Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 128
maggio 1985


Rivista Anarchica Online

HUEHUECOYOTL una comunità che viene da lontano
di Fausta Bizzozzero / Massimo Panizza

Era l'autunno del '69 quando incontrai per la prima volta Alberto Ruz Buenfil. Era venuto in Europa dal Messico per prendere contatti con il movimento anarchico: l'indirizzo che aveva, per Milano, era quello del circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa".
Ventenni o poco più, eravamo pieni di progetti e di speranze: lui già sicuro che la scelta comunitaria fosse l'unico modo per superare la scissione tra vita quotidiana e attività politica; noi - o meglio alcuni di noi - con un nostro progetto di comune di produzione, centrato più sull'aspetto politico-sociale che su quello personale. Per molti giorni restammo insieme a parlarne, discutendo di tutto, in particolare della proposta comunitaria in tutti i suoi aspetti.
Poi ci siamo persi di vista. Lui ha imboccato senza esitazioni la strada che aveva scelto, accumulando esperienze straordinarie e trasformando a poco a poco il suo progetto in realtà; noi abbiamo fatto un altro percorso, rinunciando al nostro "sogno" comunitario per continuare le nostre attività (tra l'altro, con i soldi faticosamente accantonati per quello scopo abbiamo potuto dar vita a questa rivista, assicurando il pagamento dei primi tre numeri).
Forse il nostro desiderio non era abbastanza forte, forse non ci credevamo abbastanza. Ma in ogni caso, di lì a qualche mese, due vicende indissolubilmente connesse sarebbero state determinanti per in nostro futuro e avrebbero reso impensabile andarcene da Milano: con le bombe di piazza Fontana e l'assassinio del nostro compagno/amico Pinelli tutte le nostre energie ed il nostro impegno furono assorbiti dalla campagna contro la strage di Stato, che si sarebbe protratta per anni.
È stato bello ritrovarci dopo quindici anni, così diversi - perché diverse sono state le esperienze che abbiamo vissuto e che in un certo senso ci hanno costruiti - ma così vicini e in sintonia nella visione del mondo e dell'essere umano. E questo incontro ha riacceso il nostro interesse, mai del tutto spento, per il fenomeno comunitario. Una realtà diffusissima negli Stati Uniti (dove Alberto ha trascorso lunghi tratti della sua esperienza comunitaria), ma presente anche in Italia in misura superiore a quanto si possa immaginare (ne riparleremo più diffusamente nel prossimo numero): una realtà che esprime una grande potenzialità di cambiamento e che, pur in forme estremamente variegate, costituisce una micro-società con valori propri, propri modi di produzione, una propria filosofia di vita, proprie tecnologie.
Questa volta Alberto è venuto con Sandra, la compagna che condivide la sua esperienza da tre anni, e con Ixell, la loro splendida, piccola figlia. Con loro abbiamo chiacchierato a lungo, ci hanno anche mostrato centinaia di diapositive che "illustrano" l'esperienza comunitaria itinerante di Alberto negli anni '70 (attraverso Europa, Asia, Oceania e le Americhe) e ha loro attuale esperienza comunitaria "stanziale", in Messico.
L'intervista che proponiamo, sufficientemente ampia da inquadrare il problema da molte angolazioni, ci sembra una buona base per cominciare ad affrontare il discorso. Grazie Sandra, grazie Alberto.

Fausta Bizzozzero


Quali sono le motivazioni che vi hanno spinto ad interessarvi del problema comunitario e successivamente a costituire voi stessi una comunità?

Alberto - La nostra storia ha le sue radici nel 1968. Quegli anni furono ovunque anni di grande tensione, di desiderio di rinnovamento. Il "movimento" politico era molto forte ma noi, che pure ne eravamo parte, sentivamo l'esigenza di creare un'organizzazione che non fosse solo politica ma che unisse vita quotidiana e politica. In quell'epoca avemmo i primi contatti con il movimento anarchico e con il situazionismo. Sempre ad allora risale il nostro incontro determinante con Murray Bookchin e i movimenti comunitari di Berkeley e di New York.
Arrivammo così alla conclusione che la vita comunitaria era la forma più avanzata di organizzazione politica e proprio sulle basi della concezione di gruppo d'affinità - ripresa da Bookchin - costituimmo, in sei messicani, una comune integrale. Dopo aver conosciuto il primo movimento comunitario americano venimmo in Europa dove prendemmo contatto soprattutto con il movimento anarchico: Francia, Olanda, Germania, Italia, Svizzera, Danimarca, Svezia. Lungo il nostro percorso attingevamo da ogni tipo di situazione per crescere come gruppo finché, dopo aver vissuto per tutto il 1970 in una comunità situazionista, arrivammo a una nuova forma integrale di comunità. Da allora fino ad oggi, per quattordici anni, abbiamo vissuto una continua ricerca e una continua evoluzione all'interno del movimento comunitario e delle sue tematiche.

Quali erano le direttrici su cui si muoveva il movimento comunitario americano che avete conosciuto?

Alberto - Il movimento del '68 stimola un rapido sviluppo del movimento comunitario. Nascono moltissime comunità: molte si sciolgono nel '72/'73, altre si stabiliscono in campagna e sperimentano nuove fasi evolutive; ciascuna comunità segue un percorso peculiare e non esistono forme di collegamento fra loro. Questa fase termina nel '77, quando le comunità cominciano a stabilire delle connessioni dando vita a un nuovo tipo di movimento comunitario basato su una cooperazione non solo a livello di vita ma anche economico, sociale, politico, culturale, artistico. Ne è scaturita, soprattutto negli ultimi 4-5 anni, una vera e propria società parallela che si sviluppa senza un conflitto palese con il sistema. All'interno di questa società parallela si può trovare una soluzione a qualsiasi tipo di problema, meccanico, medico, artistico, agricolo, tecnologico, ecc., e questo ci sembra molto significativo.

Questa società parallela presenta caratteristiche che si possono definire libertarie?

Alberto - Io sono fermamente convinto che siano essenzialmente libertarie e sono d'accordo con quanto sostiene Bookchin: il movimento comunitario è in genere libertario, ma non è importante che sappia di esserlo. Inoltre molte comunità si ispirano - direttamente o indirettamente - a modelli classici libertari. Radici libertarie si possono trovare, a mio avviso, anche nel movimento beat e nei suoi rappresentanti come Kerouack, Ginsberg e soprattutto in Gary Snyder. Lo stesso discorso vale anche per il movimento antinucleare che è organizzato in gruppi d'affinità, un modello organizzativo tipicamente libertario. Sono quindi convinto che l'influenza libertaria, a livello conscio o inconscio, sia notevole in tutto il variegato movimento americano.

Tornando alla vostra esperienza, specifica, su quali basi avete fondato la vostra comunità?

Alberto - Abbiamo cominciato nel '69-'70 come comunità "nomade" poiché ci sembrava che questa forma rispondesse meglio alle nostre esigenze. Viaggiando continuamente la comunità costituiva una difesa e una sicurezza da un lato - di fronte a contatti con popoli sempre diversi - ma ci dava anche la possibilità di facilitare questi contatti proprio stabilendo rapporti da comunità a comunità, rapporti quindi qualitativamente diversi da quelli che si possono instaurare tra singoli viaggiatori e popoli diversi. Ci siamo accorti che questa forma permetteva di esprimere a ciascuno le sue potenzialità nelle situazioni più diverse: a volte era determinante nei contatti il ruolo delle donne, a volte quello degli uomini, spesso i bambini costituivano un tramite importante nello stabilire i rapporti e tutti insieme si era quindi molto funzionali al tipo di esperienza itinerante che stavamo vivendo.
In ogni luogo toccato da questo nostro viaggio durato dieci anni cercavamo sempre di entrare in relazione con altre forme comunitarie, sia di tipo tradizionale, sia "nuove": i Tuareg del deserto, i Berberi del Marocco, gli Zingari dei diversi paesi, i Tibetani, i Beduini, ecc., ma anche le comunità "provos" dell'Olanda, ad esempio. E da ogni situazione vissuta abbiamo tratto un enorme arricchimento individuale e collettivo, culturale e politico.
Certo nel corso di questi dieci anni la nostra comunità è sempre stata in evoluzione (e continua ad esserlo tuttora) ed è passata attraverso varie fasi: la coppia, la coppia aperta; la nascita dei figli, la rottura della coppia e la ricerca di un nuovo equilibrio, la nascita di nuove coppie, la ricomposizione del gruppo sulla base delle nuove situazioni.

Da alcuni anni avete deciso di fermarvi in Messico dove avete fondato una comunità che si chiama "huehuecoyotl" (Vecchio coyote). Avete preso questa decisione spinti dal desiderio di migliorare la qualità della vostra vita oppure pensavate che una comunità stabile fosse importante come punto di riferimento, come "esempio" per il resto della società?

Alberto - Certamente è stata determinante l'esigenza individuale, ma soprattutto del gruppo, della tribù, poiché per dieci anni abbiamo lavorato alla costruzione della nostra identità tribale, abbiamo voluto diventare una tribù della nuova era, dell'era dell'Acquario. Ma nello stesso tempo è sempre stata presente la necessità di creare un modello-pilota di società per il futuro, poiché continuiamo a pensare che l'unica risposta possibile e (sana) allo sviluppo della società sia una risposta di gruppo. In questo senso, quindi, si inserisce la nostra decisione di creare una base fissa alla comunità, per rendere il modello operativo concretamente e creare una zona di influenza che favorisca la nascita di nuove comunità in un paese quasi totalmente privo di simili esperienze.

Sandra - Penso che l'esperienza dei primi dieci anni itineranti sia stata fondamentale ai fini della crescita individuale di ciascun membro. Dalla sperimentazione di diversi modi di vita, dagli incontri e scambi con tanti popoli di tante culture è nata una nuova consapevolezza individuale e collettiva che ci ha portato a formulare il progetto "huehuecoyotl" come alternativa politica, come riferimento simbolico: una comunità costituita da persone di otto diverse nazionalità con tanti bambini tutti biondi in una situazione come quella del Messico non può che rompere lo schema del nazionalismo. Una comunità che pratica il decentramento, che utilizza tecniche e tecnologie ecologiche e a basso costo, che si costruisce forme di sussistenza realmente alternative ha di fatto un valore dirompente, diventa la possibilità concreta di un modo di essere e di vivere che si contrappone politicamente al sistema.

Suona strano questo vostro identificarvi come tribù. Se è vero infatti che in quindici anni potete aver sviluppato molte affinità, resta il fatto che siete tutte persone di culture diverse, con storie precedenti diverse, mentre il cemento di qualunque società tribale è una comune cultura antica, le cui origini si perdono nella notte dei tempi.

Alberto - Per questo ci definiamo come una tribù della nuova era. Io penso che lo sviluppo della società umana sia indirizzato in misura sempre maggiore verso una planetarizzazione, penso che le differenze culturali tra l'America, l'Italia, l'Oriente, l'Africa siano destinate a scomparire progressivamente. Lo sviluppo dei mass-media, e soprattutto della televisione, tende a costruire sempre più una cultura universale, ma nello stesso tempo attraverso le reti private (ma non solo) si creano canali per la trasmissione di culture particolari. Così negli Stati Uniti esistono canali per i messicani, per i neri, ecc.., ed esistono persino canali di quartiere. Quello che voglio dire è che noi come gruppo siamo un riflesso di questo processo, cioè che il livello macrocosmico riflette ii microcosmo. Certo il nostro gruppo non era legato da tradizioni comuni ma da un'alternativa che abbiamo costruito attraverso legami di sangue, attraverso una nuova generazione di bambini che già sono una mescolanza genetica interculturale e che contribuisce a creare una nuova cultura comune.

Abbiamo avuto a volte la sensazione che all'interno di situazioni comunitarie si sviluppi una sorta di "mistica della comunità", che in un certo senso per i membri la comunità diventi il "mondo". È un pericolo che si può presentare?

Alberto - Non è una possibilità ma un pericolo reale, anche se può essere superato. Penso che molte comunità, in un periodo della loro vita, abbiano bisogno di questa "mistica" chiusa per il loro sviluppo. D'altra parte accade anche ad un individuo, ad una coppia di doversi fermare, chiudere, per riflettere; a maggior ragione a una comunità. L'influenza esterna è così forte e così contraria (basta pensare a quanto è radicata, in paesi come il Messico o l'Italia, la cultura della famiglia) che la comunità necessita di una fase di chiusura per costruirsi la propria identità; ma deve essere solo una fase per passare poi a stabilire una rete di contatti e di scambi con altre diverse comunità. Senza questo passaggio nessuna comunità potrebbe sopravvivere, o meglio diventerebbe solo una setta religiosa o ideologica, un ghetto.
Allacciare rapporti con altre comunità è quindi vitale per la crescita di ogni singola comunità, una crescita che può avvenire solo nella costruzione di un movimento comunitario che sia punto di incontro e crogiolo di tante diverse esperienze. E il movimento americano si sta muovendo in questa direzione. Certo esso è più avanzato rispetto ad altri paesi perché è facilitato da oggettive condizioni socioeconomiche, ma io sono fermamente convinto che nel giro dei prossimi tre anni le comunità esistenti in Italia e in Europa passeranno alla fase di collegamento, alla costruzione di un movimento.

È vero quello che dite, ma dopo la fase di collegamento a livello comunitario non sarebbe necessaria un'altra fase di apertura e di confronto/scontro col mondo esterno, con la realtà che comunitaria non è?

Sandra - Forse non è sufficiente ma è molto importante costruire una solida rete di comunità; poi, quando esisterà realmente, ci si porrà il problema dell'ambito più esterno, si potrà cominciare a pensare a come agire su più ampia scala sui temi del nucleare, del pacifismo, della lotta agli armamenti. D'altronde non bisogna neppure dimenticare che la comunità è fatta di individui che, come tali, hanno rapporti col mondo esterno. Prendiamo ad esempio la nostra comunità: ciascuno di noi ha una serie di rapporti con l'esterno determinati dai propri interessi e dal proprio modo di essere, ma anche la comunità non ha mai cessato di rapportarsi col mondo; prima viaggiando, poi attraverso lo strumento del teatro, ora con interventi esterni di tipo politico e culturale: conferenze all'università sull'ecologia, seminari sull'utopia, organizzazione di feste e di incontri.

Alberto - Vorrei aggiungere, per sottolineare l'importanza della costruzione di una rete comunitaria, che laddove questa rete esiste ed è numericamente consistente - come nel Vermont o sulla Costa Occidentale - la situazione è notevolmente diversa rispetto a stati dove non esiste: si respira un'aria di maggiore libertà, c'è integrazione razziale, culturale, c'è maggiore libertà sessuale e c'è maggiore libertà politica proprio perché l'influenza delle idee comunitarie si estende ad aree sempre più vaste della popolazione e arriva a determinarne indirettamente anche le scelte politiche (nuove leggi o abrogazione di leggi ingiuste, ecc.). Mentre nelle zone in cui questa rete non esiste si respira solo aria di reazione, di conservatorismo.
È chiaro che tutto questo acquista poi una dimensione simbolica capace di trasformare, modificare l'immaginario della gente, come è accaduto per il nord della California con il modello fantapolitico di "Ecotopia" (Callenbach, Ecotopia, Mazzotta Editore) che è diventato progressivamente, nella testa della gente, una realtà possibile e proprio per questo ne ha modificato il modo d'essere e di agire politicamente.

Sandra - Anche noi, pur essendo fissi da poco tempo, cominciamo a vedere dei risultati rispetto alla gente del posto che ha capito e accetta il nostro modo collettivo di lavorare. Con le donne del luogo abbiamo buonissimi rapporti, pur avendo culture così diverse, o altrettanto i nostri bambini con gli altri bambini ai quali raccontano le loro esperienze, con cui giocano ed hanno uno scambio continuo. La gente viene a vedere le nostre eco-tecniche (tecniche appropriate per l'utilizzo dell'acqua piovana per canalizzazioni, per depurare e riutilizzare le acque di scolo, ecc.), noi le insegniamo a loro ed essi a loro volta le fanno conoscere ad altri. Verificano quindi da noi la possibilità di risolvere a basso costo i problemi della vita quotidiana, vedono che è possibile anche per loro vivere meglio e noi li aiutiamo lavorando con loro. Ecco, a me sembra che questo sia far politica.

Continuiamo a fare l'avvocato del diavolo. Abbiamo avuto spesso la sensazione (o forse si tratta di paura inconscia) che la comunità sia più importante dell'individuo, che abbia un segno qualitativamente diverso. O no?

Alberto - Certo si tratta di un pericolo oggettivo. Un pericolo che diventa norma nelle comunità basate unicamente sulla religione e sull'ideologia, che quindi sviluppano una "mistica" totalmente alienante, dove l'individuo non conta. Certo nel movimento comunitario esistono anche queste comunità, così come esistono comunità gerarchiche ed autoritarie. Ma si tratta di un pericolo che incombe anche sulle comunità più avanzate e libertarie. Noi stessi ne siamo un esempio poiché in alcuni momenti della nostra storia ha prevalso il senso comunitario sull'individuo ma... sempre c'è stato un anarchico che si è ribellato. E se una comunità, come nel nostro caso, accetta queste ribellioni deve anche mettersi in discussione: può allora accadere che l'anarchico di turno se ne vada, che la comunità si sciolga oppure che, proprio in seguito a questo rimescolamento, la comunità trovi un nuovo ordine, un nuovo equilibrio. Questa terza ipotesi è in genere quella che si verifica quando una comunità è sufficientemente solida, o almeno è quello che è accaduto a noi. Ma si tratta di un equilibrio temporaneo, che di solito dura circa un anno, poi il processo si ripete. È del resto quello che avviene anche in qualsiasi gruppo politico, ma se esiste un accordo di fondo sulla linea politica, sugli obiettivi da raggiungere, si arriva a una ricomposizione.

C'è un altro aspetto di questo problema comunità-individuo che vorremmo chiarire ed è il rischio che l'individuo perda la sua privacy, i suoi spazi personali, le sue zone oscure; il rischio di fare la società della trasparenza.

Sandra - Dipende molto da come si struttura la comunità, dall'impostazione che le si vuole dare anche rispetto a questi problemi; e dipende anche da come si vive, se tutti insieme o in case separate. Noi, da quando ci siamo fermati, abbiamo cambiato un po' l'impostazione e infatti abbiamo case separate. A mio avviso è una soluzione migliore poiché l'individuo ha sì bisogno di ambiti collettivi, ma ha anche l'esigenza di avere spazi individuali e questi spazi solo miei io li rivendico fino in fondo, con la comunità ma anche con il mio compagno o con mia figlia. Io credo quindi che l'evoluzione futura delle comunità sarà di questo tipo, con un livello collettivo e un livello privato che convivono e si sviluppano parallelamente.

Alberto - Bisogna dire però che in passato ci sono stati momenti in cui si è cercata la trasparenza, in cui i problemi di ciascuno sono stati discussi da tutti. Ritengo che sia stato importante averlo fatto, perché anche questo ci ha permesso di crescere individualmente, ci ha permesso di conoscere noi stessi attraverso le critiche degli altri; da soli è più facile sfuggire a se stessi, rimuovere i problemi, ma quando ci sono gli altri ad obbligarti si è costretti ad affrontarli. Ora, e ormai da due anni, non siamo più in questa fase, abbiamo detto basta e ci siamo accorti che le cose hanno continuato a funzionare tra noi lo stesso. Ma, forse, senza quella fase non saremmo arrivati a questo punto.

Parliamo un po' dell'educazione dei bambini. Vivono tra loro o con le famiglie? Vanno a scuola fuori oppure la comunità si fa carico della loro istruzione?

Sandra - Nella prima fase itinerante i bambini ovviamente viaggiavano insieme agli altri e c'erano alcune persone che si impegnavano ad insegnare loro a leggere, a scrivere, ecc... Ma si trattava soprattutto di una scuola globale, di vita, poiché i bambini imparavano dalle diverse situazioni in cui si trovavano, imparavano le lingue (tutti i bambini parlano correttamente lo spagnolo e l'inglese), imparavano prestissimo a fare tutto quello che facevano gli adulti, imparavano usi e costumi delle popolazioni con cui venivano a contatto. Poi, quando abbiamo deciso di fermarci, abbiamo discusso a lungo sulla possibilità di creare una scuola aperta ai bambini dei paesi vicini, ma abbiamo deciso di non farla sia perché il nostro terreno non è molto grande e sarebbe stato un problema accogliere ogni giorno tanti bambini, sia perché pensavamo fosse più giusto mandare fuori i nostri bambini, in un certo senso rimetterli al mondo. Per un anno hanno frequentato una scuola statale, poi nello stesso paese è nata una scuola elementare gestita da una cooperativa di genitori (messicani e stranieri) che sono anche gli insegnanti delle varie materie e a questo punto abbiamo preferito mandare i nostri bambini in questa scuola. Diamo il nostro contributo a questa iniziativa insegnando diverse materie, soprattutto di laboratorio (fotografia, falegnameria, costruzione di strumenti preispanici, ecc.) e pagando una quota di iscrizione.
Per quanto riguarda lo spazio abitativo, fino ad ora i bambini hanno vissuto nelle singole case dei genitori anche se in un modo molto diverso dalla norma: i bambini passano tutta la giornata insieme, giocano insieme, insieme si spostano da una casa all'altra, come in un piccolo paese e solo la notte ciascuno sta nella propria casa. Ma abbiamo l'intenzione di costruire una casa per loro, con la loro cucina e i loro spazi, una casa che si possano gestire completamente, perché questa è una loro precisa esigenza. Così come intendiamo costruire una struttura collettiva in cui trasferire i laboratori che oggi sono nelle singole case, con una grande sala per feste, conferenze, proiezioni e con spazi per i visitatori della comunità. Infatti vogliamo iniziare una serie di attività che richiami gente dall'esterno: corsi di tecniche ecologiche, corsi di teatro, di artigianato che dovrebbero permettere a chi partecipa di vivere per alcuni giorni una situazione diversa (e quindi assorbire altri valori) e alla comunità di contare su un aiuto economico. Inoltre intendiamo fare scambi con altri gruppi americani, tedeschi, italiani, che in questa nuova struttura, dotata anche di una cucina, avranno la possibilità di stare insieme e di essere autosufficienti.

Passiamo all'aspetto economico: la vostra comunità tende all'autosufficienza economica o lo è già? Oppure ci sono persone che lavorano fuori della comunità?

Sandra - La tendenza è all'autosufficienza a tutti i livelli, non solo economico (ad esempio, per l'acqua abbiamo costruito un sistema integrato di raccolta di acqua piovana e di presa da una cascata che si trova sul nostro terreno, proprio per evitare che chiunque possa togliercela).
L'obiettivo è quindi che i vari laboratori di cui la comunità è formata, e che funzionano come gruppi autonomi interdipendenti tra loro, arrivino a mantenere economicamente le persone che vi lavorano (ciascuno sceglie in quale laboratorio operare e con chi sulla base di affinità personali). Alcuni di questi laboratori funzionano già abbastanza bene: c'è una cooperativa di cucito che raggruppa 50 donne di tre paesi vicini e che, oltre ad essere economicamente produttiva, è stata una esperienza politicamente significativa; c'è un laboratorio artigianale in cui si costruiscono strumenti preispanici che comincia ora ad essere autosufficiente; così come funziona bene anche il laboratorio di falegnameria, mentre i due laboratori in cui io e Alberto siamo impegnati, non sono ancora arrivati a questo livello anche per i settori in cui operano - la produzione di audiovisivi e la grafica editoriale - che presentano oggettivamente maggiori problemi. Per questo Alberto ed altri due compagni lavorano ancora all'esterno per alcuni periodi.

Alberto - La decisione di fermarci in un posto ha coinciso con un cambiamento anche dell'impostazione economica della comunità. Prima avevamo un'unica cassa in cui confluivano tutte le entrate e che serviva per il mantenimento di tutti e per tutte le spese. Poi, quando abbiamo deciso di comprare il terreno, dopo lunghe discussioni siamo arrivati alla conclusione che ciascuno doveva procurarsi nel giro di un anno i soldi necessari alla sua quota - uguale per tutti - perché in questo modo il livello di partecipazione e di responsabilità sarebbe stato a nostro avviso maggiore. Tutti ci sono riusciti, anche quelli più sfavoriti. Poi abbiamo modificato anche il criterio di gestione interna per cui ogni laboratorio si amministra autonomamente e versa una quota fissa mensile alla cassa della comunità che serve per la costruzione di nuove strutture o per altri lavori sul terreno.

Visto che sono già emersi i dati riguardanti la vostra organizzazione, vediamo di affrontare un problema spinoso: spesso, quando della gente si mette insieme, c'è chi si impegna di più, in termini di fantasia, tempo, disponibilità, e chi meno. Questo fatto può provocare dei problemi?

Alberto - Certamente, anche problemi di ulcera, come è successo a me. Ma malgrado tutto sono ottimista sul lungo periodo. Basti pensare che ora, per la prima volta in quasi vent'anni, ho potuto prendermi questa "vacanza" in Italia con animo tranquillo, sapendo che là in Messico tutto continua a funzionare. È un problema, come sempre, di livelli di coscienza, per cui c'è chi vuole arrivare un po' più in là e chi invece si accontenta di quello che si è raggiunto.
Sempre, in ogni situazione, c'è chi spinge e chi segue, ma esiste anche un problema di tolleranza verso chi è diverso da te: tutti gli esseri umani sono diversi, c'è il poeta e lo stacanovista, si tratta di accettare questa diversità e il meglio che ognuno può dare, si tratta di accettare che un altro abbia un ritmo diverso dal tuo e su questa tolleranza abbiamo costruito i nostri rapporti.

Come funziona la comunità dal punto di vista decisionale?

Alberto - Esiste una Assemblea che si riunisce una volta al mese o, quando non ci sono problemi importanti, anche ogni due/tre mesi. Questo per quanto riguarda la situazione attuale, poiché con la nuova organizzazione per gruppi di lavoro le decisioni di tipo generale si sono notevolmente ridotte e quelle particolari vengono affrontate dai singoli laboratori. Prima ovviamente la situazione era molto diversa e praticamente si viveva in assemblea permanente.
Abbiamo deciso quindi di abolire qualsiasi votazione e di prendere le nostre decisioni all'unanimità, con tutta la fatica che una simile pratica comporta, perché pensiamo che solo in questo modo possa continuare la nostra crescita individuale e collettiva e perché riteniamo che le uniche decisioni che poi diventano operative sono quelle realmente condivise da tutti. E, come già abbiamo accennato, abbiamo cercato di tener fuori da queste discussioni i problemi interpersonali, che vanno risolti tra le persone interessate, a meno che coinvolgano, in un modo o nell'altro, tutta la comunità.

Spesso all'origine di problemi comunitari ci sono tensioni e conflitti creati dal formarsi, sciogliersi, ricostituirsi di coppie. Qual'è la vostra esperienza?

Sandra - Vediamo di riassumere il nostro percorso. Inizialmente il gruppo era formato da tre coppie, poi queste coppie si sono aperte (quasi sempre per iniziativa degli uomini) e altre si sono ricostituite. Alcuni elementi si sono allontanati dal gruppo, altri sono rimasti come singoli. Un dato interessante riguarda i bambini che spesso hanno vissuto la fine dell'amore tra i loro genitori, la rottura, e la nuova coppia con la nascita di altri fratelli. L'impressione che abbiamo è che l'aver conosciuto e vissuto direttamente tutte le contraddizioni di queste esperienze legate alla sessualità non abbia influito negativamente ma anzi abbia dato loro freschezza e consapevolezza. Non c'è in loro malizia di alcun tipo e inoltre tutti hanno un profondo senso di giustizia.

Alberto - Un altro aspetto interessante è che da queste esperienze i bambini hanno capito che l'amore non è assoluto ma relativo, che l'amore si fonda sull'affinità e che l'affinità cambia con il tempo e quindi che l'amore è temporaneo e, cosa importantissima, che tutto questo fa parte della vita e non è una tragedia. Inoltre non hanno solo il padre e la madre come punti di riferimento ma hanno tutti gli adulti della comunità che sono altre madri e altri padri e che, tutti, li amano e si occupano di loro. Questo fatto rompe con gli schemi parentali e di sangue e permette loro di tessere una rete di rapporti arricchiti dalla diversità delle personalità con cui si rapportano, permette loro di scegliere le persone con cui stanno meglio e di imparare a rispettare gusti, modi di essere, caratteristiche di ciascun individuo.

Torniamo un attimo ai conflitti e ai riflessi che la rottura di una coppia può produrre nella comunità. Certo l'incidenza varierà a seconda di molti fattori, non ultimo quello del ruolo svolto da quella coppia. Nel tuo caso, ad esempio, ci sembra che il tuo ruolo sia stato (non sappiamo se è ancora) simile a quello del "capo senza potere" di certe tribù "primitive". Come sono state vissute dalla comunità le rotture delle tue coppie?

Alberto - In genere le reazioni a queste rotture dipendono dalla personalità degli interessati. Esistono persone che riescono a risolvere tra loro i loro problemi personali, ma ne esistono altre che non ne sono capaci e quindi portano i loro problemi alla comunità. In questo caso la comunità deve necessariamente farli propri e cercare di aiutare queste persone a ritrovare un nuovo equilibrio. Esistono, come sempre separazioni tranquille e separazioni tumultuose. Io, ad esempio, ho sempre avuto separazioni molto conflittuali e drammatiche proprio per il ruolo che ho sempre svolto nella comunità che è esattamente quello che voi avete definito. Sia con la mia prima compagna che con la seconda al momento della separazione si è verificata la stessa situazione: la comunità, che ruotava intorno alla nostra coppia, che faceva riferimento a noi come modello, si è trovata completamente coinvolta e spiazzata, per cui si sono scatenate reazioni a catena. Sono stati momenti molto difficili. Inoltre io sono stato il primo a fare questa esperienza e anche questo ha avuto il suo peso. Poi la comunità ha riflettuto, ne ha tratto insegnamenti e quindi quelli che hanno rifatto la stessa cosa dopo sono stati in un certo senso facilitati, ormai la strada era aperta.
Per tornare al parallelo che avete fatto con certe tribù "primitive", vorrei sottolineare un problema che è sempre stato fondamentale per noi, il problema che riguarda i ruoli e le funzioni. Mentre in queste tribù ruoli e funzioni derivano dalla cultura e dalla tradizione e quindi sono universalmente accettati, noi ci siamo sempre dibattuti in un dilemma: i ruoli e le funzioni si creano, esistono e sono necessari al funzionamento di qualunque gruppo sociale ma noi siamo anarchici, quindi contro ogni ruolo. È un problema irrisolto e forse irresolubile, ma io sono fondamentalmente ottimista e spero che col tempo, continuando a crescere diventi possibile per noi accettare ruoli e funzioni senza conflitti.

Quali rapporti avete con le altre comunità degli Stati Uniti e del Messico?

Sandra - Abbiamo rapporti con moltissime situazioni comunitarie e facciamo parte di una sorta di federazione - il Rainbow Gathering (Incontro dell'Arcobaleno) - che raccoglie tutte le comunità di ogni tipo e che si riunisce una volta all'anno negli USA. Provate ad immaginare un immenso parco nazionale dove per un mese vivono venticinque/trentamila persone, dove ciascuna comunità ha il suo accampamento, dove questa massa di gente si autogestisce completamente, dove funzionano attività creative, centri di medicina alternativa, una casa dei bambini, dove ogni notte ci sono feste di ogni genere e dove, soprattutto ci si scambiano informazioni, conoscenza, tecnologie, si tesse una rete che continuerà poi nel tempo. Inoltre esistono riunioni di delegati in cui vengono prese decisioni di politica bio-regionale che saranno riportate e discusse all'interno delle comunità d'origine e impronteranno l'attività specifica di ogni gruppo nell'anno successivo sino al prossimo incontro. Si tratta di un processo evolutivo continuo di cui si possono vedere gli sviluppi anno dopo anno, è un nuovo corpo sociale in continua crescita.
Per quanto riguarda il Messico, che è il luogo dove per ovvie ragioni maggiormente operiamo, esiste una rete che sta diventando sempre più solida e importante e che collega situazioni diversissime tra loro; ci incontriamo una volta al mese in comunità sempre diverse, per darvi un'idea della ricchezza di queste esperienze, in un anno non siamo mai tornati nello stesso posto. Incontrarsi significa verificare quello che si sta facendo, trovare obiettivi comuni, scambiarci informazioni ma anche scambiarci prodotti: se una comunità produce miele o frutta essiccata, noi possiamo produrre per loro un video che serva a farla conoscere avendone in cambio loro prodotti. E significa anche aiutarsi a vicenda in determinati lavori, stare insieme costruendo qualcosa che è comune. Proprio per dare uno strumento, una voce a questa rete abbiamo creato la rivista "Arcorredes" che dovrebbe diventare un tramite tra le varie comunità non solo messicane ma internazionali e una cassa di risonanza di una cultura che passo dopo passo stiamo tutti faticosamente creando.