Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 111
giugno 1983


Rivista Anarchica Online

La donna dimezzata
di Maria Teresa Romiti

«Evidentemente anch'essi, come i tavolini dell'astronave, contenevano una donna: una donna rimossa, messa in silenzio, ridotta ad una bestia; una furia ingabbiata». Ci sono più di undici anni luce tra la verde Urras che orbita intorno alla stella TauCeti e la terra ... ci sono millenni di storia, nelle esperienze umane, ci sono migliaia di società differenti; ma le donne si trovano sempre lì, fantasmi ingabbiati nella mente degli uomini.
Immagine e simbolo, potenza e paura. Dove cercare allora le migliaie di Giovanne, Elena, Mary, Francis sparse per il mondo con la loro vita, la loro pena, le loro gioie, la loro vera essenza? Esperienze distanti, chiuse in clichè antichi di secoli, vestite della corazza del simbolo, impossibilitate ad uscire o solo gridare il proprio rifiuto, il proprio io.
Pianeta donna, pianeta muto, frammenti di realtà sparse che non riescono ad avvicinarsi, isole di un arcipelago senza ponti né barche.
Siamo partite proprio alla ricerca di questo pianeta, un'impresa disperata, ma tanto ci siamo abituate, come al solito destinata al probabile fallimento. Siamo partite dalla nostra isola, per cercare prima di tutto noi stesse, la nostra autonomia, il nostro vero essere, cercare di dare parole alla realtà per costruire le prime fragili passerelle.
In mano solo il modello, l'ipotesi abbozzata mesi fa: la donna non produce cultura autonomamente perchè essa è solo simbolo nell'immaginario. Nella grandiosa costruzione a base della cultura umana le donne sarebbero solo segni, spostate all'esterno del cerchio: eterno femminino senza autonomia di volo.
Ma allora che cosa siamo? Cosa vorremmo essere? Domande senza risposta per ora, sappiamo solo quello che non vogliamo essere.
Non vogliamo essere quell'immagine ingabbiata, dai confini netti e precisi, collocata al centro dell'universo ma, come una statua, senza vita. Non vogliamo neppure essere uomini, cercare di imitare, male, come tutte le copie, il modello maschile, lo stereotipo virile, essenza altrettanto tarpata, altrettanto racchiusa in schemi rigidi. Abbiamo davanti una strada buia di cui distinguiamo a malapena i confini. A volte scivoliamo perchè i modelli culturali sono più forti dell'individuo e occorre un lavoro continuo, un'attenzione sempre desta per evitare le trappole. È una fatica improba il cui premio spesso è lo stupore, l'incomprensione, la paura degli altri per le diverse. Inguaribili utopiche, pazze visionarie, cercheremo la nostra autonomia, il nostro essere, la nostra realtà ... la nostra solitudine.
Ma non basta, la ricerca personale è destinata ad essere muta, esperienza impossibilitata a comunicarsi. Nell'universo simbolico, costruzione collettiva, esistono solo i modelli che rifiutiamo. Rifiutarli vuol dire anche essere inesistenti. Ricostruire, ricomporre l'immaginario è allora una necessità per ridare realtà ad un'essenza diversa.
Partire quindi dall'analisi dei temi centrali della vita. Noi ne abbiamo affrontati alcuni, molti altri ne avremmo voluto toccare, altri ancora speriamo vengano da altri uomini e donne, proprio perchè il simbolico si costruisce insieme, si cambia insieme.
Partire dalla realizzazione perfetta, donna uguale madre, spesso l'unica possibilità di riconoscimento, di status sociale: la mistica della maternità è vero, ma è solo questo? Perchè si sceglie la maternità? Può essere una scelta libera? Si può ripensarla in prima persona?
Francesca, una giovane spigliata ragazzina, mi ha raccontato di quanto la maternità l'affascini: «È un'esperienza misteriosa, incomunicabile». E in fondo le sembra logico, è stata madre forse?
Io penso ad un'altra esperienza, altrettanto universale e altrettanto individuale: l'amore.
Emotivamente, fisicamente, psicologicamente coinvolgente, l'amore resta un'esperienza in parte unica, separata dalle simili esperienze degli altri individui. Ma non è incomunicabile, anzi è l'esperienza più raccontata nella storia dell'umanità. In mille sfaccettature, con migliaia di variazioni, occupa un posto centrale. Anche chi confessa di non essersi ancora innamorata/o sa cos'è l'amore: lo conosce, lo aspetta, sa cosa vuole.
Per la maternità non è possibile. E' l'esperienza del mistero. Nessuna donna può comunicare la sua esperienza. Non la può tradurre nel solo linguaggio che conosciamo, la cultura: rimane sempre insondabile. Caricata di orpelli è stata resa muta, mito senza parole. Angoscia quasi schizofrenica che conduce a vivere un'esperienza senza poterla trasferire nel proprio immaginario. Una realtà incomprensibile nel momento stesso in cui la si vive che divide l'io tra l'essere e la percezione dell'essere, un'esperienza che rimane mistero.
Cicli, mestruo, concetti altrettanto insondabili, elaborati con l'essenza dell'estraneità, della non-percezione. Non partire anche da questi concetti ha mutilato il nostro immaginario, ha eliminato delle possibilità di sviluppo. Per esempio, non abbiamo mai avuto la possibilità di una riflessione autonoma sulla sessualità. Il rapporto privilegiato con un essere diverso, altro da sé, spesso di un altro sesso, è sempre difficile: luogo del simbolico, mito individuale e collettivo, non riesce quasi mai ad essere rapporto tra due io. Ci si perde nei labirinti mentali, tra archetipi che regnano incontrastati in sovrapposizioni continue di fantasia e realtà. Luogo della libertà? Forse, ma solo perchè qui il simbolico è padrone, dove si sono incontrati millenni di fantasmi, desideri, paure, mostri, immagini. Si può lasciare libero chi è prigioniero della propria mente. E' qui che sorge l'altra faccia del mito donna uguale madre o donna uguale dark-lady.
Donna fatale, bellezza pallida e misteriosa, simile ad una ragno o ad una mantide che attira gli uomini per ridurli schiavi e poi ucciderli. Dalla Iside velata alla «belle dame sans merci», da Isthar la potente alle belle tenebrose di Edgard Allan Poe, da Medusa, colei che pietrifica, alle «black-ladies» del cinema hollywoodiano, il clichè si ripete sempre: vampiro insaziabile, la donna distrugge a poco a poco l'uomo, lo conduce in abissi sempre più profondi fino ad ucciderlo.
Dark lady o madre, sempre comunque simbolo, immagine fantasmica che vive di vita propria nel cervello umano, riflesso umiliato della realtà. E' forse da qui che nasce la paura che diventa violenza? Paura verso la grande madre, Venus Genitrix, paura verso la donna sensuale, ma anche paura di non essere sufficientemente «uomo», sufficientemente maschio, paura che diventa dimostrazione violenta della propria «virilità»?
O forse è da qui che nasce il disagio di molti uomini di fronte alle nuove donne che lavorano? Forse no, segue altri sentieri, ma esiste. Così come esiste il fenomeno: le donne occupate aumentano sempre di più. Perchè? Cosa spinge le donne fuori casa: necessità, ricerca di autonomia, soddisfazione? Che lavori cercano, cosa vogliono? E' una vera liberazione o non piuttosto la scelta di una doppia prigione, in una opposizione casa/ufficio che è una falsa scelta?
Certo il lavoro dà l'indipendenza economica, la possibilità finalmente di non dover dipendere da nessuno. E' anche un modo per uscire dalla soffocante prigione della casa. Quattro mura dove, rinchiuse, le donne ripetono fino all'esasperazione gli stessi gesti negli stessi momenti. Ma ha un prezzo da pagare, in fatica, delusione, frustrazione. Non può essere che così con un lavoro che non sa essere altro che dovere, imposizione, noia. A meno di cercare il successo, ma allora bisogna anche adeguarsi ai modelli maschili, farli propri, finire per usare altre donne e altri uomini per i propri scopi. Un lavoro creativo, soddisfazione dei propri interessi e delle proprie capacità è un altro sogno utopico, una ricerca che richiede cambiamenti radicali.
In fondo è la nostra ricerca dare vita al sogno nuovo, alla visione che cambia il mondo che si fa realtà. Perchè tutto ciò che esiste, prima è stato sognato.