Rivista Anarchica Online
Il balletto delle armi
di Maria Teresa Romiti
Una notizia come tante altre. Di quelle che non fanno storia. Nemmeno una vittima. Sembrava
proprio solo una questione per le compagnie di assicurazione. «Sabato 25 agosto, a 18 chilometri
dalla città belga di Ostenda, nel mare del Nord, il mercantile belga «Mont Louis» è affondato dopo
essere entrato in collisione con una nave traghetto». Ma si trattava di un mercantile particolare. Il Mont Louis stava trasportando 30 contenitori da 15
tonnellate l'uno di esafluoruro di uranio, un composto tossico e corrosivo, anche se non molto
radioattivo, verso l'Unione Sovietica. Dove sarebbe stato arricchito, per diventare pronto per l'uso
(sia pacifico che militare) e rientrare in Francia. E' stato un incidente banale, ma ha sollevato il
coperchio, almeno per un attimo, su un traffico sotteraneo (meglio, non ufficiale) che dall'uranio
arriva diritto diritto alle testate nucleari. Se è ormai noto a tutti che la vendita, più o meno
clandestina di armi, è l'affare del secolo, da cui diversi stati hanno tratto un ottimo aiuto per le loro
finanze, ora si è aperta una specializzazione ancora più lucrosa: la vendita di materiale e tecnologia
nucleare. Una vendita che coinvolge tutto il mondo e in cui la Francia si è guadagnata un buon
posto. Scaviamo quindi un poco sotto questa storia di contenitori in giro per il mondo. L'uranio che veniva
trasportato era in parte uranio arricchito proveniente da combustibili nucleari tedeschi, in parte
materiale naturale ufficialmente di orgigine africana (Niger e Gabon), e in parte uranio di proprietà
della Cogema, società che gestisce materiali fissili sia civili che militari che, per stessa ammissione
delle autorità francesi, aveva «un'origine un po' più complessa», in pratica di ignota provenienza. In
realtà buona parte dell'uranio sul Mont Louis arrivava dal Sud Africa dopo aver brillantemente
superato l'ostacolo dell'embargo dell'ONU sul paese razzista. La nave belga doveva portarlo in
Unione Sovietica dove, dopo la lavorazione, sarebbe rientrato in Francia pronto per essere venduto
al miglior offerente. Ma perché la Francia manda in Unione Sovietica l'uranio quando ha uno stabilimento a Pierrelatte
per la stessa lavorazione che funziona solo al 50%? La spiegazione ufficiale è che esiste un vecchio
contratto ancora valido dai tempi in cui in Francia non c'era uno stabilimento del genere. In effetti
la Francia vende materiale anche a paesi sulla cosiddetta «lista nera» e, per poterlo fare senza
esporsi troppo, ha bisogno di far girare avanti e indietro l'uranio, venderlo e rivenderlo così da far
perdere le tracce sulla reale destinazione. Non è una vera e propria vendita clandestina, ma solo un
po' di fumo, tanto per non perdere la faccia. Bisogna inoltre considerare che la lavorazione dell'uranio è pericolosa e inquinante e conviene
trovare qualcuno che la faccia lontano da casa. Ecco perché gli Stati Uniti, nonostante siano in
grado di compiere tutto il ciclo dell'uranio, spesso preferiscono comprarlo all'estero. Ed ecco
perché non si sono neppure sognati di aprire bocca sulla stranezza dell'accordo URSS-Francia. I
giochi dopotutto sono stati già fatti, la Francia si espone un po' di più e guadagna nel traffico, ma
gli USA sono ben al corrente delle manovre e delle vendite. Si dice che la realtà spesso superi la
fantasia, ma certo sembra la trama di un libro appena uscito dalla penna di un Le Carré o di un
Forsyth. E' quasi un peccato che per un banale incidente ci si sia accorti di qualcosa. Non molto, è
vero. E' stato solo un lampo che ha illuminato a giorno per un momento, poi, passata la buriana,
tutto tornerà tranquillo mentre il materiale radioattivo continuerà a girare per il mondo ed a sparire
tra le mille carte dei burocrati. Non a caso i giornali puntano particolarmente sulla tragedia
ecologica, lasciando in sordina commenti sulla fine che faranno i fusti una volta recuperati. Ad ogni
buon conto a Le Havre è arrivato un mercantile sovietico pronto a recuperare i fusti e a trasportarli
in Russia e senza pericolo di fughe di notizie, questa volta. Del resto tutto il traffico di armi utilizza questo mercato detto con un eufemismo «grigio» (in
quanto è ben conosciuto e praticato da tutti anche se non se ne parla). Ufficilamente non si potrebbero vendere armi a certi paesi sulla «lista nera» oppure a privati. Ma le
armi costano, e spesso le giacenze restano inutilizzate. Inoltre le armi sono un ottimo affare essendo
merce che viene pagata sempre in contanti o in oro. Perché rinunciare ad un affare così lucroso?
Basta far capo a società più o meno di comodo, spesso di import-export che, per così dire, si
occupano di tutto. Reperiscono le armi, le comprano, le fanno trasportare senza troppo chiasso fino
a destinazione. Un mercato tranquillo perché i governi sono perfettamente informati, anzi sono i
promotori della vendita. In effetti il traffico viene alla luce del sole. Si cambiano solo le bolle di
consegna e le fatture, tanto per non farla troppo sporca. Con un po' di fantasia si possono vendere
fuochi artificiali ad un Ministero della Difesa (che botti per la festa dell'Indipendenza!), oppure
divise non militari ad un altro o ancora trattori o gru o camion. Tutte armi che nessuno controlla e il
tutto sotto gli occhi bene accecati di chi in teoria dovrebbe controllare. Se poi si sanno fare bene le
cose, si possono far passare le forniture addirittura come aiuti ai paesi del terzo mondo con tutte le
facilitazioni del caso. Solo in alcune occasioni, un po' più complesse, come ad esempio la vendita
dell'uranio, si deve ricorrere al giro vorticoso di compravendita fra società fittizie fino a far sparire
letteralmente la merce nelle carte. E' attraverso questi canali che gli Stati Uniti hanno tentato di vendere elicotteri al Vietnam (non si
sono messi d'accordo sul prezzo) o la Francia materiale nucleare all'Iraq (qui il problema era
l'assistenza tecnica). E' sempre attraverso questo canale che spariscono i quintali di uranio o le armi
che si «volatilizzano» ogni anno negli Stati Uniti e nel mondo. Un affare che è pericoloso solo per chi è costretto a subirne le conseguenze: le migliaia di morti
nelle mille piccole, stupide guerre che scoppiano ovunque; gli operai costretti a lavorare nel ciclo
dell'uranio, uno dei più pericolosi che si conosca che uccide fin dalla miniera e continua fino a
quando diventa la barra pronta per la centrale o per una testata nucleare. Un giro strabiliante di
dollari: basti pensare che il solo mercato non ufficiale del plutonio ha un giro d'affari ben superiore
a quello della droga. E non importa se la gente muore, non importa se i paesi del terzo mondo spendono milioni di
dollari per comprare armi sofisticate mentre nello stesso tempo milioni di persone muoiono di fame
e di miseria, non importa se l'unica mano che danno i paesi più ricchi è piena solo di strumenti di
morte. L'unica cosa che conta è andare avanti, vendendo sempre di più in questo gioco al massacro
che rischia di cancellare tutto e tutti. Cercare di dare un senso a questo quadro è un'impresa
impossibile: non si possono utilizzare le categorle della logica e della razionalità dove impera la
pura schizofrenia. E come chiamare altrimenti la ridicolaggine di un governo che tuona contro le armi e le
installazioni sempre più sofisticate del «nemico», contro l'anima guerrafondaia di quei paesi che
vogliono solo la distruzione dell'umanità, che minaccia castighi divini e non, e nello stesso tempo
istruisce paesi amici perché vendano armi sempre più raffinate proprio agli stessi paesi? E che dire quando le armi atomiche si trovano in vendita senza troppi problemi e ben presto, grazie
ad un grazioso gadget inventato dagli scienziati del laboratorio di Livermore (California), con poca
spesa e un po' di uranio, ci si potrà costruire la propria bomba atomica in cantina? Ma niente paura, KGB e CIA hanno già istituito una nuova sezione dei loro giganteschi uffici
destinata a studiare come affrontare un «terrorista» armato di bomba atomica. Se non siamo nel
sublime...
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