Rivista Anarchica Online
Pianeta donna
a cura di Collettivo Le Scimmie
Siamo ancora qui! Un'altra volta le pagine della rivista ci ospitano per un servizio al femminile. Una
mania femminista? No, solo la continuazione ideale del nostro primo lavoro. Considerando
indispensabile ricomporre anche la frattura femminile/maschile all'interno di ognuno per una società
anarchica che non sia solo una parola vuota, non potevamo partire che dal presente, dalla realtà
dimidiata che è l'unica che abbiamo. Ecco quindi le interviste a donne diverse per esperienza, realtà,
vita, età. Alcune fra le intervistate hanno vissuto il '68, il femminismo, hanno fatto attività politica, altre
sono state solo spettatrici, ma questi fenomeni le hanno toccate in modo diretto o indiretto, a seconda
dei casi, le hanno fatte discutere con la società e soprattutto si sono messe in discussione, hanno spesso
rivisitato le esperienze fatte, la loro condizione, hanno incominciato ad ipotizzare un loro «essere
diverse», la stessa esigenza è condivisa da tre ragazzine che ci hanno dato risposte estremamente
sintetiche, a volte povere, ma comunque significative per quanto riguarda le aspettative, i problemi,
i sogni. Non è ovviamente un campione «scientifico» il nostro, ma uno spaccato, una traccia, un umore. Ed anche la nostra riflessione sui grandi temi legati al femminile per riflettere, ripensare, tentare di non
dare per scontato ciò che scontato non è. Quindi un articolo sul lavoro, uno sulla maternità, uno sulla
violenza sessuale, un altro che tratta a livello teorico quelle che sono le basi dalle quali parte la nostra
ricerca e infine la sessualità con due posizioni contrapposte; un inizio di dibattito che speriamo si
sviluppi su questo e sugli altri temi. Più domande che risposte, più dubbi che certezze, ma la grande voglia di chiederci, di chiedere agli
altri, uomini e donne, com'è il mondo per poterlo cambiare insieme.
Collettivo Le Scimmie
Saranno diverse?
1)L'esperienza femminista ha lasciato un segno profondo e importante nella nostra società;
per te che senso ha il femminismo? Come lo vedi? Come lo giudichi? 2)Come pensi di impostare il tuo futuro, quali sono gli obiettivi che vuoi raggiungere (lavoro/
rapporti interpersonali/ società/ ecc.) e soprattutto ti senti ostacolata o incoraggiata nelle
tue scelte? 3)Che rapporti vuoi avere con i compagni, gli amici, il ragazzo, se ce l'hai, e come sono in
realtà? 4)Secondo te è possibile pensare ad un modo diverso di essere donna rispettoa quello che è sempre stato? Se sì, quale?
Elena, 17 anni 1) Non posso dire che il femminismo abbia molto senso per me. Io non l'ho vissuto. Ho trovato
tutto già fatto e non ho sentito il senso di soffocamento del proprio «io» come molte donne della
generazione precedente. Comunque penso si possa dire sia stata una esperienza da un lato positiva,
perché sono convinta che abbia raggiunto dei risultati concreti, come il poter parlare fra donne,
affrontare insieme i problemi, dall'altro negativa, perché in fondo ha imposto dei comportamenti,
delle regole precise. Sembra quasi di dover essere simili agli uomini o comunque di dover rifiutare
per forza tutto ciò che le donne hanno fatto fino ad ora.
2) In futuro vorrei potere fare un lavoro vicino ai miei interessi e ai miei studi e che, ovviamente,
mi piaccia. I miei rapporti interpersonali mi soddisfano molto già da ora, sono esattamente come li
voglio; sinceri, ricchi, in futuro vorrei poter continuare ad averne di simili, ovviamente anche con
altre persone.
3) A questa domanda penso già di aver risposto prima. I rapporti che ho con alcuni dei miei amici e
compagni sono ottimi, non nel senso che non litighiamo mai, ma perché sono profondi e
coinvolgenti e vorrei averli così anche in futuro con persone diverse. Per il ragazzo vale lo stesso
discorso, perché secondo me non è poi tanto differente nella sostanza, dai profondi rapporti di
amicizia e soprattutto richiede lo stesso impegno, la stessa profondità, lo stesso coinvolgimento.
4) Secondo me esiste un modo diverso di essere donna, un modo di essere veramente se stesse. E'
solo con l'autonomia, con l'essere solo se stesse che nasce la vera parità tra entrambi i sessi senza
che uno imiti obbligatoriamente i gesti dell'altro. Insomma il modo di essere donna è cercare la
propria essenza, possibilmente considerando tutti gli altri «persone» senza distinzione alcuna.
Francesca, 17 anni 1) Effettivamente il femminismo è stato molto importante per l'evolversi della nostra società, anche
se io non posso dire di averlo vissuto, perché sono troppo giovane per aver partecipato a queste
lotte. Secondo me il giudizio sul femminismo è ambivalente, sia positivo che negativo. Positivo
perché di fatto con questo movimento le condizioni delle donne sono migliorate, negativo perché,
ovviamente, sono stati fatti anche molti errori, come ad esempio creare nuove regole, nuovi dogmi,
altrettanto rigidi di quelli che si volevano abolire.
2) Credo di non essere un'arrivista ma, nel campo del lavoro, ho intenzione di avere successo.
Intendo non nel senso di «diventare famosa», ma di intraprendere una carriera che possa
soddisfarmi completamente, dove io possa esprimere me stessa e arrivare quindi a un successo
personale. In questo progetto credo proprio che sarò ostacolata dalla società, anche se la cosa non
mi impaurisce poi molto, perché penso di avere la forza per andare avanti da sola.
3) Sono soddisfatta dei rapporti che ho con gli amici perché sono riuscita ad instaurare delle
relazioni profonde con molte persone e quindi posso dire che per quanto rigurda il campo affettivo
non vorrei che cambiasse qualcosa nel futuro.
4) Penso che la donna, ma anche l'uomo, debba imparare ad essere più se stessa. E per questo
basterebbe seguire una sola regola, cioè che non esistono regole di comportamento, regole sul
modo di pensare e di vivere. Solo così una persona potrà diventare «Persona» e non solo o uomo o
donna.
Rossella, 16 anni 1) Grazie al movimento delle donne di allora, ora la donna è riuscita ad ottenere una certa libertà
nel rapporto col sociale e una certa sicurezza in se stessa. In questo periodo di «stasi» in cui si è
passati dal collettivo al privato, anche il movimento delle donne ha ricalcato questo aspetto.
Sembra che il progresso si sia bloccato oppure sia portato avanti in una maniera per me non valida.
Mi sembra che le nuove femministe siano delle fanatiche maschiliste che con il loro modo di fare
ricalcano gli stereotipi maschili.
2) Vorrei innanzitutto riuscire a realizzare me stessa, rendermi economicamente indipendente ed
essere rispettata e considerata grazie alle mie capacità e alla mia sensibilità nel campo del lavoro,
nei rapporti interpersonali e sociali. Anche se posso sentirmi incoraggiata o ostacolata nelle mie
scelte, spesso agisco di testa mia.
3) In realtà non è ancora stato costruito un rapporto con i compagni, in parte per una mia scelta,
poichè mi sento anarchica internamente ma non ancora del tutto fisicamente. Il giorno che io
deciderò per mia scelta di entrare nel movimento vorrei essere considerata come Rossella e non
come «donna di ... » poiché ora la mia impressione è quella di essere considerata così.
4) Col mio ragazzo non esistono problemi di parità ma problemi di possessività per entrambi.
Inoltre per amore lui tende ad evitarmi e a non lasciarmi fare esperienze, non lasciarmi risolvere i
problemi da sola o influenzando le mie scelte. Per cui desidererei una maggior fiducia.
5) Non può esistere un modo universale di essere donna, ma ciascuna dovrebbe sapersi costruire il
proprio modo di essere donna.
Vogliamo continuare
1) Per chi, come te, ha vissuto il periodo caldo del femminismo, accettandolo o rifiutandolo, ma
sempre dall'interno, cosa è stata questa esperienza e cosa è cambiato oggi? 2) Oggi il dibattito verte soprattutto su temi come il ritorno a casa, la bellezza della maternità, ma
anche sulla scelta della solitudine, su nuovi obiettivi sul lavoro e sulla società stessa. Come hai impostato la tua vita, anche alla luce delle tue esperienze passate, e perché hai fatto
queste scelte? 3) Se provi ad immaginare un modo diverso di essere donna rispetto agli schemi tradizionali, cosa
pensi dovrebbe cambiare nel comportamento delle donne? E solo delle donne?
Adriana, 35 anni 1) La mia personale esperienza del femminismo, come probabilmente quella di molte altre donne
che già erano inserite in una attività politica iniziata nel '68, ha segnato quattro tappe nella mia
crescita personale che sintetizzerò così: a) riscoperta del privato; b) rapporti fra donne; c)
conoscenza di sè; d) indipendenza. a) Per l'attività politica precedente contava poco l'individuo, era la massa che dava forza e faceva
muovere; pur non volendo rinnegare questa esperienza, mi pare che il cambiamento di fronte e il
modo di comportarsi di molti compagni sia dipeso proprio dal fatto che la crescita dell'individuo
non era tenuta sufficientemente in considerazione. Mi sembra che il principio secondo cui non si
cambia il mondo se non si cambiano le persone non fosse troppo considerato. Il femminismo
significò per me il prendere in considerazione la storia personale di ognuna di noi per capire qual
era la realtà in cui vivevamo. b) Il cominciare a parlare di noi apertamente ci ha abituate a non considerare i nostri problemi
come solo «nostri» e ha portato a una solidarietà fra donne superiore a qualunque altro tipo di
solidarietà che avevo riscontrato nei gruppi in cui avevo militato. L'«autocoscienza» avrà avuto i
suoi difetti (le famose «menate») ma ha dato nuovo valore all'amicizia. c) La scoperta dei problemi comuni e la possibilità di risolverli mi ha fatto acquistare maggiore
sicurezza in me stessa. I gruppi di studio (per conoscere il ruolo della donna nella storia) e la
pratica del self-help mi hanno dato una conoscenza di essere donna e la gioia, pur tra mille
difficoltà, di esserlo. Risultato: sapevo di essere diversa dagli uomini ma ero orgogliosa di esserlo. d) Il risultato di questo processo fu la mia indipendenza. Ora, visto che sono «felicemente» sposata
con un figlio, credo sia necessario spiegare cosa significa per me essere indipendente. Non significa
vivere per conto mio, né mantenermi da sola (anche se questa seconda cosa è vera, anzi sono io che
guadagno di più), e neppure voler vivere indipendentemente dal mio compagno; significa invece
avere indipendenza di giudizio, di pensiero, di comportamento, essere disponibile al confronto ma
non dipendere da lui nelle scelte, come era invece prima (quando militavo attivamente lui era un
leader). Forse dipende anche dall'età che ho, ma mi sento libera, ho sempre voglia di lottare per tutto ciò
che ritengo giusto, non voglio che la famiglia (il mio ruolo di moglie e di madre) prenda il
sopravvento su di me donna (individuo con i suoi desideri e i suoi problemi). Ora non «milito» più in un gruppo femminista (anche se talvolta ne sento la nostalgia) e quindi
rispetto ad allora è cambiato il mio ruolo rispetto al movimento (da attivo a passivo), ma per me
sono rimasti tutti i valori che da quelle lotte mi sono venuti e che fanno di me quella che sono ora.
2) Come ho già detto sono una donna che lavora e che ha famiglia; non rinnego nessuna di queste
scelte anche se oggi, se ne avessi le possibilità economiche, sceglierei di non lavorare. Il lavoro che
faccio mi piace abbastanza e mi dà discrete soddisfazioni (economiche e non), ma mi porta via
molto tempo. Mio figlio cresce e crescono sempre più le sue esigenze conoscitive e io mi sento in
dovere di dargli tutto quanto è in mio potere di dargli, ma il tempo libero è poco e anche io ho le
mie esigenze; la difficoltà sta nel riuscire ad avere tempo per lui senza togliere tempo a me; se non
lavorassi naturalmente tutto sarebbe più facile. Per quanto riguarda la mia vita diciamo che va divisa in due: lavoro e famiglia. Per il lavoro ho
scelto di fare un lavoro sempre più qualificante e sempre più gratificante per me stessa (vorrei,
come ho già detto non lavorare, ma visto che devo, reputo giusto farlo nel miglior modo possibile)
ed anche per testimoniare, se ancora ce n'è bisogno, il ruolo attivo che la donna deve avere. Per la famiglia la intendo così: siamo tre persone che si amano e si rispettano, ognuna ha i suoi
bisogni ma anche i suoi doveri, se ci si ricorda sempre questo non si può che vivere bene. Con mio
marito la questione è chiara, anche se talvolta succede che uno dei due (non necessariamente lui)
cerchi di avere il sopravvento o di dimenticarsi i bisogni dell'altro. Per quanto riguarda il bambino,
ogni giorno è una battaglia per fargli capire che io non sono la mamma a sua disposizione per
preparargli da mangiare e lavarlo, ma una persona diversa da lui con cui vive. Nello specifico poi,
dato che è un maschio, cerco di evitare che cresca come sono cresciuti i maschi delle precedenti
generazioni, non rinunciando neppure a mettere in risalto gli atteggiamenti sbagliati nei confronti
miei o delle altre donne, del padre o degli altri uomini che ci stanno intorno. Non ho ancora perso la
speranza che possa diventare un uomo migliore. Mi sono dimenticata di dire perché ho scelto di
avere una famiglia, ma in realtà non ho scelto: mi sono sposata dieci anni fa, quando ancora non si
pensava a soluzioni diverse (fu già diversità lo sposarmi in municipio) e ho fatto un figlio sul
nascere del movimento femminista. La scelta è stata fatta dopo, e cioè scelsi, anche nei momenti di
maggior crisi della nostra unione, di continuare (la scelta ovviamente fu di entrambi) su questa
strada perché è una esperienza che mi interessa (sopratutto quella della maternità) e perché con loro
due sto sostanzialmente bene. Può darsi che domani faccia una scelta diversa, ma credo che
comunque non sarà mai una scelta di solitudine perché non amo vivere sola, mi piace sapere che
quando voglio ho qualcuno con cui parlare, confrontarmi e, perché no, litigare. Ciononostante
quando capitano brevi periodi in cui rimango sola (senza marito e senza figlio) mi godo
ampiamente questa «solitudine» forse proprio perché so che è temporanea.
3) Innanzitutto distinguerei fra le donne che hanno coscienza di sè e no. Per le seconde si
tratterebbe innanzitutto di fare la lunga strada dell'indipendenza, del rispetto di se stesse. Non è
nemmeno necessario lavorare fuori casa per questo, anche stando in casa si può cambiare ruolo, se
si smette di considerarsi al servizio degli altri, sempre pronte al sacrificio dimenticando se stesse.
Quando le donne si sentiranno loro pari agli uomini, sarà più facile fare in modo che gli uomini le
considerino pari. Pari ma non uguali. L'atteggiamento degli uomini deve cambiare, ma credo che
sarà una conseguenza del cambiamento delle donne. Per esperienza personale tutti gli uomini (o
quasi tutti) che hanno vissuto o subito le conseguenze del femminismo sono cambiati o almeno
hanno capito che non potevano che adeguarsi. Nessuno rinuncia ad una posizione di privilegio se
non vi è costretto: sta a noi costringerli e le persone e le condizioni cambieranno. Credo che perché
delle persone possano convivere (anche uomini e donne) siano necessari alcuni «compromessi»,
cioè che entrambe le persone o i gruppi possano cedere su questioni non sostanziali per venire
incontro alle esigenze dell'altro; ma questo può avvenire se le persone partono da una situazione di
parità. Questo significa che le donne, una volta acquisita la propria indipendenza e forza (e solo
allora) possono tendere una mano agli uomini.
Irene, 34 anni Mi è assai difficile, se non impossibile, dare organicità a 15 anni della mia vita, e che 15 anni! Ed è
per me assai difficile, nel tentativo di spiegarmi, scindere di quegli anni l'esperienza femminista da
quella politica. Sarebbe stato diverso il mio approccio al femminismo - partecipato ma critico - e le
mie scelte come donna - e come individuo - se non avessi vissuto una realtà politica come quella
del movimento giovanile degli ultimi anni '60? E quanto hanno inciso sulla mia «militanza
politica» le mie convinzioni sulla necessità della liberazione della donna? In effetti me lo domandavo anche allora, senza riuscire mai a darmi una risposta: e così mi
ritrovavo sistematicamente negli interminabili «scazzi» fra «femministe pure» e «politiche» a tifare
ora per le une, ora per le altre senza mai schierarmi, totalmente e definitivamente, né con le une, né
con le altre. Ma qualunque fosse la collocazione c'era una cosa che mi faceva «sperare» nel
femminismo: e cioè ci si era rese conto che si doveva analizzare la realtà partendo da noi stesse e
quindi non soltanto dalla nostra «storia» ma, soprattutto, con i nostri strumenti e con la nostra
ottica. Era un metodo di lavoro integrativo, ma meglio ancora alternativo, rispetto alle classiche
riunioni politiche di discussione sui massimi sistemi a base di dotte citazioni dei soliti leader
riconosciuti: si era capito che il problema non era quello di diventare «brave» come i maschi (e
quindi non si doveva parlare di «emancipazione») ma di trovare una propria identità specifica, di
rileggere la storia (con la «esse» maiuscola) e la propria vita, di fare delle proprie «debolezze» i
punti di partenza delle proprie conquiste; di riempire parole come solidarietà, indipendenza,
conflittualità, antagonismo, dignità, conoscenza (tutte di assoluto monopolio maschile) di valori
femminili. Non so se questo era uno scopo del movimento, e non credo che per tutte le donne abbia
significato, come per me, aver imparato a rivendicare la mia diversità (perché se dio vuole, siamo
proprio diverse dagli uomini!) come forza e non come debolezza; a non scimmiottare gli uomini; a
capire che se dolcezza e intelligenza sono qualità positive lo devono essere sia per gli uomini che
per le donne. Non mi hanno mai interessato invece i girotondi, o le gonne a fiori, o le interminabili
e tragiche riunioni di autocoscienza da cui si usciva completamente distrutte; così come mi sono
sempre rifiutata di dividere il mondo e l'umanità in buoni (le donne) e cattivi (gli uomini) o di
considerare tutte le donne, per il solo fatto di essere tali, indistintamente mie «sorelle» (ne ho
conosciute troppe che non stimavo e di cui non condividevo le scelte per poter generalizzare la
«solidarietà», e poi se Susanna Agnelli mi può essere «nemica» meno di suo fratello Gianni, mi è
sempre nemica!) e gli uomini tutti indistintamente degli schiavisti. Ho filtrato quello che partendo
dalla mia esperienza era da considerarsi assolutamente marginale e folcloristico e quello da cui si
doveva partire per costruire qualcosa. E' forse per questa operazione che, oggi come oggi, considero ancora, nonostante tutto, l'esperienza
femminista un'esperienza positiva: perché anche se, come tutte le donne che in quegli anni hanno
deciso di pensare ai propri problemi e alla propria storia, mi ritrovo adesso nella classica posizione
di chi ha capito in parte la realtà ma è impotente perché non ha gli strumenti per cambiarla, ho
imparato però che sono solo io, senza delegare nulla a nessuno, che riuscirò a trovare questi
strumenti. E' più che logico quindi che tutto ciò abbia deciso, e assai profondamente, sulle mie scelte e quindi
su quello che sono oggi. Mi è cresciuta una voglia enorme di indipendenza (e non solo materiale):
non mi sono né sposata, né accoppiata stabilmente; non ho fatto figli, odio il mito della maternità
(soprattutto se selvaggia) e del matrimonio nella stessa misura in cui odio il mito della
sottomissione femminile o del successo individuale. Non credo che per una donna indipendenza
significhi necessariamente solitudine (se devo pensare a persone sole penso alle nostre madri o a
quelle donne che non riescono a vivere se non in simbiosi con il «proprio» uomo) e neppure che,
per difendere questa indipendenza si debba diventare una brutta copia degli uomini tesi ad avere
riconoscimenti e gratificazioni solo ed esclusivamente nel sociale. Non credo che la liberazione
della donna passi attraverso il rifiuto a rifare i letti o debba essere una riedizione del suffraggismo -
eroico ed encomiabile - sempre troppo limitato a donne privilegiate ed in ogni caso tendente ad
ottenere il più possibile di quello che gli uomini hanno già. Non bisogna rivendicare eguaglianza
ma diversità (è liberazione poter lavorare in miniera?) perché il problema non è di condividere la
torta in parti uguali ma sta nel rifare completamente questa maledetta torta. Mi rendo perfettamente conto che queste sono solo parole, e anche alquanto fumose e scoordinate:
ma credo anche che molte donne, nel meraviglioso isolamento delle loro case, stiano rimuginando
queste parole. E quando tornerà ad esistere possibilità di confronto e quindi di chiarimento ci
conosceremo un pochino di più e torneremo ad impugnare spinosissimi carciofi al posto delle
insopportabili mimose. Perché se proprio identificarsi in qualcosa, meglio streghe che madonne!
Ornella, 37 anni 1) Sostanzialmente nulla in quanto la collocazione della donna nella società è legata sempre a
fattori individuali di bisogni, cultura e interessi. Nel campo del lavoro sono pochissime le donne
veramente determinate e a quelle né l'uomo né altro si contrappongono.
2) Ho impostato la mia vita sul matrimonio e di conseguenza sulla maternità, perché credevo e
credo nella vita di coppia. Ho avuto attorno fin dall'infanzia uomini che ritenevano che i due sessi
fossero complementari a vicenda e il fatto di avere un ruolo preciso mi sembra giusto. Non mi sono
posta allora il problema del «lavoro» perché pur avendo molti interessi e discrete capacità non ero
evidentemente spinta da una grossa molla in tal senso. Il tipo di lavoro che avrei potuto svolgere mi
avrebbe privato di cose per me importanti. Tento di far capire alle mie figlie che «indipendenza» è
un fatto fisico e mentale, è RESPONSABILITA', DETERMINAZIONE NEI PROPRI DOVERI,
AUTOSTIMA, FEMMINILlTA'.
3) Quali sono gli schemi tradizionali oggi? Ripeto ogni donna si muove nel suo tessuto sociale
secondo le sue inclinazioni e la sua cultura. Le donne dovrebbero essere più coerenti nelle loro
parole e azioni. Non dovrebbero permettere a nessuno di mettere in forse il loro operare
cominciando dal non farsi prevaricare dai figli di ambo i sessi. Non vedo perché dovrebbero
chiedere ad altri di «cambiare» nei propri confronti, si «chiede» quando si è in una manifesta
condizione di inferiorità o disparità, è come cercare un favore. Più volontà dunque e più senso di
responsabilità.
Grazia, 38 anni Poche parole sul passato, non mi piace rispolverare i ricordi, sanno di ammuffito. Passato trascorso
su binari abbastanza opachi, aggangiata alla famiglia, quindi protetta sotto tutti i punti di vista, ma
anche asfissiata dove le contraddizioni e le gerarchie erano all'ordine del giorno. Obbiettivo: uscire
dalla gabbia e molto presto per poter finalmente essere libera di muovermi come desideravo, anche
a costo di sbattere la testa. Ero stanca di sentirmi ripetere le stesse cose: studia così troverai un posto di lavoro ben retribuito,
aiuta in casa così quando ti sposerai saprai cucinare e sbrigare le faccende domestiche, diffida degli
uomini che si avvicinano: vogliono solo divertirsi e se sbagli ... non troverai più marito, la nostra
famiglia ha sempre fatto bella figura: non si può, non si deve sbagliare. Avevo un'unica certezza:
non poterne più. E dopo il diploma, la scelta; il lavoro, che non feci (mi fu imposta da mia madre,
presenza guida da sempre e dispensatrice di tutti i consigli) mi parve la più giusta anche se
incominciai subito a farmi prendere dal panico: non ero mai uscita dal mio guscio e il pensiero di
affrontare il mondo mi terrorizzava e mi intimidiva. Ad infondermi un pò di coraggio erano i
discorsi delle mie amiche e di altre donne anch'esse insofferenti della loro condizione: non
vogliamo fare la vita delle nostre madri, nonne, bisnonne sempre in casa ad allevare figli, accudire
vecchi, invecchiare in mezzo ai campi ... Vogliamo andare in città tra la gente, tutte quelle luci ... i negozi ... lavorare in fabbrica o negli
uffici, fare di tutto pur di andare. E poi perché no, finalmente con un'occupazione avrei sposato il
mio compagno di scuola, al quale ero affezionata fin da bambina e avrei impostato con lui una vita
diversa con interessi nuovi ... Proprio in quel periodo, a sconvolgere i vecchi schemi e a portare
un'aria nuova erano le donne, le più emancipate, le cosiddette «femministe». «Prima aspirazione è l'autonomia, impegnarsi a fondo per non accettare mai la dipendenza». Fra i
tanti messaggi, raccolsi immediatamente questo, era forse quello che in quel preciso momento
faceva comodo a me. Infatti quel periodo per me fu il più produttivo, il più intenso. Lavoravo,
lavoravo senza troppo preoccuparmi se il lavoro mi realizzasse o meno. Risultato: esteriormente un
certo benessere che mi permise di fare tante cose, interiormente subentrava giorno dopo giorno il
malessere. Ho vissuto l'amore con mio marito credendoci fino in fondo ma ricredendomi più tardi al cadere di
tante illusioni. Più la casa si faceva bella e spaziosa, più si restringeva il mio spazio fisico, credevo
di godere di una certa autonomia, invece ancora in gabbia: toccava sempre a me cedere, compatire,
comprendere. Più tardi mi sentii incapace di prendere le più banali iniziative ... tanto avevo sempre
la carta perdente. Ho pagato caro e sto ancora pagando per questo mio atteggiamento passivo di
apatia e di sfiducia. Dispiaceri, solitudine, nervi a pezzi il tutto ha compromesso il mio stato di
salute in generale. Intanto le altre donne lavoravano, lottavano (anche per me) facendo attività politica e sindacale,
ottenendo alcuni diritti. Sulla carta riuscirono ad ottenere molte cose: il nuovo diritto di famiglia,
divorzio, aborto pulito, parità almeno teorica sul lavoro, eguaglianza giuridica agli uomini, ma
chissà come mai la realtà non cambiava. Quasi a fare intendere che il rapporto sadomasochistico tra
uomo e donna ha radici così profonde da impedire la nascita di qualsiasi altro tipo di rapporto.
Situazione oggi: boicottaggio dell'aborto, allontanamento dal posto di lavoro data la dilagante
disoccupazione. Cosa si intende fare? Lasciare ancora posti agli uomini? L'invito (NO GRAZIE) a
fare «dietrofront» tutte a casa? Chiara l'attenzione, troppo comodo! A casa per fornire quei servizi
sociali che non si è riusciti a far funzionare: assistenza ai bambini, ai vecchi, agli handicappati, alla
famiglia in generale? Aspettative e delusioni della generazione che oggi è nella mia fascia d'età: 30-40 anni: percentuale elevata di matrimoni falliti, nuovi soggetti da studiare da parte degli psichiatri,
bambini nevrotizzati, vecchi abbandonati... Sembra, da quanto si legge sui giornali, ritornino di moda i matrimoni in pompa magna con
concerto d'organo tutto compreso, castità prematrimoniale, ripresa della curva delle nascite come
«completamento del matrimonio». Sbalordita, esterrefatta, disorientata mi chiedo dove va una società che ha di questi orientamenti,
che fa queste scoperte geniali! Il femminismo, l'individualismo sono già superati? Forse le donne
hanno già ottenuto ciò per cui lottavano? La questione dei diritti civili è forse già stata risolta? O
forse perché le donne, le più giovani, molte cose se le son trovate già fatte e rinunciano a
proseguire. Sta tirando ancora una brutta aria mi sembra. Io personalmente non tornerò più indietro, cascasse il
mondo. E' vero, ho fatto nulla o poco per meritarmeli, ma sono decisa, quei pochi spazi che ho
ottenuto, a non lasciarmeli rapinare da nesuno. Mi si chiede: cosa pensi dovrebbe cambiare nel comportamento delle donne e solo delle donne?
Proseguire sulla linea intrapresa approfondendo il messaggio di libertà. Insisto sul concetto di
libertà per riuscire a vivere insieme uomo e donna, «persone», in modo diverso. I problemi si moltiplicano e si aggravano? Ebbene questi problemi dovranno in futuro riguardare
donne e uomini in egual misura, perché quando nella vita pubblica si compiono delle
discriminazioni e in quella privata esiste infelicità ed incertezza è un gran casino: chi oggi becca il
colpo, prima o poi si prende il contraccolpo.
Graziella, 43 anni 1) L'apparire del femminismo ha significato per me dare un nome e una fisionomia ai miei pensieri
più profondi, alle sensazioni, ai desideri che erano dentro di me da anni. A quei tempi partecipavo
ad alcune assemblee alla Libreria delle donne, per confrontarmi e anche per riconoscere che il
malessere che ogni giorno provavo vivendo nella società non erano mie fantasie personali, ma reali
situazioni vissute da altre donne come me. Da allora ho lottato con più accanimento, non mi sentivo
più così «strana» come mi giudicavano uomini e donne che conoscevo. Gli scontri più duri apparivano fra le pareti domestiche col mio compagno e con mia madre radicati
nel loro ruolo tradizionale. Oggi qualcosa è cambiato nel femminismo e anche in me. Purtroppo nel mondo del lavoro il
cambiamento è stato veramente minimo; continuo a lavorare con la capacità dei miei colleghi
maschi e lavoro, a volte più di loro, senza avere però i loro vantagi o i loro riconoscimenti. La cosa più importante è stata la conoscenza che ora ho di me stessa e la capacità di capire e
analizzare chi mi sta vicino. Anche nell'ambito familiare qualcosa è mutato: rifiuto apertamente i
ruoli tradizionali e il rapporto con il mio compagno è cambiato: mi sento più sicura, più forte nei
suoi confronti, non ho quasi più paura ad affrontare la vita senza lui, mi sento completamente
indipendente da lui, dai suoi schemi, dai ruoli che spesso cerca ancora di addossarmi.
2) Ho un lavoro che non mi soddisfa più, ma che continua a darmi una certa indipendenza
economica, che ritengo di importanza vitale per una donna che non voglia sentirsi legata e
dipendente da un uomo. Vivo con una figlia con la quale ho impostato un rapporto, oltre che di profondo affetto, di
amicizia, antiautoritario e di massima libertà, ma che qualche volta si ritorce a mio danno,
facendomi sentire usata da lei. Ho sposato un uomo che, giorno dopo giorno, con enormi fatiche e
durissime lotte ho cercato di capire e di farmi capire e questo pesante lavoro non è ancora finito.
Tutto questo è una mia precisa e cosciente scelta, anche se pago di persona, anche se la lotta
assorbe quasi totalmente tutte le mie energie vitali, ma non riuscirei a viverla in maniera inconscia
e dipendente, come fanno tante donne che conosco, la cui vita è spesso, grazie a questo, più facile e
comoda della mia.
3) Io mi auguro che tutte le donne possano cambiare, che possano essere se stesse, sia nel privato
che nel sociale, e non delle imitatrici di situazioni e vita maschile o degli oggetti privi di «anima»
secondo i ruoli secolari della cultura maschile; che possano crearsi un linguaggio, una cultura al
femminile e ritrovare il proprio immaginario. La mia «immagine di donna ideale» è quella di una peresona libera, indipendente, sicura di se
stessa, delle sue emozioni, del suo corpo, in armonia con se stessa e con il mondo esterno a sè, che
non teme la solitudine e l'abbandono, che non si prostituisca per comodità o per paura, che sia priva
di schemi e dei ruoli maschili e femminili che la società ha stabilito. Per quanto riguarda l'uomo,
questo dovrebbe liberarsi dall'enorme, secolare bagaglio dei miti della superefficienza, della virilità
ad ogni costo, della forza fisica e psichica indiscussa, della sicurezza che spesso non possiede, della
pazza corsa alla carriera e al consumismo per sentirsi qualcuno, dal suo distorto immaginario
erotico, ecc; allora si sentirebbe più «leggero», più umano, scoprirebbe in sè quella metà femminile
che ogni uomo possiede e che ha sempre soffocato perché la società, il potere gli ha imposto di
farlo, pena il non essere uomo.
Lotte solitarie
1) In questi ultimi anni il femminismo è stato un'esperienza sociale importante, ha lasciato un
segno indelebile, ha portato cambiamenti. Che impatto ha avuto sulla tua vita, in parte già
scelta e vissuta, il problema donna? 2) Oggi che la maternità torna ad essere di moda tu come giùdichi la tua esperienza di
madre? Quanto ha cambiato la tua vita? Influito sulle tue scelte (lavoro, famiglia)? Cosa
ti ha lasciato ora che i figli sono grandi? Fino a che punto è stata una scelta libera? 3) Durante la menopausa le donne vengono considerate in stato di depressione che viene
imputato a squilibri ormonali. Pianti, stanchezza, depressione, sensazione di fallimento,
paura della vita e della solitudine. Hai vissuto un periodo simile nella tua vita e come lo
spieghi? 4) Sono passati molti anni dalla tua gioventù. Quali sono le differenze fondamentali tra i
comportamenti delle tue figlie, con l'impatto dell'esperienza femminista e i tuoi della loro
età?
Piera, 61 anni l) Io non ho seguito molto il femminismo nel suo sviluppo. Mi è rimasto sostanzialmente estraneo,
sopratutto perché non mi sono confrontata, non mi sono guardata in giro, probabilmente per
pigrizia. In parte anche perché nel periodo d'oro del femminismo ero in una grossa crisi personale,
troppo presa quindi per analizzarlo, vederlo realmente.
2) Se devo fare un bilancio globale direi che è stata una buona esperienza. In fondo ero «destinata»
ad essere madre. Per me è stata una vera e propria scelta, anche se non avevo certo deciso di non
avere sei figli. Comunque volevo dei figli, senza mi sarebbe mancato qualcosa. Nonostante questo
è stata una scelta faticosa, difficile che ha cambiato molto la mia vita: ho dovuto lasciare un lavoro
che mi piaceva, o che perlomeno, anche se non era la massima realizzazione, mi permetteva di
evadere dal solito trantran, di non restare chiusa in casa, di conoscere gente. Ho dovuto troncare
con tutto questo. Non potevo fare diversamente, non avrei saputo dove mettere i figli, allora non
c'erano molte scelte e io non avevo nessuno, non parliamo poi dei nidi. È stata una grossa rinuncia.
Del resto le mie soddisfazioni le ho avute con i figli, non certo dal rapporto con mio marito. Con
loro ho instaurato un rapporto diverso. Ho sbagliato verie volte, ma l'ho sempre riconosciuto; è
assurdo pensare di aver ragione solo perché si è madri. E anche per questo il mio rapporto con loro
è positivo. Sono riuscita a non buttarmi solo su di loro, a rendermi conto che la loro indipendenza è
importante, nonostante il rischio fosse grosso perché sono stati quasi l'unica cosa positiva della mia
vita.
3) Un periodo del genere io l'ho passato ed è stato tragico. Non sono convinta che sia una questione
ormonale, forse c'è qualche squilibrio, ma il problema è molto più a fondo. Quando passi la
menopausa pensi di essere finita come donna, è logico allora tirare le somme della tua vita che
spesso sono allucinanti, come non essere depresse. Io ho sofferto molto per questo, la mia vita
sembrava senza senso: la mia vita di coppia era zero, vivevo e vivo con un uomo con cui non
riuscivo a comunicare, i figli, giustamente, diventano grandi, hanno le loro vite, al resto avevo
rinunciato. Cosa mi restava? Ecco, nella menopausa, secondo me, molte donne tirano le somme della loro vita, i loro bilanci e si
accorgono che non hanno più niente in mano. Il rapporto di coppia viene a mancare. Per molti
uomini la donna in menopausa è finita e quindi non la guardano nemmeno più, buona al massimo a
far la serva, e una si sente ancora più inutile. È stato molto difficile uscirne. Prima di tutto c'era stata la rassegnazione, poi però mi sono accorta
che ci sono ancora soddisfazioni nella vita: un bel libro da leggere, un bel film da andare a vedere.
Ho imparato a pensare a me stessa più di quanto non facessi prima, non avevo più la responsabilità
di prima, tutta una famiglia sulle spalle, è un periodo della mia vita più mio. Sarebbe bello se lo potessi vivere con un altro: poter parlare, discutere, ritrovarsi, invece io ho
scoperto anche la solitudine; vivo da sola, posso parlare solo con me stessa, potrebbe essere
altrimenti con un uomo che vive incollato al televisore e che ha buttato il cervello al macero? Il segreto è anche questo: imparare a vivere da soli, anche accanto ad un altro.
4) Se devo essere sincera, non vedo grandissime differenze. Sarà perché io sono stata fortunata, ho
avuto un padre molto aperto con cui ho avuto un rapporto bellissimo (basta pensare che mi fece
studiare, cinquant'anni fa, perché mi piaceva). Poi sono andata a lavorare a Milano e ho sempre
avuto una certa libertà: uscivo, andavo in giro con i miei amici, in vacanza da sola. Quasi, quasi ero
più libera in famiglia che dopo sposata. Certo, c'erano delle differenze: allora la verginità era
importante ed era difficile parlare coi ragazzi, in paese specialmente si era subito segnate. Eravamo
due mondi separati. D'altra parte se devo riconoscere una differenza fondamentale tra me e le mie figlie è il diverso
rapporto con i genitori. Nonostante il rapporto con mio padre io non ho mai avuto il coraggio di
parlare con i miei come la mie figlie hanno parlato con me. Certi argomenti semplicemente non
esistevano. E poi, nonostante tutto, la discussione era molto limitata, l'ultima parola era sempre dei
genitori. Loro parlavano e i figli obbedivano. Anche per questo forse l'ho sentita come una
mancanza, io ho deciso di vivere un rapporto diverso con i figli; non mi sembrava giusto che la
ragione dovesse stare tutta da una parte. Molto meglio parlare, discutere, senza certezze, senza
pregiudizi, pronte a mettersi in discussione sempre, riconoscere i propri errori, essere vicini, pronti
ad aiutare, ma anche stare indietro, non interferire, lasciarli sbagliare da soli (e questo a volte è la
cosa più difficile). Ma alla fine il mio rapporto con i figli mi è piaciuto perché se a loro è servito, e
penso di sì, è servito anche a me, anzi è servito più a me che a loro. Mi ha fatto rimanere giovane,
mi ha dato elasticità di mente, capacità di essere ancora viva oggi.
Ileana, 53 anni 2) La mia esperienza di madre non ha assolutamente cambiato la mia vita: tutto era già stato scritto
da secoli. Caso mai, ciò che l'ha cambiata fondamentalmente è stata la mia esperienza di anti-madre. E qui debbo dire nessuno mi è stato d'aiuto, tutto è stato inventato. Terra bruciata dietro e davanti a
me. Neppure i miei figli emancipati, perché, anche se a livello incoscio, trovano comoda una madre
tradizionale. Perciò, si lo confesso, a loro ho dichiarato guerra per primi. E non è stato facile! Tutti i terreni e
tutte le armi sono state usate da loro per annientarmi. Ma gloriosamente, come una vecchia e logora bandiera, ho resistito. Si, per loro e per me. Oggi, un rapporto nuovo si è stabilito tra noi. Non è certo un idillio, ma nemmeno lo vorremmo. Le
incazzature sono la regola, ma il rapporto, se non è ideale, è per lo meno reale. Niente è distorto da
false immagini. Forse abbiamo inventato un nuovo modo di amarci, coltivando i nostri sani
egoismi. Hanno influito sulle mie scelte di lavoro e di vita? Certamente si, ma le mie decisioni sono
state sempre coscienti; ho tenuto conto anche dei miei spazi, per cui, anche con enormi
responsabilità, la mia vita è stata piena e interessante. Oggi che i miei figli sono cresciuti, assaporo profondamente la mia libertà conquistata; sono
finalmente padrona del mio tempo, dei miei pensieri e delle mie risorse economiche (anche questo
è importante). E' stata una scelta libera, la mia? Chi lo sa. Forse né io né i tempi eravamo maturi.
Ma è inutile piangere sul latte versato.
3) Sarei tentata di rispondere che non esiste (Ma il giudizio psicoanalitico mi sarebbe sfavorevole!).
Che è soltanto una deprecabile abitudine mentale, la conseguenza di un errato modo di vivere. I disturbi elencati nella domanda, con la depressione, sono a mio avviso conseguenziali ad essa. Però a questo punto come far quadrare il mio bilancio con gli squilibri ormonali? E se fossero
sintomi psicosomatici? Però non sono voce autorevole di medico, ma solamente una donna che ha
vissuto in modo diverso questo periodo della mia vita. In modo diverso da quello che il medico,
l'uomo, la società si aspettavano da me. Posso dirvi che se riesci a ridimensionare ed impari a convivere con la tua «depressione» ne esci
senza lasciarci troppo le penne. Ma a questo punto sorge in me il primo dubbio: forse questa è un'operazione che faccio da sempre
e che continuerà sino alla fine della mia vita. E' un consiglio che va bene per tutti i sessi e per tutte
l'età. Ma allora se è una ricetta universale che cosa centra la «MENOPAUSA»? Ed ecco sorgere il secondo dubbio. Non sarà la conseguenza della castrazione della tua vita di donna/amante. Ti guardi intorno! I
compagni si sentono tanto più giovani, le loro attenzioni si volgono a quelle che per età potrebbero
essere loro comodamente figlie. Si, sono sempre gentili, ti stimano, ti vogliono anche bene, ma
diciamolo francamente: ti usano lo stesso trattamento che hanno verso una cara parente ammalata.
E tu? E' abbastanza ovvio, reagisci con una bella, sana, tradizionale MENOPAUSA. Il classico alibi istituzionalizzato diventato di massa. Posseduto in egual misura da proletari,
borghesi ed intellettuali. Ma allora che cos'è la MENOPAUSA: un'invenzione; un'astrazione. Per quanto mi riguarda, credo proprio di si.
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