Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 14 nr. 122
ottobre 1984


Rivista Anarchica Online

Il balletto delle armi
di Maria Teresa Romiti

Una notizia come tante altre. Di quelle che non fanno storia. Nemmeno una vittima. Sembrava proprio solo una questione per le compagnie di assicurazione. «Sabato 25 agosto, a 18 chilometri dalla città belga di Ostenda, nel mare del Nord, il mercantile belga «Mont Louis» è affondato dopo essere entrato in collisione con una nave traghetto».
Ma si trattava di un mercantile particolare. Il Mont Louis stava trasportando 30 contenitori da 15 tonnellate l'uno di esafluoruro di uranio, un composto tossico e corrosivo, anche se non molto radioattivo, verso l'Unione Sovietica. Dove sarebbe stato arricchito, per diventare pronto per l'uso (sia pacifico che militare) e rientrare in Francia. E' stato un incidente banale, ma ha sollevato il coperchio, almeno per un attimo, su un traffico sotteraneo (meglio, non ufficiale) che dall'uranio arriva diritto diritto alle testate nucleari. Se è ormai noto a tutti che la vendita, più o meno clandestina di armi, è l'affare del secolo, da cui diversi stati hanno tratto un ottimo aiuto per le loro finanze, ora si è aperta una specializzazione ancora più lucrosa: la vendita di materiale e tecnologia nucleare. Una vendita che coinvolge tutto il mondo e in cui la Francia si è guadagnata un buon posto.
Scaviamo quindi un poco sotto questa storia di contenitori in giro per il mondo. L'uranio che veniva trasportato era in parte uranio arricchito proveniente da combustibili nucleari tedeschi, in parte materiale naturale ufficialmente di orgigine africana (Niger e Gabon), e in parte uranio di proprietà della Cogema, società che gestisce materiali fissili sia civili che militari che, per stessa ammissione delle autorità francesi, aveva «un'origine un po' più complessa», in pratica di ignota provenienza. In realtà buona parte dell'uranio sul Mont Louis arrivava dal Sud Africa dopo aver brillantemente superato l'ostacolo dell'embargo dell'ONU sul paese razzista. La nave belga doveva portarlo in Unione Sovietica dove, dopo la lavorazione, sarebbe rientrato in Francia pronto per essere venduto al miglior offerente.
Ma perché la Francia manda in Unione Sovietica l'uranio quando ha uno stabilimento a Pierrelatte per la stessa lavorazione che funziona solo al 50%? La spiegazione ufficiale è che esiste un vecchio contratto ancora valido dai tempi in cui in Francia non c'era uno stabilimento del genere. In effetti la Francia vende materiale anche a paesi sulla cosiddetta «lista nera» e, per poterlo fare senza esporsi troppo, ha bisogno di far girare avanti e indietro l'uranio, venderlo e rivenderlo così da far perdere le tracce sulla reale destinazione. Non è una vera e propria vendita clandestina, ma solo un po' di fumo, tanto per non perdere la faccia.
Bisogna inoltre considerare che la lavorazione dell'uranio è pericolosa e inquinante e conviene trovare qualcuno che la faccia lontano da casa. Ecco perché gli Stati Uniti, nonostante siano in grado di compiere tutto il ciclo dell'uranio, spesso preferiscono comprarlo all'estero. Ed ecco perché non si sono neppure sognati di aprire bocca sulla stranezza dell'accordo URSS-Francia. I giochi dopotutto sono stati già fatti, la Francia si espone un po' di più e guadagna nel traffico, ma gli USA sono ben al corrente delle manovre e delle vendite. Si dice che la realtà spesso superi la fantasia, ma certo sembra la trama di un libro appena uscito dalla penna di un Le Carré o di un Forsyth. E' quasi un peccato che per un banale incidente ci si sia accorti di qualcosa. Non molto, è vero. E' stato solo un lampo che ha illuminato a giorno per un momento, poi, passata la buriana, tutto tornerà tranquillo mentre il materiale radioattivo continuerà a girare per il mondo ed a sparire tra le mille carte dei burocrati. Non a caso i giornali puntano particolarmente sulla tragedia ecologica, lasciando in sordina commenti sulla fine che faranno i fusti una volta recuperati. Ad ogni buon conto a Le Havre è arrivato un mercantile sovietico pronto a recuperare i fusti e a trasportarli in Russia e senza pericolo di fughe di notizie, questa volta.
Del resto tutto il traffico di armi utilizza questo mercato detto con un eufemismo «grigio» (in quanto è ben conosciuto e praticato da tutti anche se non se ne parla).
Ufficilamente non si potrebbero vendere armi a certi paesi sulla «lista nera» oppure a privati. Ma le armi costano, e spesso le giacenze restano inutilizzate. Inoltre le armi sono un ottimo affare essendo merce che viene pagata sempre in contanti o in oro. Perché rinunciare ad un affare così lucroso? Basta far capo a società più o meno di comodo, spesso di import-export che, per così dire, si occupano di tutto. Reperiscono le armi, le comprano, le fanno trasportare senza troppo chiasso fino a destinazione. Un mercato tranquillo perché i governi sono perfettamente informati, anzi sono i promotori della vendita. In effetti il traffico viene alla luce del sole. Si cambiano solo le bolle di consegna e le fatture, tanto per non farla troppo sporca. Con un po' di fantasia si possono vendere fuochi artificiali ad un Ministero della Difesa (che botti per la festa dell'Indipendenza!), oppure divise non militari ad un altro o ancora trattori o gru o camion. Tutte armi che nessuno controlla e il tutto sotto gli occhi bene accecati di chi in teoria dovrebbe controllare. Se poi si sanno fare bene le cose, si possono far passare le forniture addirittura come aiuti ai paesi del terzo mondo con tutte le facilitazioni del caso. Solo in alcune occasioni, un po' più complesse, come ad esempio la vendita dell'uranio, si deve ricorrere al giro vorticoso di compravendita fra società fittizie fino a far sparire letteralmente la merce nelle carte.
E' attraverso questi canali che gli Stati Uniti hanno tentato di vendere elicotteri al Vietnam (non si sono messi d'accordo sul prezzo) o la Francia materiale nucleare all'Iraq (qui il problema era l'assistenza tecnica). E' sempre attraverso questo canale che spariscono i quintali di uranio o le armi che si «volatilizzano» ogni anno negli Stati Uniti e nel mondo.
Un affare che è pericoloso solo per chi è costretto a subirne le conseguenze: le migliaia di morti nelle mille piccole, stupide guerre che scoppiano ovunque; gli operai costretti a lavorare nel ciclo dell'uranio, uno dei più pericolosi che si conosca che uccide fin dalla miniera e continua fino a quando diventa la barra pronta per la centrale o per una testata nucleare. Un giro strabiliante di dollari: basti pensare che il solo mercato non ufficiale del plutonio ha un giro d'affari ben superiore a quello della droga.
E non importa se la gente muore, non importa se i paesi del terzo mondo spendono milioni di dollari per comprare armi sofisticate mentre nello stesso tempo milioni di persone muoiono di fame e di miseria, non importa se l'unica mano che danno i paesi più ricchi è piena solo di strumenti di morte. L'unica cosa che conta è andare avanti, vendendo sempre di più in questo gioco al massacro che rischia di cancellare tutto e tutti. Cercare di dare un senso a questo quadro è un'impresa impossibile: non si possono utilizzare le categorle della logica e della razionalità dove impera la pura schizofrenia.
E come chiamare altrimenti la ridicolaggine di un governo che tuona contro le armi e le installazioni sempre più sofisticate del «nemico», contro l'anima guerrafondaia di quei paesi che vogliono solo la distruzione dell'umanità, che minaccia castighi divini e non, e nello stesso tempo istruisce paesi amici perché vendano armi sempre più raffinate proprio agli stessi paesi?
E che dire quando le armi atomiche si trovano in vendita senza troppi problemi e ben presto, grazie ad un grazioso gadget inventato dagli scienziati del laboratorio di Livermore (California), con poca spesa e un po' di uranio, ci si potrà costruire la propria bomba atomica in cantina?
Ma niente paura, KGB e CIA hanno già istituito una nuova sezione dei loro giganteschi uffici destinata a studiare come affrontare un «terrorista» armato di bomba atomica. Se non siamo nel sublime...