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Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 140
ottobre 1986


Rivista Anarchica Online

I nuovi conformismi
di Carlo Oliva

La maggioranza delle famiglie ha detto sì alla religione a scuola. Questa adesione massiccia non va interpretata come una scelta di campo in senso cattolico, ma come il riflesso di un nuovo conformismo. Il che, a ben vedere, è ancora più triste.

Il delitto, com'è noto, non rende solo nell'ambito del romanzo giallo. In altri contesti, con particolare riguardo a quelli ministeriali e governativi, rende, nel senso che si rivela proficuo e conveniente per chi lo ordisce, con una certa desolante frequenza.
Niente di straordinario, quindi, se tutto il pastrugno ministeriale pazientemente e ostinatamente ordito nel corso degli ultimi mesi in tema di insegnamento della religione (cattolica) nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, abbia dato i frutti preventivati e sperati. Le percentuali delle adesioni alla proposta Falcucci, come a dire del numero delle famiglie e degli studenti che hanno scelto di avvalersi di detto insegnamento, non saranno forse sbalorditive come quelle rese note dal ministero nello scorso mese di luglio, ma sono comunque sostanziose. Nell'impossibilità di trovare da qualche parte dei dati completi, leggibili e basati su rilevazioni di realtà omogenee, si può andare abbastanza sul sicuro calcolando che di "avvalersi" abbia deciso, punto più, punto meno, un novanta per cento degli interessati.
Certo, il delitto rende, ma sempre delitto rimane. Nel caso specifico il gioco governativo è stato in gran parte un gioco truccato. Non significa altro la decisione (che, non derivando né dal testo del concordato né da quello del protocollo addizionale, va addebitata in toto al ministero) di sottoporre, nei fatti, le famiglie a una scelta tra una realtà nota e invalsa nell'uso, il vecchio insegnamento della religione, in cui per ora nulla si innova, e un qualcosa di vago e fantasmatico come le "attività culturali e di studio" destinate, con una punta di sadismo punitivo, ai non avvalentesi. In fondo, anni di tambureggiante propaganda normalizzatrice hanno abituato l'utenza a temere come la peste quanto nella scuola sappia anche vagamente di sperimentale, d'innovativo o comunque di estraneo alla pratica pre-sessantotto, si tratti dei corsi abilitanti, del tempo prolungato o di che altro. E le "attività culturali e di studio" ricadono fatalmente in questa categoria, non foss'altro perché il ministro le ha regolate e definite con poche enigmatiche frasi, lasciando in gran parte l'onere di sostanziarle e di metterle in opera alle singole scuole, per cui sperimentalità e innovatività sono assolutamente obbligatorie. In aggiunta, non va trascurato il fatto che alle cautissime burocrazie scolastiche questo compito di messa in opera si presenta irto di insidie procedurali e di oscurità nella normativa, il che a nove presidi e mezzo su dieci evoca tutta una prospettiva di contenziosi con il corpo docente, proteste delle famiglie, ricorsi amministrativi e quant'altro può spingere un povero cristo a scoraggiare con ogni mezzo, senza nemmeno rendersene conto, l'attuazione presso la propria scuola di qualsiasi attività alternativa. Forse quest'ultima è solo una supposizione malvagia da parte di chi, come me, non ha particolari motivi di fiducia nelle burocrazie (e non solo in quelle scolastiche): lo vedremo, comunque, tra un paio di mesi.
Eppure, pur tenendo conto di tutto ciò, il dato che emerge dalle percentuali resta, per chi si ostina a credere in una prospettiva laica, desolante, e non credo sia giusto far finta di niente o andare in cerca di giustificazioni, che possono essere solo parziali, come quella rappresentata, appunto, dalla perfidia ministeriale.
Qualcuno s'è stupito, non so quanto sinceramente, per la contraddittorietà di questa indicazione con quelle espresse, a suo tempo, dai referendum sul divorzio e sull'aborto, che significarono una spiccata riluttanza da parte della maggioranza dei cittadini ad attenersi, in tema di morale familiare e sociale, al magistero ecclesiastico. Ma a parte il fatto che quei referendum si sono svolti in tutt'altro clima ideologico e spirituale, il problema è fondamentalmente un altro. Non credo proprio (sarebbe per lo meno ingenuo, o interessato) che quel novanta per cento di cittadini che ha deciso che i propri figli debbano avvalersi dell'insegnamento religioso possa essere classificato automaticamente tra gli aderenti a Comunione o Liberazione o, comunque, tra i figli devoti di nostra santa madre chiesa. Sarebbe un dato clamorosamente in contrasto con tutti gli altri disponibili in tema di religiosità e scelte ideologiche della comunità nazionale.
Probabilmente ci si può azzardare a considerare la scelta di buona parte di quanti hanno deciso di avvalersi non come una scelta di campo in senso cattolico, ma come un riflesso di nuovo conformismo (ipotesi che a me personalmente sembra ancora più triste). E allora il dato diventa immediatamente leggibile, senza residui e senza contraddittorietà di nessun tipo.
Non è certamente da oggi che il conformismo è il valore sociale per eccellenza. Probabilmente lo è da sempre, anche se in genere si preferisce chiamarlo con altri nomi (ce n'è una gamma: vanno da "consenso" a "ordine pubblico", passando per "legalità", "patriottismo" e, talvolta, "difesa delle istituzioni democratiche"). Da qualche tempo, forse da un decennio, è bon ton proporlo allo stato puro, salvo le applicazioni giudiziarie. E allora, perché correre rischi? La religione a scuola s'è sempre insegnata, e non ne è mai morto nessuno (su questo, forse, non giurerei, ma tanto...).
O dio, i profeti del nuovo conformismo in genere sono laici, nel senso che, come la Mimì della Bohéme, non vanno sempre a messa, e probabilmente non s'avvarrebbero mai, per i loro figli, dell'insegnamento religioso. Ma i cittadini normali non stanno a fare troppe distinzioni. Chi glielo fa fare di scegliere, tanto per non far nomi, tra Scalfari, o Spadolini, o Alberoni, o Natta e Woityla? Quest'ultimo, se non altro, ha il carisma. o, almeno, veste di bianco.