Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 111
giugno 1983


Rivista Anarchica Online

La donna fatale
di Paola Amparore

Donna, sesso, divisione dei ruoli, tutti problemi rispetto ai quali si pensava di aver fatto qualche passo avanti, ma che, fatto salvo un certo mutamento formale, sono rimasti pressoché irrisolti nella sostanza, pur dopo tanti anni di femminismo. Ed ecco che oggi dalle pagine di questa stessa rivista la questione è stata rimessa in particolare rilievo tramite la pubblicazione di vari articoli.
Non è possibile fare a meno di chiedersi perchè questo fatto si verifichiproprio adesso, o meglio perchè l'esigenza di un più approfondito dibattito sul tema sia giunta proprio ora a maturazione. Probabilmente la risposta è molto semplice. In un periodo di riflusso e di assenza di conflittualità sociale si ritorna ad un più immediato confronto con il privato, e lì si scopre o si trova conferma del fatto che non solo ben poco è cambiato,ma che valori che erano stati messi in discussione da più parti sono stati ripristinati. Certo uno dei primi problemi a ritornare a galla è quello del ruolo della donna, così strettamente legato alla sfera del privato.
Fin qui tutto va bene. Ma indubbiamente assumersi il compito di rilanciare tali tematiche non è cosa da poco, data la complessità che esse oggi presentano. Infatti non si tratta solo di rispolverare il patrimonio culturale del femminismo anarchico e di riproporlo, ma di andare ben oltre. Si tratta di mettere a confronto questo patrimonio culturale con lo sforzo di rinnovamento teorico che anima parte del movimento anarchico, con la più consapevole e disincantata visione della società che oggi abbiamo ed inoltre di riflettere sulla validità dei percorsi sino ad ora seguiti.
Se non è questa la tensione che ci anima, si corre a mio parere un terribile rischio. Non solo si tarperebbero le ali a quel pò di spirito libertario che ancora traspira dalla problematica femminista, ma di essa si farebbe uno degli ultimi tristemente strascicati,sofferti, sentimentali rifugi di una certa visione dell'anarchismo e della militanza anarchica che oggi sono completamente in crisi. Il fatto che il femminismo, per via della sua diversa configurazione socio-politica, abbia conservato maggior freschezza rispetto ad altre questioni quali l'operaismo o la credenza nell'imminenza rivoluzionaria, ecc., non ci autorizza certo a pensarlo immune dalle stesse critiche politico-strutturali che sono state mosse a questioni come queste ultime.
Se tengo a tali precisazioni è perchè mi sembra di aver riscontrato, negli articoli di cui sopra, una sicurezza non sufficientemente documentata di chi si sente nel giusto, perchè giusta è la sua causa. Se così è, non posso ritrovarmi in un atteggiamento che dovrebbe essere a mio avviso più umile, ma fermo nella ricerca di mezzi e linguaggi che sono ancora in gran parte (e lo sottolineo) da inventare.
Ma addentriamoci di più nell'argomento. Cercherò di analizzare, senza presunzioni di originalità o di esaurimento del problema, cosa si nasconde dietro l'addobbo attraverso il quale la divisione dei ruoli si manifesta.
E' sicuramente vero che la donna è il simbolo del sesso per eccellenza con tutte le frustrazioni e le castrazioni che questo comporta per l'individuo-donna, ma allora è anche vero che essa è la figura predominante nella sfera sessuale presa in astratto. Sono il suo corpo, la sua bocca, il suo seno e ancora il suo abbigliamento, la giarrettiera, le calze a rete a evocare nella mente sia femminile che maschile l'immagine del sesso, dell'erotismo o della pornografia. La proprietà di questo immaginario è stata data con unanime consenso all'uomo, e se provassimo a ribaltare un pochino la questione? L'immaginario erotico con cui abbiamo a che fare è certamente voluto dall'uomo, ma a metterlo in scena, a interpretarlo, a crearlo è anche e soprattutto la donna. Non dipingiamoci sempre come delle imbecilli, se per tanti secoli ci siamo occupate quasi esclusivamente di sesso e di riproduzione: in queste cose avremo pur messo, con le ovvie limitazioni, parte della nostra personalità, della nostra diversità. Qualcuno potrebbe obiettare che c'è poco da vantarsi ad essere creatori della propria schiavitù, ma se bisogna lottare per distruggere il ruolo che ci viene imposto, perchè non farlo partendo da considerazioni nuove e forse più stimolanti?
L'ambito sessuale può essere interpretato come lo spazio della discrezionalità maschile rispetto al sistema. L'uomo (maschio) in qualità di detentore del potere è costretto a dedicare molta attenzione alla sua ufficialità, deve saper controllare e dominare. Non saprei figurarmi una schiera di ministri o di dirigenti industriali che fossero anche dei simboli sessuali alla stessa stregua della donna: i loro vestiti grigi, le loro camicie bianche e le loro cravatte non lasciano dubbi. Così come vedo una certa inconciliabilità tra l'autorità paterna di tipo classico e delle lunghe sedute dal parrucchiere o in sartoria. La semplicità e la banalità degli esempi mi sembra abbiano la loro contropartita nell'immediatezza con cui ci presentano l'autorità e il potere come categorie non sostenibili tramite la fantasia, bensì tramite regole la cui apparente inevitabilità sia facilmente comunicabile e imponibile.
Il sesso invece è più amico della fantasia e la sua capacità di andare a toccare le corde più nascoste dell'animo umano lo rendono poco amante di una rigida ufficialità.
Su tali basi mi sembra possibile affermare che l'uomo (maschio) inserito nel sistema viva una sorta di rapporto schizofrenico col sesso: da un lato la propria ufficialità, dall'altro il piacere di perdere la propria identità nel rapporto sessuale. Questo piacere lo vive come un momentaneo allontanamento dalle normali regole del potere, lo vive appunto come lo spazio dove esercita la propria discrezionalità rispetto al sistema. Tutto ciò gli è possibile a patto che conservi solo per se stesso la facoltà di esercitare tale potere discrezionale. La donna deve quindi restare costretta entro i limitati confini del suo ruolo, ma essa diventa anche la signora del sesso tanto affascinante quanto pericolosa, perchè vive e agisce in un campo minato per il potere, un campo dove esso stesso accetta di smarrirsi e di diventare altro da sé pur con precise modalità.
Ma a questo punto può venire spontaneo chiedersi perchè sia proprio la donna, che è così intimamente legata alla sessualità, ad essere meno disponibile, meno spregiudicata verso le manifestazioni del sesso (si pensi alla pornografia). La risposta è altrettanto ovvia e può essere distinta in individuale e sociale. A livello individuale non bisogna dimenticare quanto sia difficile affrontare senza una punta di tristezza e di amara sofferenza ciò che ci ricorda la nostra storia di individui unidimensionali. Sul piano sociale non sarebbe possibile al sistema permettere un diverso stato di cose: se tutte le donne sviluppassero una loro coscienza sessuale, un personale e autonomo immaginario erotico, secondo le attuali categorie di valori il mondo si popolerebbe di "puttane" (ricordiamoci che un termine di identico significato morale al maschile non esiste). Infatti queste signore del sesso quando prendono coscienza del loro dominio, o riescono ad esercitarlo in qualche buio anfratto più o meno previsto e accettato dal sistema, o diventano "puttane" (il termine va sempre inteso in senso morale).
Proprio per questi motivi non credo sia necessario identificare come punto obbligatorio di passaggio per la liberazione della donna il rifiuto globale dell'immaginario erotico, della sessaulità con cui già si trova a convivere. Questo non porterebbe che ad esaudire l'imperativo di una delle facce del potere. E' piuttosto indispensabile superare, anche se può essere molto faticoso, l'inimicizia posta tra la femmina e il ricco sottobosco della cultura sessuale che indubbiamente appartiene anche a lei. La grigia e castigata immagine della donna che tanto deleterio femminismo ha proposto, più che tendere ad un superamento dell'unidimensionalità non ha fatto altro che soffocare quell'unica dimensione, vitale e piena di promesse, che ci appartiene. Mi riferisco ad una tendenza alla critica degli aspetti negativi di certi simboli, in quanto strumenti attraverso cui il potere esercita la sua repressione sulla donna, senza la rivendicazione, per me indispensabile, degli stessi simboli come positiva espressione del linguaggio sessuale. Non c'è contraddizione. Come non c'era contraddizione nella mia rabbia contro certi "sessantottini" che identificavano la loro lotta contro il potere con la lotta contro i simboli del potere e che si sentivano infinitamente costruttivi magari per il fatto di vivere in soffitte umide e di avere delle romantiche bronchiti. Ho sempre rivendicato il mio diritto al rifiuto del masochismo e a combattere il potere godendo delle migliori condizioni fisiche e psichiche. Così rivendico il mio diritto a dire che non mi danno nessun fastidio le giarrettiere, le gonne con lo spacco e le magliette scollate, allo stesso modo come non mi danno fastidio i vestiti più castigati. E' una questione soggettiva. Quel che è certo è che a me non dispiace se un uomo per la mia gonna un pò più corta o il mio vestito un pò più attillato mi guarda con negli occhi il brillio del desiderio. E scagli la prima pietra chi è pronta a negare di provare piacere in queste situazioni, soprattutto se l'uomo in questione desta il nostro interesse...