Rivista Anarchica Online
I nuovi
conformismi
di Carlo Oliva
La maggioranza
delle famiglie ha detto sì alla religione a scuola. Questa adesione
massiccia non va interpretata come una scelta di campo in senso
cattolico, ma come il riflesso di un nuovo conformismo. Il che, a ben
vedere, è ancora più triste.
Il delitto, com'è
noto, non rende solo nell'ambito del romanzo giallo. In altri
contesti, con particolare riguardo a quelli ministeriali e
governativi, rende, nel senso che si rivela proficuo e conveniente
per chi lo ordisce, con una certa desolante frequenza. Niente di
straordinario, quindi, se tutto il pastrugno ministeriale
pazientemente e ostinatamente ordito nel corso degli ultimi mesi in
tema di insegnamento della religione (cattolica) nelle scuole
pubbliche di ogni ordine e grado, abbia dato i frutti preventivati e
sperati. Le percentuali delle adesioni alla proposta Falcucci, come a
dire del numero delle famiglie e degli studenti che hanno scelto di
avvalersi di detto insegnamento, non saranno forse sbalorditive come
quelle rese note dal ministero nello scorso mese di luglio, ma sono
comunque sostanziose. Nell'impossibilità di trovare da qualche parte
dei dati completi, leggibili e basati su rilevazioni di realtà
omogenee, si può andare abbastanza sul sicuro calcolando che di
"avvalersi" abbia deciso, punto più, punto meno, un
novanta per cento degli interessati. Certo, il delitto
rende, ma sempre delitto rimane. Nel caso specifico il gioco
governativo è stato in gran parte un gioco truccato. Non significa
altro la decisione (che, non derivando né dal testo del concordato
né da quello del protocollo addizionale, va addebitata in toto
al ministero) di sottoporre, nei fatti, le famiglie a una scelta tra
una realtà nota e invalsa nell'uso, il vecchio insegnamento della
religione, in cui per ora nulla si innova, e un qualcosa di vago e
fantasmatico come le "attività culturali e di studio"
destinate, con una punta di sadismo punitivo, ai non avvalentesi. In
fondo, anni di tambureggiante propaganda normalizzatrice hanno
abituato l'utenza a temere come la peste quanto nella scuola sappia
anche vagamente di sperimentale, d'innovativo o comunque di estraneo
alla pratica pre-sessantotto, si tratti dei corsi abilitanti, del
tempo prolungato o di che altro. E le "attività culturali e di
studio" ricadono fatalmente in questa categoria, non foss'altro
perché il ministro le ha regolate e definite con poche enigmatiche
frasi, lasciando in gran parte l'onere di sostanziarle e di metterle
in opera alle singole scuole, per cui sperimentalità e innovatività
sono assolutamente obbligatorie. In aggiunta, non va trascurato il
fatto che alle cautissime burocrazie scolastiche questo compito di
messa in opera si presenta irto di insidie procedurali e di oscurità
nella normativa, il che a nove presidi e mezzo su dieci evoca tutta
una prospettiva di contenziosi con il corpo docente, proteste delle
famiglie, ricorsi amministrativi e quant'altro può spingere un
povero cristo a scoraggiare con ogni mezzo, senza nemmeno rendersene
conto, l'attuazione presso la propria scuola di qualsiasi attività
alternativa. Forse quest'ultima è solo una supposizione malvagia da
parte di chi, come me, non ha particolari motivi di fiducia nelle
burocrazie (e non solo in quelle scolastiche): lo vedremo, comunque,
tra un paio di mesi. Eppure, pur tenendo
conto di tutto ciò, il dato che emerge dalle percentuali resta, per
chi si ostina a credere in una prospettiva laica, desolante, e non
credo sia giusto far finta di niente o andare in cerca di
giustificazioni, che possono essere solo parziali, come quella
rappresentata, appunto, dalla perfidia ministeriale. Qualcuno s'è
stupito, non so quanto sinceramente, per la contraddittorietà di
questa indicazione con quelle espresse, a suo tempo, dai referendum
sul divorzio e sull'aborto, che significarono una spiccata riluttanza
da parte della maggioranza dei cittadini ad attenersi, in tema di
morale familiare e sociale, al magistero ecclesiastico. Ma a parte il
fatto che quei referendum si sono svolti in tutt'altro clima
ideologico e spirituale, il problema è fondamentalmente un altro.
Non credo proprio (sarebbe per lo meno ingenuo, o interessato) che
quel novanta per cento di cittadini che ha deciso che i propri figli
debbano avvalersi dell'insegnamento religioso possa essere
classificato automaticamente tra gli aderenti a Comunione o
Liberazione o, comunque, tra i figli devoti di nostra santa madre
chiesa. Sarebbe un dato clamorosamente in contrasto con tutti gli
altri disponibili in tema di religiosità e scelte ideologiche della
comunità nazionale. Probabilmente ci si
può azzardare a considerare la scelta di buona parte di quanti hanno
deciso di avvalersi non come una scelta di campo in senso cattolico,
ma come un riflesso di nuovo conformismo (ipotesi che a me
personalmente sembra ancora più triste). E allora il dato diventa
immediatamente leggibile, senza residui e senza contraddittorietà di
nessun tipo. Non è certamente
da oggi che il conformismo è il valore sociale per eccellenza.
Probabilmente lo è da sempre, anche se in genere si preferisce
chiamarlo con altri nomi (ce n'è una gamma: vanno da "consenso"
a "ordine pubblico", passando per "legalità",
"patriottismo" e, talvolta, "difesa delle istituzioni
democratiche"). Da qualche tempo, forse da un decennio, è bon ton
proporlo allo stato puro, salvo le applicazioni giudiziarie. E
allora, perché correre rischi? La religione a scuola s'è sempre
insegnata, e non ne è mai morto nessuno (su questo, forse, non
giurerei, ma tanto...). O dio, i profeti
del nuovo conformismo in genere sono laici, nel senso che, come la
Mimì della Bohéme, non vanno sempre a messa, e probabilmente non
s'avvarrebbero mai, per i loro figli, dell'insegnamento religioso. Ma
i cittadini normali non stanno a fare troppe distinzioni. Chi glielo
fa fare di scegliere, tanto per non far nomi, tra Scalfari, o
Spadolini, o Alberoni, o Natta e Woityla? Quest'ultimo, se non altro,
ha il carisma. o, almeno, veste di bianco.
|