Rivista Anarchica Online
Un requiem per il '68?
di Salvo Vaccaro
Un fantasma «politico» si aggira per l'Italia post-moderna: è lo spettro del '68. Evocandolo,
esorcizzandolo, inglobandolo, respingendolo, sembra che a 15 anni tutti gli attori politici, collettivi
o soggettivi, non ne possono fare a meno, pur vedendolo come uno degli ostacoli più grossi per il
dispiegamento pieno dello «spirito del 1984», l'alter ego emblematico del '68. Non sono un (ex)sessantottino, all'epoca avendo 9 anni e ricordando nitidamente solo l'aspetto più
eclatante, mediato dai mass-media, dell'enorme massa di corpi a stento racchiusa entro Les Champs
Elysèes. Lo spunto per queste mie considerazioni mi è dato dal destino dei protagonisti più pubblici; non
cioè dei protagonisti tout court, ché occorrerebbe una seria indagine sociologica «door to door»
(porta a porta), come direbbero gli americani - chissà che fine hanno fatto, oggi, arancioni, detenuti
politici, rifluiti, impiegati, e via dicendo. Mi riferisco all'aspetto più pubblico, di quella gente il cui
impegno politico li ha portati ad essere oggi dirigenti di partito o di partitino, intellettuali,
giornalisti, amministratori locali: una porzione ben piccola, dunque; e, per altro, la meno
significativa seppure la più idonea a fungere da analizzatore di una certa eredità che il '68 ha
trasmesso, ambiguamente. Il PSI di Claudio Martelli si è fatto promotore di una campagna di recupero (spiazzando i radicali,
già candidati in questo ruolo-aspiratutto), organizzando convegni, riviste, aggregazioni, confluenze.
Sembrerebbe un itinerario lineare che ha portato dall'illusione al progetto della Grande Riforma,
identici nei fini e diversi nei mezzi, incarnati rispettivamente nelle forze progressiste di ieri - i
movimenti extra-parlamentari - e di oggi - il PSI ben parlamentare -. Una continuità insomma, nel segno e nel senso dei tempi odierni. Questo 1968 diventerebbe un
gran calderone, ambiguo, Giano bifronte, senza progetto, senza senso, che ha partorito dopo ...
anni, agli estremi, dei lottarmatisti, degli autonomi, e dei neo-riformisti. Il tutto iscritto saldamente
sul terreno della politica, nella sua forma classica (partiti, strategie direttive, intellettuali-organici,
ecc.). Fortunatamente, siamo più complessi della realtà che si vuole spacciare per tale, e subito ci salta la
mosca al naso; e non per dietrologia spicciola, per carità, scopriremmo oggi il vuoto più
annichilente. Dietro l'apparente continuità, si cela la frattura radicale, il taglio definitivo con il '68,
la sua cultura, la sua pratica, ciò che ha rappresentato - un punto fermo per chi voglia oggi riflettere
diversamente, a patto di respingere nostalgie poco temibili - e ciò che rappresenta - una diversità,
con la cultura e la pratica attuali, la cui presenza ostacolerebbe l'affermarsi del «1984». I giochi aperti sul '68, sotto la pretesa etichetta della continuità, non fanno altro che rifiutare le
novità apportate nel 1968 dai movimenti di rivolta: critica della politica e delle sue forme,
immissione della quotidianità nella progettualità di un cambiamento presente della qualità della
vita, critica del tempo tripartito in passato/presente/futuro, ricerca dell'eros trasversalizzato in tutte
le esperienze molteplici della vita sociale, traslazione dell'agire collettivo dal piano della politica al
piano della socialità diffusa. Chi ha speculato sul '68 - le teorie e le pratiche lottarmatiste, le teorie e
le pratiche autonome, le teorie e le pratiche neo-riformiste - ha avvertito l'imbarazzo di questo stile
differente, messo in soffitta per lo più ma riconoscibile, con le dovute diversità, negli attuali
movimenti di rivolta europea. Occorreva un taglio netto, molto più discriminante ed emarginante, un cadavere da mostrare agli
increduli e ai testardi, ai nostalgici e ai rifluiti (che poi il cadavere porti consenso e/o voti elettorali,
questo è un aspetto successivo da non sottovalutare). La complementarietà delle varie operazioni di assassinio - dalla rievocazione rituale alla
retrospezione omicida, dal rigetto all'inglobamento - evidenzia l'esigenza contabile: fare i conti
significa chiudere i conti, tirare un bilancio; voltare pagina nel registro dice più dello stesso
simbolismo, significa cambiare discorso, qualità del discorso, stile di vita. Ciò è necessario per chi
voglia oggi candidarsi prepotentemente ed efficientemente alla gestione della cosa pubblica e delle
vite private, al controllo delle informazioni, dei dati, delle energie di sviluppo e di auto-riproduzione, alla governabilità del sistema. Il 1968 sottolineava l'utopia collettiva e socializzante della tensione soggettiva verso il
cambiamento della qualità della vita in una direzione diversa, più umana, più partecipativa,
autogestionaria. La vacuità di queste espressioni, un tempo tradotte in slogans efficaci e potenti,
suggestivi e promozionali, manifesta lo spirito del 1984: oggi gli slogans, altrettanto efficaci,
suggestivi, incitano alla depoliticizzazione, alla privatizzazione, alla governabilità tecnocratica, al
controllo informale, all'anonimato del dominio, alla acefalia del potere istituzionale, alla crisi della
razionalità emancipatrice che precluderebbe definitivamente qualsiasi istanza di trasformazione
qualitativa. Senza entrare nel merito specifico di queste retoriche - nel senso greco di discorso
seducente, potente, delegittimato - queste vie antitetiche a ciò che voleva essere il '68 - una sigla
che nasconde qualcosa di corposo, non vuoto simulacro - passano per la rottura completa. E' opportuno sottolineare che, da parte mia, non si vuole compiere esattamente l'operazione inversa,
enfatizzando e riproponendo semplicemente il 1968 come referente unico e privilegiato. Ricadrei
nella stessa logica a-critica che mi sforzo di combattere. Vi è però l'esigenza di arginare la tendenza
a re-fluire ad di qua del '68, smontando e spuntando ciò che la critica della cultura, in senso lato
come civiltà del dominio, aveva apprestato attraverso strumenti teorici e pratici sulla via del
cambiamento. Né la mia è una mera azione di difesa, non correndo rischi nostalgici e ... legali. E' la convinzione
che, sul campo della critica, quindi operando una scelta netta e ben precisa, il 1968 rappresenta, in
alcune sue espressioni teoriche e pratiche da ri-costruire, il punto più alto raggiunto da movimenti
di pensiero e di azione in questo ultimo dopoguerra, in Occidente. Non riproposizione, pertanto, ma scelta di campo, consapevole della necessità di spingersi più oltre,
dove il 1968 non è arrivato perchè non poteva, perchè oggi non è ieri, for the times they are
changing («perché i tempi stanno cambiando»).
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