Rivista Anarchica Online
Rompere il cerchio
di Fausta Bizzozzero
E' vero. Sulla rivista in passato le tematiche relative alla condizione della donna sono state affrontate
in modo sporadico e frammentario. Ed è altrettanto vero che solo negli ultimi tempi si è tentato un
approfondimento con la pubblicazione di articoli frutto del lavoro e della discussione di un gruppo di
anarchiche. Perché proprio ora? Le motivazioni sono diverse seppure collegate fra loro. Innanzi tutto perché stiamo
vivendo, tutti quanti, un periodo di crisi profonda. Crisi esterna, della società, che si manifesta in mille
modi ma il cui dato più significativo, per le implicazioni che comporta, è una perdita di valori, di punti
di riferimento ideali, e il conseguente rifiuto di tutto ciò che può essere percepito come «politico». Crisi
interna, nostra, perché abbiamo fatto attività politica per tanti anni nell'unico modo che sapevamo ed
ora ci ritroviamo nell'impossibilità di utilizzare i vecchi strumenti, i vecchi codici perché non ci sono
più interlocutori che parlano e capiscono il nostro linguaggio; crisi nostra perché, consci di questa
incomunicabilità, non abbiamo ancora trovato la capacità/determinazione di cambiare prima di tutto
noi stessi. Ecco, in questa riflessione (che abbiamo solo abbozzato) generale che investe tutto il nostro
modo di essere e di agire come «animali politici», si inserisce anche il nostro interesse per l'universo
donna. Lo sforzo di rinnovamento teorico in atto da alcuni anni in alcuni settori del movimento ci
sembra insufficiente, dovrebbe, a nostro avviso, essere accompagnato da uno sforzo parallelo di
tradurre nella pratica, nell'attività concreta di tutti i giorni questo rinnovamento, ricercando e
sperimentando mezzi e linguaggi che ci permettano di arrivare davvero ai nostri interlocutori. Ed è
importante che questo sforzo di rinnovamento teorico e di traduzione pratica comprenda anche il
problema «donna», finora mai affrontato seriamente perché dato per scontato. In realtà, come dici anche tu, al di là delle dichiarazioni di principio e di piccoli cambiamenti formali,
ben poco è cambiato: in questo campo, ma non solo in questo, il divario tra l'essere e il voler essere è
ancora enorme. Non credi sia importante cominciare a rifletterci? Non è cosa facile, proprio perché, come dici anche tu, «mezzi e linguaggi sono ancora in gran parte
da inventare», proprio perché il nostro modo di rappresentarci il mondo, e i codici che usiamo per
comunicare questa rappresentazione non sono «nostri», perché il nostro immaginario è in realtà solo
l'immagine speculare di quello maschile. Non fa eccezione l'immaginario erotico, e lo riconosci anche tu: la donna è il simbolo del sesso, è il
segno senza il quale sarebbe impensabile la comunicazione. Certo il segno è importante, anzi
fondamentale. Certo la donna è la prima attrice e, come ogni buona attrice, si cala nel personaggio, lo
arricchisce con le sue sfumature, ci mette la sua intelligenza e la sua sensibilità. Ma il copione non si cambia, è sostanzialmente immutabile, da sempre. Sono permesse leggere modifiche formali
che però debbono essere in sintonia con lo spirito di fondo del copione, debbono legare
armoniosamente con gli elementi costitutivi del testo. Ogni buona attrice, quindi, può dar vita ad
uno spettacolo molto «personale», può caratterizzare il personaggio a seconda del suo
temperamento, ma sempre attrice rimane e di un testo che non ha scritto e che non può cambiare. A
meno che non decida di scrivere i suoi copioni. A meno che non smetta di recitare e cambi
mestiere. E' probabile che sia come dici tu, che cioè nella pièce del rapporto sessuale l'uomo possa finalmente
esercitare la propria discrezionalità, sfuggendo alle normali norme del potere e alla sua immagine
pubblica. Ma questo potere discrezionale, in un rapporto a due, su chi viene esercitato, se non sulla
donna? L'attrice «costretta entro i limitati confini del suo ruolo» diventa allora prima ed unica
attrice, primadonna, addirittura «la signora del sesso tanto affascinante quanto pericolosa» perché è
così che l'uomo la vuole, perché è così che l'uomo l'ha sempre pensata, sognata, immaginata. E
l'attrice, la «signora del sesso», ha imparato nei millenni ad affinare la sua arte, ad arricchire la sua
parte, assecondando e accreditando questa immagine vecchia come il mondo, introiettandola a tal
punto da essere incapace di pensarsi in modo diverso. La storia è piena di esempi: da Lilith a Circe,
dalla Laura delle «chiare fresche dolci acque» a Lucrezia Borgia, da Marguerite Gautier all'Angelo
Azzurro. Che sia proprio impensabile e impossibile cambiare il segno, cambiare il copione, cambiare parte,
cambiare mestiere? Chissà perché, ti chiedi, «la donna che è così intimamente legata alla sessualità» è meno
«disponibile, meno spregiudicata verso le manifestazioni del sesso (si pensi alla pornografia)».
Bisognerebbe capire cosa intendi per pornografia, ma secondo l'uso corrente del termine si
dovrebbe trattare di film hard-core, riviste specializzate per uomini, ecc. ecc.. Una possibile
risposta è che tutta questa produzione è pensata e realizzata per rispondere ad esigenze, per fornire
sollecitazioni a un pubblico preciso, quello maschile. Forse, quindi, le donne non ci si possono
ritrovare completamente perché altre sarebbero le loro esigenze, altre le sollecitazioni necessarie.
O, forse, ed è sicuramente il nostro caso, perché preferiamo di gran lunga fare l'amore che non
vederlo fare. D'altro canto il voyeurismo ci risulta essere tipicamente maschile, o sbagliamo? Pensare a un «rifiuto globale dell'immaginario erotico, della sessualità con cui già ci si trova a
convivere» sarebbe pura follia, nessuna di noi si è votata alla castità né intende farlo, anzi. Né ci è
mai passato per la testa di riproporre un'immagine grigia e castigata della donna, che non piace a te
come a noi. Ma questo non deve impedirci di tentare di analizzare l'unico immaginario erotico
esistente, l'unico modo di vivere la sessualità per cercare di cambiario, per far sì che il segno su cui
si fonda diventi due, che gli attori diventino due, che il testo sia scritto da due. Non sappiamo bene come, l'abbiamo già detto, ma riteniamo che senza questo cambiamento diventi
veramente «utopistica» qualunque ipotesi rivoluzionaria. Non si può pensare di cambiare il mondo
se prima non si cambiano gli esseri umani. Certo un punto di partenza potrebbe essere l'analisi di quei simboli che da sempre la cultura del
potere (di segno maschile) ci ha appiccicati. Tu sostieni che vanno rivendicati come «positiva
espressione del linguaggio sessuale», ma poiché l'unico linguaggio sessuale esistente è quello del
potere e quei simboli sono il prodotto di una immagine della «femmina» che certo non abbiamo
prodotto noi, mi sai dire cosa c'è di nuovo e di sovversivo nel rivendicare qualcosa che ci hanno
sempre imposto proprio perché è così che ci vogliono? Anche l'abbigliamento non è solo una questione soggettiva, di gusto, bensì di comunicazione. Noi
possiamo anche pensare di fregarcene del messaggio che diamo vestite in un certo modo: resta il
fatto che il ricevente decodifica il messaggio secondo il codice in vigore e noi non possiamo
modificarne il senso. E resta il fatto che se e quando noi cerchiamo di vestirci in un modo piuttosto
che in un altro, di metterci una gonna con lo spacco o le giarrettiere nere, che lo facciamo
coscientemente o, per lo più in modo inconscio, intendiamo comunicare un messaggio preciso:
eccomi qui, sono come tu mi vuoi. Siamo sempre dentro al cerchio magico. Ogni tanto sbattiamo malamente la testa contro il suo
perimetro ideale tentando di uscire, ma inutilmente, come una falena sbatte contro il vetro di una
finestra illuminata. Che sia proprio impossibile spezzare il cerchio? O siamo noi che, in fondo in
fondo, non lo vogliamo?
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