Rivista Anarchica Online
La tecnologia è neutra (o no?)
«Scusate il ritardo, stavo giocando a Crazy Kong» (sullo scorso numero di «A», pag. 40): vale la pena
dedicargli un briciolo di riflessione. Non amo l'arroganza insita in quella lettera, la presunzione, ma
cederò sicuramente alla polemica. Inizio con i miei desideri: io vorrei vivere in una società che mi possa dare stimoli diversi da quelli che
dominano nella nostra, dove la distribuzione dei beni sia diversa dall'attuale e siano radicalmente
diverse le responsabilità politiche della gestione sociale e persino i rapporti interpersonali. Vorrei
lottare per questo e credo che ovunque nella quotidianità esistano le possibilità di farlo. Così anche sul
lavoro come nel tempo che qualcuno osa definire libero. Non è facile. Non è facile perché è sempre più difficile avere le idee un poco chiare sulle dinamiche politiche e
sociali che ci avvolgono e ci stritolano nel loro dolce abbraccio; difficile capire quale tornaconto, quali
gratificazioni abbiamo per cui accettiamo acriticamente tutti gli stimoli che il potere ci propina (però
magari critichiamo il sistema capitalistico in generale costruendoci idealmente sistemi alternativi). Credo che l'anarchismo quotidiano sia anche un processo dinamico secondo il quale un individuo opera
costantemente una serie di rifiuti e, di conseguenza, relative scelte. Gli anarchici non sono manichei,
sicuro. Nulla è cattivo in sé, come nulla è buono. Un coltello può servire ad affettare il pane come a
sgozzare una persona: non è il coltello ad avere qualità ma il suo uso in relazione ad un codice
particolare, morale, culturale, ideologico ... Non è vero dunque, se accettiamo per valida questa
premessa, per esempio che il videogioco è cattivo; come non è vero il contrario, naturalmente. Oppure
che non si possa coniugare la tecnologia con l'anarchia, o la tecnologia con l'anarchismo (questo
argomento potrebbe aprire un infinito numero di porte riguardo l'uso reazionario che il potere
«necessariamente» fa di alcune professioni, penso a ciò che concerne la scienza, la tecnologia, la
medicina, la psichiatria, eccetera). Vi sono innumerevoli combinazioni di possibilità, ad un livello di
analisi. Nel minestrone di possibilità in questa tollerante capitalistica civiltà occidentale è possibile
accettare tutto, usare qualsiasi prodotto a nostro piacimento (finanze personali permettendo). Certo se
alziamo lo sguardo verso un livello superiore, o lo abbassiamo verso uno inferiore - poco importa -,
potremo accorgerci dell'esistenza di alcuni elementi che presi nella considerazione generale della nostra
inevitabile «visione del mondo» possono apparire estremamente interessanti. Ciò è attinente al rifiuto
e alla scelta. Prima di tutto l'ovvio: la tecnologia è uno strumento nelle mani del potere, il quale la usa sempre a suo
vantaggio. La classe dominante tende a dare soluzioni tecnologiche a problemi che risolti in maniera
politica tenderebbero a destabilizzare i rapporti di potere. Questo da noi non è ancora evidente, ma in USA ha già
raggiunto altissimi livelli e sappiamo quanto la situazione americana anticipi di solito sviluppi
simili in Italia, soprattutto per quanto riguarda l'uso delle scienze da parte della classe dominante.
La tecnologia diffusa aumenta la confusione circa la possibilità di definire questa fatidica classe
dominante; per cui non sempre possedere i mezzi di produzione significa far parte del potere, con la
conseguenza che la permeabilità tra le classi diviene notevolissima. Io credo che la cultura possa essere usata per definire i confini di classe. Questo perché credo si
possa sviluppare una cultura antagonista che già esiste, la quale produce inevitabilmente quei modi
di essere dell'anarchismo quotidiano che sono il rifiuto e la scelta. Tornando alla tecnologia, io credo sia possibile fare di essa un buon uso (buono nel senso di quella
cultura che ho definito antagonista). Io lavoro nel settore della sanità e, per esempio, nuove tecnologie possono essere utili per quanto riguarda l'analisi in laboratorio o l'assistenza agli
handicappati, per citare applicazioni in due campi tra loro distanti. Teniamo presente, comunque,
che la classe dominante cerca soluzioni tecnologiche, anche nel campo dell'assistenza sanitaria, per
esigenze economiche e di controllo dei conflitti sociali. Per esempio: inserire nel mercato nuovi
servizi; disinnescare il potere eversivo della richiesta sociale alla soddisfazione di bisogni di tipo
sanitario/sociale; mistificare, sotto il profilo della «salute del Paese» o del «decentramento sul
territorio dei servizi sanitari», interessi economici di classe e coprire con interventi sanitari carenze
politico-sociali (e qui, a proposito di gioco, si potrebbero dire molte cose sulle attività ludiche nelle
comunità terapeutiche o negli hospital day psichiatrici - dove ci sono! - in relazione ad una carenza
politica nella costruzione di spazi sociali, non sanitari e addirittura specialistici, per il «tempo
libero»). Personalmente non mi divertono i videogiochi, non mi piacciono i casinò, la discomusic, i films
«coscialunga», i vari «dallas» e cartoni spaziali giapponesi alla tivù, non amo il lusso e le grosse
automobili, le sale da gioco elettronico, il football dei professionisti, ... E credo che questi, ed altri,
siano stimoli appartenenti ad una sfera culturale che non è la mia. Non li considero cattivi in sé, sia
chiaro. Ma l'appropriazione di questi stimoli non riguarda me né la mia cultura. Per cui reagisco ad
essi con il rifiuto e scelgo altre attività per il mio «tempo libero». Certo non posseggo un catechismo rivoluzionario, né mi sogno di suggerire il Decalogo del
perfetto rivoluzionario. E' solo una questione di scelte: chi ama pisciare nel cesso, chi contro il
muro, e chi le sue pisciate le fa controvento. E c'è pure chi scrive pubblicamente quanto è un duro
lui che non rinuncia ai flirt con la ragazzina per una partita al «Crazy Kong». Ognuno è libero di
fare ciò che vuole (?) e di giocare come gli pare: perlamordidio!
Giorgio Meneguz (Orta)
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