parlare di «emancipazione») ma di trovare una propria identità specifica, di rileggere la storia (con la «esse» maiuscola) e la propria vita, di fare delle proprie «debolezze» i punti di partenza delle proprie conquiste; di riempire parole come solidarietà, indipendenza, conflittualità, antagonismo, dignità, conoscenza (tutte di assoluto monopolio maschile) di valori femminili.
Non so se questo era uno scopo del movimento, e non credo che per tutte le donne abbia significato, come per me, aver imparato a rivendicare la mia diversità (perché se dio vuole, siamo proprio diverse dagli uomini!) come forza e non come debolezza; a non scimmiottare gli uomini; a capire che se dolcezza e intelligenza sono qualità positive lo devono essere sia per gli uomini che per le donne. Non mi hanno mai interessato invece i girotondi, o le gonne a fiori, o le interminabili e tragiche riunioni di autocoscienza da cui si usciva completamente distrutte; così come mi sono sempre rifiutata di dividere il mondo e l'umanità in buoni (le donne) e cattivi (gli uomini) o di considerare tutte le donne, per il solo fatto di essere tali, indistintamente mie «sorelle» (ne ho conosciute troppe che non stimavo e di cui non condividevo le scelte per poter generalizzare la «solidarietà», e poi se Susanna Agnelli mi può essere «nemica» meno di suo fratello Gianni, mi è sempre nemica!) e gli uomini tutti indistintamente degli schiavisti. Ho filtrato quello che partendo dalla mia esperienza era da considerarsi assolutamente marginale e folcloristico e quello da cui si doveva partire per costruire qualcosa.
E' forse per questa operazione che, oggi come oggi, considero ancora, nonostante tutto, l'esperienza femminista un'esperienza positiva: perché anche se, come tutte le donne che in quegli anni hanno deciso di pensare ai propri problemi e alla propria storia, mi ritrovo adesso nella classica posizione di chi ha capito in parte la realtà ma è impotente perché non ha gli strumenti per cambiarla, ho imparato però che sono solo io, senza delegare nulla a nessuno, che riuscirò a trovare questi strumenti.
E' più che logico quindi che tutto ciò abbia deciso, e assai profondamente, sulle mie scelte e quindi su quello che sono oggi. Mi è cresciuta una voglia enorme di indipendenza (e non solo materiale): non mi sono né sposata, né accoppiata stabilmente; non ho fatto figli, odio il mito della maternità (soprattutto se selvaggia) e del matrimonio nella stessa misura in cui odio il mito della sottomissione femminile o del successo individuale. Non credo che per una donna indipendenza significhi necessariamente solitudine (se devo pensare a persone sole penso alle nostre madri o a quelle donne che non riescono a vivere se non in simbiosi con il «proprio» uomo) e neppure che, per difendere questa indipendenza si debba diventare una brutta copia degli uomini tesi ad avere riconoscimenti e gratificazioni solo ed esclusivamente nel sociale. Non credo che la liberazione della donna passi attraverso il rifiuto a rifare i letti o debba essere una riedizione del suffraggismo - eroico ed encomiabile - sempre troppo limitato a donne privilegiate ed in ogni caso tendente ad ottenere il più possibile di quello che gli uomini hanno già. Non bisogna rivendicare eguaglianza ma diversità (è liberazione poter lavorare in miniera?) perché il problema non è di condividere la torta in parti uguali ma sta nel rifare completamente questa maledetta torta.
Mi rendo perfettamente conto che queste sono solo parole, e anche alquanto fumose e scoordinate: ma credo anche che molte donne, nel meraviglioso isolamento delle loro case, stiano rimuginando queste parole. E quando tornerà ad esistere possibilità di confronto e quindi di chiarimento ci conosceremo un pochino di più e torneremo ad impugnare spinosissimi carciofi al posto delle insopportabili mimose. Perché se proprio identificarsi in qualcosa, meglio streghe che madonne!

Ornella, 37 anni
1) Sostanzialmente nulla in quanto la collocazione della donna nella società è legata sempre a fattori individuali di bisogni, cultura e interessi. Nel campo del lavoro sono pochissime le donne veramente determinate e a quelle né l'uomo né altro si contrappongono.

2) Ho impostato la mia vita sul matrimonio e di conseguenza sulla maternità, perché credevo e credo nella vita di coppia. Ho avuto attorno fin dall'infanzia uomini che ritenevano che i due sessi fossero complementari a vicenda e il fatto di avere un ruolo preciso mi sembra giusto. Non mi sono posta allora il problema del «lavoro» perché pur avendo molti interessi e discrete capacità non ero evidentemente spinta da una grossa molla in tal senso. Il tipo di lavoro che avrei potuto svolgere mi avrebbe privato di cose per me importanti. Tento di far capire alle mie figlie che «indipendenza» è un fatto fisico e mentale, è RESPONSABILITA', DETERMINAZIONE NEI PROPRI DOVERI, AUTOSTIMA, FEMMINILlTA'.

3) Quali sono gli schemi tradizionali oggi? Ripeto ogni donna si muove nel suo tessuto sociale secondo le sue inclinazioni e la sua cultura. Le donne dovrebbero essere più coerenti nelle loro parole e azioni. Non dovrebbero permettere a nessuno di mettere in forse il loro operare cominciando dal non farsi prevaricare dai figli di ambo i sessi. Non vedo perché dovrebbero chiedere ad altri di «cambiare» nei propri confronti, si «chiede» quando si è in una manifesta condizione di inferiorità o disparità, è come cercare un favore. Più volontà dunque e più senso di responsabilità.

Grazia, 38 anni
Poche parole sul passato, non mi piace rispolverare i ricordi, sanno di ammuffito. Passato trascorso su binari abbastanza opachi, aggangiata alla famiglia, quindi protetta sotto tutti i punti di vista, ma anche asfissiata dove le contraddizioni e le gerarchie erano all'ordine del giorno. Obbiettivo: uscire dalla gabbia e molto presto per poter finalmente essere libera di muovermi come desideravo, anche a costo di sbattere la testa.
Ero stanca di sentirmi ripetere le stesse cose: studia così troverai un posto di lavoro ben retribuito, aiuta in casa così quando ti sposerai saprai cucinare e sbrigare le faccende domestiche, diffida degli uomini che si avvicinano: vogliono solo divertirsi e se sbagli ... non troverai più marito, la nostra famiglia ha sempre fatto bella figura: non si può, non si deve sbagliare. Avevo un'unica certezza: non poterne più. E dopo il diploma, la scelta; il lavoro, che non feci (mi fu imposta da mia madre, presenza guida da sempre e dispensatrice di tutti i consigli) mi parve la più giusta anche se incominciai subito a farmi prendere dal panico: non ero mai uscita dal mio guscio e il pensiero di affrontare il mondo mi terrorizzava e mi intimidiva. Ad infondermi un pò di coraggio erano i discorsi delle mie amiche e di altre donne anch'esse insofferenti della loro condizione: non vogliamo fare la vita delle nostre madri, nonne, bisnonne sempre in casa ad allevare figli, accudire vecchi, invecchiare in mezzo ai campi ...
Vogliamo andare in città tra la gente, tutte quelle luci ... i negozi ... lavorare in fabbrica o negli uffici, fare di tutto pur di andare. E poi perché no, finalmente con un'occupazione avrei sposato il mio compagno di scuola, al quale ero affezionata fin da bambina e avrei impostato con lui una vita diversa con interessi nuovi ... Proprio in quel periodo, a sconvolgere i vecchi schemi e a portare un'aria nuova erano le donne, le più emancipate, le cosiddette «femministe».
«Prima aspirazione è l'autonomia, impegnarsi a fondo per non accettare mai la dipendenza». Fra i tanti messaggi, raccolsi immediatamente questo, era forse quello che in quel preciso momento faceva comodo a me. Infatti quel periodo per me fu il più produttivo, il più intenso. Lavoravo, lavoravo senza troppo preoccuparmi se il lavoro mi realizzasse o meno. Risultato: esteriormente un certo benessere che mi permise di fare tante cose, interiormente subentrava giorno dopo giorno il malessere.
Ho vissuto l'amore con mio marito credendoci fino in fondo ma ricredendomi più tardi al cadere di tante illusioni. Più la casa si faceva bella e spaziosa, più si restringeva il mio spazio fisico, credevo di godere di una certa autonomia, invece ancora in gabbia: toccava sempre a me cedere, compatire, comprendere. Più tardi mi sentii incapace di prendere le più banali iniziative ... tanto avevo sempre la carta perdente. Ho pagato caro e sto ancora pagando per questo mio atteggiamento passivo di apatia e di sfiducia. Dispiaceri, solitudine, nervi a pezzi il tutto ha compromesso il mio stato di salute in generale.
Intanto le altre donne lavoravano, lottavano (anche per me) facendo attività politica e sindacale, ottenendo alcuni diritti. Sulla carta riuscirono ad ottenere molte cose: il nuovo diritto di famiglia, divorzio, aborto pulito, parità almeno teorica sul lavoro, eguaglianza giuridica agli uomini, ma chissà come mai la realtà non cambiava. Quasi a fare intendere che il rapporto sadomasochistico tra uomo e donna ha radici così profonde da impedire la nascita di qualsiasi altro tipo di rapporto. Situazione oggi: boicottaggio dell'aborto, allontanamento dal posto di lavoro data la dilagante disoccupazione. Cosa si intende fare? Lasciare ancora posti agli uomini? L'invito (NO GRAZIE) a fare «dietrofront» tutte a casa? Chiara l'attenzione, troppo comodo! A casa per fornire quei servizi sociali che non si è riusciti a far funzionare: assistenza ai bambini, ai vecchi, agli handicappati, alla famiglia in generale? Aspettative e delusioni della generazione che oggi è nella mia fascia d'età: 30-40 anni: percentuale elevata di matrimoni falliti, nuovi soggetti da studiare da parte degli psichiatri, bambini nevrotizzati, vecchi abbandonati...
Sembra, da quanto si legge sui giornali, ritornino di moda i matrimoni in pompa magna con concerto d'organo tutto compreso, castità prematrimoniale, ripresa della curva delle nascite come «completamento del matrimonio».
Sbalordita, esterrefatta, disorientata mi chiedo dove va una società che ha di questi orientamenti, che fa queste scoperte geniali! Il femminismo, l'individualismo sono già superati? Forse le donne hanno già ottenuto ciò per cui lottavano? La questione dei diritti civili è forse già stata risolta? O forse perché le donne, le più giovani, molte cose se le son trovate già fatte e rinunciano a proseguire.
Sta tirando ancora una brutta aria mi sembra. Io personalmente non tornerò più indietro, cascasse il mondo. E' vero, ho fatto nulla o poco per meritarmeli, ma sono decisa, quei pochi spazi che ho ottenuto, a non lasciarmeli rapinare da nesuno.
Mi si chiede: cosa pensi dovrebbe cambiare nel comportamento delle donne e solo delle donne? Proseguire sulla linea intrapresa approfondendo il messaggio di libertà. Insisto sul concetto di libertà per riuscire a vivere insieme uomo e donna, «persone», in modo diverso.
I problemi si moltiplicano e si aggravano? Ebbene questi problemi dovranno in futuro riguardare donne e uomini in egual misura, perché quando nella vita pubblica si compiono delle discriminazioni e in quella privata esiste infelicità ed incertezza è un gran casino: chi oggi becca il colpo, prima o poi si prende il contraccolpo.

Graziella, 43 anni
1) L'apparire del femminismo ha significato per me dare un nome e una fisionomia ai miei pensieri più profondi, alle sensazioni, ai desideri che erano dentro di me da anni. A quei tempi partecipavo ad alcune assemblee alla Libreria delle donne, per confrontarmi e anche per riconoscere che il malessere che ogni giorno provavo vivendo nella società non erano mie fantasie personali, ma reali situazioni vissute da altre donne come me. Da allora ho lottato con più accanimento, non mi sentivo più così «strana» come mi giudicavano uomini e donne che conoscevo.
Gli scontri più duri apparivano fra le pareti domestiche col mio compagno e con mia madre radicati nel loro ruolo tradizionale.
Oggi qualcosa è cambiato nel femminismo e anche in me. Purtroppo nel mondo del lavoro il cambiamento è stato veramente minimo; continuo a lavorare con la capacità dei miei colleghi maschi e lavoro, a volte più di loro, senza avere però i loro vantagi o i loro riconoscimenti.
La cosa più importante è stata la conoscenza che ora ho di me stessa e la capacità di capire e analizzare chi mi sta vicino. Anche nell'ambito familiare qualcosa è mutato: rifiuto apertamente i ruoli tradizionali e il rapporto con il mio compagno è cambiato: mi sento più sicura, più forte nei suoi confronti, non ho quasi più paura ad affrontare la vita senza lui, mi sento completamente indipendente da lui, dai suoi schemi, dai ruoli che spesso cerca ancora di addossarmi.

2) Ho un lavoro che non mi soddisfa più, ma che continua a darmi una certa indipendenza economica, che ritengo di importanza vitale per una donna che non voglia sentirsi legata e dipendente da un uomo.
Vivo con una figlia con la quale ho impostato un rapporto, oltre che di profondo affetto, di amicizia, antiautoritario e di massima libertà, ma che qualche volta si ritorce a mio danno, facendomi sentire usata da lei. Ho sposato un uomo che, giorno dopo giorno, con enormi fatiche e durissime lotte ho cercato di capire e di farmi capire e questo pesante lavoro non è ancora finito. Tutto questo è una mia precisa e cosciente scelta, anche se pago di persona, anche se la lotta assorbe quasi totalmente tutte le mie energie vitali, ma non riuscirei a viverla in maniera inconscia e dipendente, come fanno tante donne che conosco, la cui vita è spesso, grazie a questo, più facile e comoda della mia.

3) Io mi auguro che tutte le donne possano cambiare, che possano essere se stesse, sia nel privato che nel sociale, e non delle imitatrici di situazioni e vita maschile o degli oggetti privi di «anima» secondo i ruoli secolari della cultura maschile; che possano crearsi un linguaggio, una cultura al femminile e ritrovare il proprio immaginario.
La mia «immagine di donna ideale» è quella di una peresona libera, indipendente, sicura di se stessa, delle sue emozioni, del suo corpo, in armonia con se stessa e con il mondo esterno a sè, che non teme la solitudine e l'abbandono, che non si prostituisca per comodità o per paura, che sia priva di schemi e dei ruoli maschili e femminili che la società ha stabilito. Per quanto riguarda l'uomo, questo dovrebbe liberarsi dall'enorme, secolare bagaglio dei miti della superefficienza, della virilità ad ogni costo, della forza fisica e psichica indiscussa, della sicurezza che spesso non possiede, della pazza corsa alla carriera e al consumismo per sentirsi qualcuno, dal suo distorto immaginario erotico, ecc; allora si sentirebbe più «leggero», più umano, scoprirebbe in sè quella metà femminile che ogni uomo possiede e che ha sempre soffocato perché la società, il potere gli ha imposto di farlo, pena il non essere uomo.

Lotte solitarie

1) In questi ultimi anni il femminismo è stato un'esperienza sociale importante, ha lasciato un segno indelebile, ha portato cambiamenti. Che impatto ha avuto sulla tua vita, in parte già scelta e vissuta, il problema donna?
2) Oggi che la maternità torna ad essere di moda tu come giùdichi la tua esperienza di madre? Quanto ha cambiato la tua vita? Influito sulle tue scelte (lavoro, famiglia)? Cosa ti ha lasciato ora che i figli sono grandi? Fino a che punto è stata una scelta libera?
3) Durante la menopausa le donne vengono considerate in stato di depressione che viene imputato a squilibri ormonali. Pianti, stanchezza, depressione, sensazione di fallimento, paura della vita e della solitudine. Hai vissuto un periodo simile nella tua vita e come lo spieghi?
4) Sono passati molti anni dalla tua gioventù. Quali sono le differenze fondamentali tra i comportamenti delle tue figlie, con l'impatto dell'esperienza femminista e i tuoi della loro età?

Piera, 61 anni
l) Io non ho seguito molto il femminismo nel suo sviluppo. Mi è rimasto sostanzialmente estraneo, sopratutto perché non mi sono confrontata, non mi sono guardata in giro, probabilmente per pigrizia. In parte anche perché nel periodo d'oro del femminismo ero in una grossa crisi personale, troppo presa quindi per analizzarlo, vederlo realmente.

2) Se devo fare un bilancio globale direi che è stata una buona esperienza. In fondo ero «destinata» ad essere madre. Per me è stata una vera e propria scelta, anche se non avevo certo deciso di non avere sei figli. Comunque volevo dei figli, senza mi sarebbe mancato qualcosa. Nonostante questo è stata una scelta faticosa, difficile che ha cambiato molto la mia vita: ho dovuto lasciare un lavoro che mi piaceva, o che perlomeno, anche se non era la massima realizzazione, mi permetteva di evadere dal solito trantran, di non restare chiusa in casa, di conoscere gente. Ho dovuto troncare con tutto questo. Non potevo fare diversamente, non avrei saputo dove mettere i figli, allora non c'erano molte scelte e io non avevo nessuno, non parliamo poi dei nidi. È stata una grossa rinuncia. Del resto le mie soddisfazioni le ho avute con i figli, non certo dal rapporto con mio marito. Con loro ho instaurato un rapporto diverso. Ho sbagliato verie volte, ma l'ho sempre riconosciuto; è assurdo pensare di aver ragione solo perché si è madri. E anche per questo il mio rapporto con loro è positivo. Sono riuscita a non buttarmi solo su di loro, a rendermi conto che la loro indipendenza è importante, nonostante il rischio fosse grosso perché sono stati quasi l'unica cosa positiva della mia vita.

3) Un periodo del genere io l'ho passato ed è stato tragico. Non sono convinta che sia una questione ormonale, forse c'è qualche squilibrio, ma il problema è molto più a fondo. Quando passi la menopausa pensi di essere finita come donna, è logico allora tirare le somme della tua vita che spesso sono allucinanti, come non essere depresse. Io ho sofferto molto per questo, la mia vita sembrava senza senso: la mia vita di coppia era zero, vivevo e vivo con un uomo con cui non riuscivo a comunicare, i figli, giustamente, diventano grandi, hanno le loro vite, al resto avevo rinunciato. Cosa mi restava?
Ecco, nella menopausa, secondo me, molte donne tirano le somme della loro vita, i loro bilanci e si accorgono che non hanno più niente in mano. Il rapporto di coppia viene a mancare. Per molti uomini la donna in menopausa è finita e quindi non la guardano nemmeno più, buona al massimo a far la serva, e una si sente ancora più inutile.
È stato molto difficile uscirne. Prima di tutto c'era stata la rassegnazione, poi però mi sono accorta che ci sono ancora soddisfazioni nella vita: un bel libro da leggere, un bel film da andare a vedere. Ho imparato a pensare a me stessa più di quanto non facessi prima, non avevo più la responsabilità di prima, tutta una famiglia sulle spalle, è un periodo della mia vita più mio.
Sarebbe bello se lo potessi vivere con un altro: poter parlare, discutere, ritrovarsi, invece io ho scoperto anche la solitudine; vivo da sola, posso parlare solo con me stessa, potrebbe essere altrimenti con un uomo che vive incollato al televisore e che ha buttato il cervello al macero?
Il segreto è anche questo: imparare a vivere da soli, anche accanto ad un altro.

4) Se devo essere sincera, non vedo grandissime differenze. Sarà perché io sono stata fortunata, ho avuto un padre molto aperto con cui ho avuto un rapporto bellissimo (basta pensare che mi fece studiare, cinquant'anni fa, perché mi piaceva). Poi sono andata a lavorare a Milano e ho sempre avuto una certa libertà: uscivo, andavo in giro con i miei amici, in vacanza da sola. Quasi, quasi ero più libera in famiglia che dopo sposata. Certo, c'erano delle differenze: allora la verginità era importante ed era difficile parlare coi ragazzi, in paese specialmente si era subito segnate. Eravamo due mondi separati.
D'altra parte se devo riconoscere una differenza fondamentale tra me e le mie figlie è il diverso rapporto con i genitori. Nonostante il rapporto con mio padre io non ho mai avuto il coraggio di parlare con i miei come la mie figlie hanno parlato con me. Certi argomenti semplicemente non esistevano. E poi, nonostante tutto, la discussione era molto limitata, l'ultima parola era sempre dei genitori. Loro parlavano e i figli obbedivano. Anche per questo forse l'ho sentita come una mancanza, io ho deciso di vivere un rapporto diverso con i figli; non mi sembrava giusto che la ragione dovesse stare tutta da una parte. Molto meglio parlare, discutere, senza certezze, senza pregiudizi, pronte a mettersi in discussione sempre, riconoscere i propri errori, essere vicini, pronti ad aiutare, ma anche stare indietro, non interferire, lasciarli sbagliare da soli (e questo a volte è la cosa più difficile). Ma alla fine il mio rapporto con i figli mi è piaciuto perché se a loro è servito, e penso di sì, è servito anche a me, anzi è servito più a me che a loro. Mi ha fatto rimanere giovane, mi ha dato elasticità di mente, capacità di essere ancora viva oggi.

Ileana, 53 anni
2) La mia esperienza di madre non ha assolutamente cambiato la mia vita: tutto era già stato scritto da secoli. Caso mai, ciò che l'ha cambiata fondamentalmente è stata la mia esperienza di anti-madre.
E qui debbo dire nessuno mi è stato d'aiuto, tutto è stato inventato. Terra bruciata dietro e davanti a me. Neppure i miei figli emancipati, perché, anche se a livello incoscio, trovano comoda una madre tradizionale.
Perciò, si lo confesso, a loro ho dichiarato guerra per primi. E non è stato facile! Tutti i terreni e tutte le armi sono state usate da loro per annientarmi.
Ma gloriosamente, come una vecchia e logora bandiera, ho resistito. Si, per loro e per me.
Oggi, un rapporto nuovo si è stabilito tra noi. Non è certo un idillio, ma nemmeno lo vorremmo. Le incazzature sono la regola, ma il rapporto, se non è ideale, è per lo meno reale. Niente è distorto da false immagini. Forse abbiamo inventato un nuovo modo di amarci, coltivando i nostri sani egoismi. Hanno influito sulle mie scelte di lavoro e di vita? Certamente si, ma le mie decisioni sono state sempre coscienti; ho tenuto conto anche dei miei spazi, per cui, anche con enormi responsabilità, la mia vita è stata piena e interessante.
Oggi che i miei figli sono cresciuti, assaporo profondamente la mia libertà conquistata; sono finalmente padrona del mio tempo, dei miei pensieri e delle mie risorse economiche (anche questo è importante). E' stata una scelta libera, la mia? Chi lo sa. Forse né io né i tempi eravamo maturi. Ma è inutile piangere sul latte versato.

3) Sarei tentata di rispondere che non esiste (Ma il giudizio psicoanalitico mi sarebbe sfavorevole!). Che è soltanto una deprecabile abitudine mentale, la conseguenza di un errato modo di vivere.
I disturbi elencati nella domanda, con la depressione, sono a mio avviso conseguenziali ad essa.
Però a questo punto come far quadrare il mio bilancio con gli squilibri ormonali? E se fossero sintomi psicosomatici? Però non sono voce autorevole di medico, ma solamente una donna che ha vissuto in modo diverso questo periodo della mia vita. In modo diverso da quello che il medico, l'uomo, la società si aspettavano da me.
Posso dirvi che se riesci a ridimensionare ed impari a convivere con la tua «depressione» ne esci senza lasciarci troppo le penne.
Ma a questo punto sorge in me il primo dubbio: forse questa è un'operazione che faccio da sempre e che continuerà sino alla fine della mia vita. E' un consiglio che va bene per tutti i sessi e per tutte l'età. Ma allora se è una ricetta universale che cosa centra la «MENOPAUSA»?
Ed ecco sorgere il secondo dubbio.
Non sarà la conseguenza della castrazione della tua vita di donna/amante. Ti guardi intorno! I compagni si sentono tanto più giovani, le loro attenzioni si volgono a quelle che per età potrebbero essere loro comodamente figlie. Si, sono sempre gentili, ti stimano, ti vogliono anche bene, ma diciamolo francamente: ti usano lo stesso trattamento che hanno verso una cara parente ammalata. E tu? E' abbastanza ovvio, reagisci con una bella, sana, tradizionale MENOPAUSA.
Il classico alibi istituzionalizzato diventato di massa. Posseduto in egual misura da proletari, borghesi ed intellettuali.
Ma allora che cos'è la MENOPAUSA: un'invenzione; un'astrazione.
Per quanto mi riguarda, credo proprio di si.