Rivista Anarchica Online
La donna fatale
di Paola Amparore
Donna, sesso, divisione dei ruoli, tutti problemi rispetto ai quali si pensava di aver fatto qualche passo avanti, ma che, fatto salvo un certo mutamento formale, sono rimasti pressoché irrisolti nella sostanza, pur dopo tanti anni di femminismo. Ed ecco che oggi dalle pagine di questa stessa rivista la questione è stata rimessa in particolare rilievo tramite la pubblicazione di vari articoli. Non è possibile fare a meno di chiedersi perchè questo fatto si verifichiproprio adesso, o meglio perchè l'esigenza di un più approfondito dibattito sul tema sia giunta proprio ora a maturazione. Probabilmente la risposta è molto semplice. In un periodo di riflusso e di assenza di conflittualità sociale si ritorna ad un più immediato confronto con il privato, e lì si scopre o si trova conferma del fatto che non solo ben poco è cambiato,ma che valori che erano stati messi in discussione da più parti sono stati ripristinati. Certo uno dei primi problemi a ritornare a galla è quello del ruolo della donna, così strettamente legato alla sfera del
privato. Fin qui tutto va bene. Ma indubbiamente assumersi il compito di rilanciare tali tematiche non è cosa
da poco, data la complessità che esse oggi presentano. Infatti non si tratta solo di rispolverare il
patrimonio culturale del femminismo anarchico e di riproporlo, ma di andare ben oltre. Si tratta di
mettere a confronto questo patrimonio culturale con lo sforzo di rinnovamento teorico che anima parte
del movimento anarchico, con la più consapevole e disincantata visione della società che oggi abbiamo
ed inoltre di riflettere sulla validità dei percorsi sino ad ora seguiti. Se non è questa la tensione che ci anima, si corre a mio parere un terribile rischio. Non solo si
tarperebbero le ali a quel pò di spirito libertario che ancora traspira dalla problematica femminista, ma
di essa si farebbe uno degli ultimi tristemente strascicati,sofferti, sentimentali rifugi di una certa visione dell'anarchismo e della militanza anarchica che oggi
sono completamente in crisi. Il fatto che il femminismo, per via della sua diversa configurazione
socio-politica, abbia conservato maggior freschezza rispetto ad altre questioni quali l'operaismo o la
credenza nell'imminenza rivoluzionaria, ecc., non ci autorizza certo a pensarlo immune dalle stesse
critiche politico-strutturali che sono state mosse a questioni come queste ultime. Se tengo a tali precisazioni è perchè mi sembra di aver riscontrato, negli articoli di cui sopra, una
sicurezza non sufficientemente documentata di chi si sente nel giusto, perchè giusta è la sua causa.
Se così è, non posso ritrovarmi in un atteggiamento che dovrebbe essere a mio avviso più umile,
ma fermo nella ricerca di mezzi e linguaggi che sono ancora in gran parte (e lo sottolineo) da
inventare. Ma addentriamoci di più nell'argomento. Cercherò di analizzare, senza presunzioni di originalità o
di esaurimento del problema, cosa si nasconde dietro l'addobbo attraverso il quale la divisione dei
ruoli si manifesta. E' sicuramente vero che la donna è il simbolo del sesso per eccellenza con tutte le frustrazioni e le
castrazioni che questo comporta per l'individuo-donna, ma allora è anche vero che essa è la figura
predominante nella sfera sessuale presa in astratto. Sono il suo corpo, la sua bocca, il suo seno e
ancora il suo abbigliamento, la giarrettiera, le calze a rete a evocare nella mente sia femminile che
maschile l'immagine del sesso, dell'erotismo o della pornografia. La proprietà di questo
immaginario è stata data con unanime consenso all'uomo, e se provassimo a ribaltare un pochino la
questione? L'immaginario erotico con cui abbiamo a che fare è certamente voluto dall'uomo, ma a
metterlo in scena, a interpretarlo, a crearlo è anche e soprattutto la donna. Non dipingiamoci sempre
come delle imbecilli, se per tanti secoli ci siamo occupate quasi esclusivamente di sesso e di
riproduzione: in queste cose avremo pur messo, con le ovvie limitazioni, parte della nostra
personalità, della nostra diversità. Qualcuno potrebbe obiettare che c'è poco da vantarsi ad essere
creatori della propria schiavitù, ma se bisogna lottare per distruggere il ruolo che ci viene imposto,
perchè non farlo partendo da considerazioni nuove e forse più stimolanti? L'ambito sessuale può essere interpretato come lo spazio della discrezionalità maschile rispetto al
sistema. L'uomo (maschio) in qualità di detentore del potere è costretto a dedicare molta attenzione
alla sua ufficialità, deve saper controllare e dominare. Non saprei figurarmi una schiera di ministri
o di dirigenti industriali che fossero anche dei simboli sessuali alla stessa stregua della donna: i loro
vestiti grigi, le loro camicie bianche e le loro cravatte non lasciano dubbi. Così come vedo una certa
inconciliabilità tra l'autorità paterna di tipo classico e delle lunghe sedute dal parrucchiere o in
sartoria. La semplicità e la banalità degli esempi mi sembra abbiano la loro contropartita
nell'immediatezza con cui ci presentano l'autorità e il potere come categorie non sostenibili tramite
la fantasia, bensì tramite regole la cui apparente inevitabilità sia facilmente comunicabile e
imponibile. Il sesso invece è più amico della fantasia e la sua capacità di andare a toccare le corde più nascoste
dell'animo umano lo rendono poco amante di una rigida ufficialità. Su tali basi mi sembra possibile affermare che l'uomo (maschio) inserito nel sistema viva una sorta
di rapporto schizofrenico col sesso: da un lato la propria ufficialità, dall'altro il piacere di perdere la
propria identità nel rapporto sessuale. Questo piacere lo vive come un momentaneo allontanamento
dalle normali regole del potere, lo vive appunto come lo spazio dove esercita la propria
discrezionalità rispetto al sistema. Tutto ciò gli è possibile a patto che conservi solo per se stesso la
facoltà di esercitare tale potere discrezionale. La donna deve quindi restare costretta entro i limitati
confini del suo ruolo, ma essa diventa anche la signora del sesso tanto affascinante quanto
pericolosa, perchè vive e agisce in un campo minato per il potere, un campo dove esso stesso
accetta di smarrirsi e di diventare altro da sé pur con precise modalità. Ma a questo punto può venire spontaneo chiedersi perchè sia proprio la donna, che è così
intimamente legata alla sessualità, ad essere meno disponibile, meno spregiudicata verso le
manifestazioni del sesso (si pensi alla pornografia). La risposta è altrettanto ovvia e può essere
distinta in individuale e sociale. A livello individuale non bisogna dimenticare quanto sia difficile
affrontare senza una punta di tristezza e di amara sofferenza ciò che ci ricorda la nostra storia di
individui unidimensionali. Sul piano sociale non sarebbe possibile al sistema permettere un diverso
stato di cose: se tutte le donne sviluppassero una loro coscienza sessuale, un personale e autonomo
immaginario erotico, secondo le attuali categorie di valori il mondo si popolerebbe di "puttane"
(ricordiamoci che un termine di identico significato morale al maschile non esiste). Infatti queste
signore del sesso quando prendono coscienza del loro dominio, o riescono ad esercitarlo in qualche
buio anfratto più o meno previsto e accettato dal sistema, o diventano "puttane" (il termine va
sempre inteso in senso morale). Proprio per questi motivi non credo sia necessario identificare come punto obbligatorio di
passaggio per la liberazione della donna il rifiuto globale dell'immaginario erotico, della sessaulità
con cui già si trova a convivere. Questo non porterebbe che ad esaudire l'imperativo di una delle
facce del potere. E' piuttosto indispensabile superare, anche se può essere molto faticoso,
l'inimicizia posta tra la femmina e il ricco sottobosco della cultura sessuale che indubbiamente
appartiene anche a lei. La grigia e castigata immagine della donna che tanto deleterio femminismo
ha proposto, più che tendere ad un superamento dell'unidimensionalità non ha fatto altro che
soffocare quell'unica dimensione, vitale e piena di promesse, che ci appartiene. Mi riferisco ad una
tendenza alla critica degli aspetti negativi di certi simboli, in quanto strumenti attraverso cui il
potere esercita la sua repressione sulla donna, senza la rivendicazione, per me indispensabile, degli
stessi simboli come positiva espressione del linguaggio sessuale. Non c'è contraddizione. Come
non c'era contraddizione nella mia rabbia contro certi "sessantottini" che identificavano la loro
lotta contro il potere con la lotta contro i simboli del potere e che si sentivano infinitamente
costruttivi magari per il fatto di vivere in soffitte umide e di avere delle romantiche bronchiti. Ho
sempre rivendicato il mio diritto al rifiuto del masochismo e a combattere il potere godendo delle
migliori condizioni fisiche e psichiche. Così rivendico il mio diritto a dire che non mi danno nessun
fastidio le giarrettiere, le gonne con lo spacco e le magliette scollate, allo stesso modo come non mi
danno fastidio i vestiti più castigati. E' una questione soggettiva. Quel che è certo è che a me non
dispiace se un uomo per la mia gonna un pò più corta o il mio vestito un pò più attillato mi guarda
con negli occhi il brillio del desiderio. E scagli la prima pietra chi è pronta a negare di provare
piacere in queste situazioni, soprattutto se l'uomo in questione desta il nostro interesse...
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