Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 140
ottobre 1986


Rivista Anarchica Online

Una voce profonda
di Carlo Ghirardato

A mezzo secolo dalla sua morte, Federico Garcia Lorca viene ricordato come poeta. Ma era anche uomo di teatro, studioso della cultura popolare, amico dei surrealisti, aperto al nuovo. Non fu certo per caso che i fascisti ne decretarono la morte.

Alcuni articoli di carattere celebrativo mi hanno stimolato ad una lettura di Lorca diversa da quella che hanno operato i vari ispanisti consultati dai periodici. Essi hanno esaltato unicamente le innovazioni tecniche, la profondità dei temi, lo stile del linguaggio, i valori delle metafore della poesia lorchiana, nel cinquantenario della morte articoli così specificatamente tecnici hanno a mio parere snaturato la vera essenza dell'artista: un'essenza rivoluzionaria.
Il 16 luglio del '36 Lorca si trovava in Madrid indeciso se andare o meno a Granada per trascorrere l'estate prima di un prossimo viaggio per l'America Latina. Accesi scontri avvenuti pochi giorni prima a Siviglia preoccupavano il poeta che seppur pieno di presentimenti raggiunse la città natale quella stessa notte. Luis Rosales, suo amico d'infanzia e poeta, legato alla falange, gli consiglierà in segreto di scappare e Lorca, che era partito da Madrid dicendo "sarà quel che dio vorrà", si limita invece ad accettarne l'ospitalità. Questa verrà infranta in un momento di assenza dei padroni di casa e Lorca troverà la morte.

Canzone di cavaliere

Cordova

Lontana e sola.
Cavallina nera, grande luna,
e olive nella mia bisaccia.
Pur conoscendo le strade
mai più arriverò a Cordova.
Nel piano, nel vento
cavallina nera, luna rossa.
La morte mi sta guardando
dalle torri di Cordova.
Ahi, che strada lunga!
Ahi, la mia brava cavalla!
Ahi, che la morte mi attende
prima di giungere a Cordova!
Cordova.
Lontana e sola.

Al pari dei suoi personaggi modesti e umani Lorca portava dentro di sé il senso del destino, dentro dunque, cioè niente a che fare con il fato greco degli eroi e la sua fine ha la stessa tinta del "dramma gitano" che tanta parte ebbe nella sua opera.
L'interesse per i nomadi si lega a una tradizione che risale almeno a Miguel de Cervantes che dei gitani fornirà un quadro di umanità e libertà: "...poche cose possediamo che non sono comuni a tutti, eccetto la moglie o l'amica che vogliamo appartengano a coloro che le ebbero in sorte...con questa ed altre leggi ci conserviamo e viviamo allegri, siamo signori dei campi, dei seminati, dei boschi, dei monti e dei fiumi: i monti ci offrono legna gratuita; gli alberi, frutta; le vigne, uva; le fonti, acqua; i fiumi, pesci; ombra le rupi...la nostra levità non è inceppata da catene, né ostacolata da burroni, né trattenuta da muraglie; il nostro animo non è piegato o sminuito da tortura di corde e carrucole...fra il si e il no non c'è differenza quando ci conviene sempre preferiamo gloriarci di martiri che di confessori... Lavoriamo di giorno e rubiamo di notte, o per meglio dire, facciamo che ognuno stia sull'avviso e abbia cura dove mette la sua roba. Non ci molesta la paura di perdere l'onore né ci affanna l'ambizione di accrescerlo né fomentiamo fazioni né ci alziamo all'alba per stilare petizioni né per accompagnare magnati o sollecitare favori... Pitture e paesaggi delle Fiandre sono per noi quello che ci offre la natura... Siamo astrologi rustici giacché con il dormire sempre a cielo scoperto sappiamo ben distinguere le ore del giorno da quelle della notte...Insomma, siamo gente che viviamo con la sola nostra destrezza ed acume, senza avere a che fare con l'antico motto: "O chiesa, o mare o casa reale"; abbiamo quel che vogliamo giacché siamo soddisfatti di quel che possediamo".
Epica e lirica del mondo gitano sono fonte d'ispirazione per il nostro; un mondo di marginali e di ribelli, di separati dalla società. Questi "soggetti" attraverso il sogno, l'amore, la morte, il sangue, il pianto espressi in modo acceso, ascendono a significato universale e nelle loro sensazioni/azioni e pensieri ogni uomo ci si riconosce.

Canzone del gitano bastonato

Ventiquattro schiaffi;
Venticinque schiaffi;
Poi, mia madre, a sera,
Mi riporrà in carta argentata.
Guardie civili della strada,
Datemi qualche sorso d'acqua
Acqua con pesci e barche.
Acqua, acqua, acqua, acqua.
Ahi, capo delle guardie,
Che stai su, nella tua stanza!
Non vi saran fazzoletti di seta
Per pulirmi la faccia!

In Andalusia i gitani, a cui Lorca dedicò anche profondi studi tesi ad appurarne il luogo e la civiltà d'origine, si fusero bene con la cultura della regione rendendosi a tutti gli effetti degni di venir presi a modello. Niente a che fare con i gipsyes inglesi né tantomeno con gli zingari italiani; i gitani sono qui maestri di civiltà; posseggono in pieno l'arte del canto, della danza, della musica, della lavorazione dei metalli, e sanno come "stare" con i tori. Nelle liriche del "Romancero gitano", Lorca nell'intimo sembra auspicarsi la completa gitanizzazione dell'Andalusia. L'andaluso che si aggrega al gitano e si gitanizza si appropria di forme espressive che in seno raccolgono diverse culture, quella araba per prima, del tutto escluse dalla storia del mondo occidentale e borghese.
Il "canto hondo" (canto profondo) ne è la massima espressione; dove hondo si applica al canto significandone la profondità del sentimento, l'intensità radicale dell'esecuzione. Suoi temi sono la pena, il distacco, la morte, il nulla; la bravura del cantante si misura con il trasporto che sa creare in chi l'ascolta... Prima timidi battiti di mani, poi qualche olè e infine si saluta lo stato di grazia dell'interprete con degli "anda con Dios". Spesso l'esecuzione si trasforma in un momento di magia, un rito collettivo epperciò il cante hondo non avrà vita facile sotto la santa inquisizione. Nonostante la proibizione esso si diffuse enormemente nella cultura "campesina" nella quale da sempre trionfa un ideale vegetativo della vita.

..La pena y ta que no es pena
todo es pena para mì
Ayer penaba por verte
Y hoy peno porque te vi.

L'interesse che Lorca dedicò al cante hondo lo vide impegnato a difenderlo dalle intrusioni borghesi, che svuotandolo di contenuti ed eseguendolo al chiuso dei teatri lo trasformarono in un momento folkloristico: la zarzuela. I compositori Manuel de Falla e Zuloaga insieme al poeta organizzarono una "Fiesta del Cante hondo" con l'intento di saggiarne lo stato di salute; Lorca rapito dallo spettacolo compose il "Poema del canto hondo" in una libera e personale interpretazione tematica.

Le sei corde

La chitarra
Fa piangere i sogni.
Il singhiozzo delle anime
Sperdute
Sfugge dalla sua bocca
Rotonda.
E come tarantola,
Tesse una grande stella
Per irretire sospiri
che fluttuano nella sua nera
cisterna di legno.

La guardia civil è simbolo di morte e repressione come il gitanismo lo è della rivolta e della libertà. È con gli occhi del gitano che Lorca...

Romanza della guardia civile spagnola

I cavalli neri sono.
I ferri sono neri.
Sui mantelli luccicano
macchie d'inchiostro e di cera.
Hanno, per questo non piangono,
di piombo i tedeschi.
Con l'anima di lustrino
vengono per la strada.
Gobbi e notturni,
dove passano, ordinano
silenzio di gomma oscura
e paure di fine arena.
Passan, se vogliono passare,
e nascondono nella testa
una vaga astronomia
di pistole inconcrete...

...Avanzano dentro per due.
Doppio turno di tela.
Il cielo, sembra loro
una vetrina di speroni
La città, senza paura,
moltiplicava le sue porte.
Quaranta guardie civili
vi entravano a saccheggiare...

...O città dei gitani!
La guardia civile s'allontana
in un tunnel di silenzio
mentre le fiamme ti circondano.
O città dei gitani!
Chi ti vide e non ti ricorda?
Che ti cerchino sulla mia fronte.
Giuoco di luna e arena.

Ritengo che Lorca non si sentisse del tutto compreso per il suo interesse al gitanismo, che solo in quanto proiezione trascendente di cose comuni a tutti gli uomini andava inteso; come risultante di un viaggio orfico alle radici dell'Andalusia e non certo comunque mera rappresentazione folkloristica. Il successo del "Romancero gitano" tendeva a collocarlo in una moda popolaristica. "Mi dà noia il mito del mio gitanismo. Confondono la mia vita e la mia natura... Il gitanismo mi dà un tono di scarsa cultura, di mancanza di educazione, di poeta selvaggio che io non sono affatto. Non voglio essere incasellato. Sento che mi stanno mettendo catene". (Da una lettera a J. Guillèn, poeta surrealista). Come tutta la sua generazione aderì al surrealismo stimolato oltre modo dalla amicizia di L. Buñuel e S. Dalì.
Beninteso, il surrealismo spagnolo non giunse mai all'estremismo dell'automatismo psichico tipico francese e nel nostro si manifestò soprattutto in pittura (la sua prima personale si tenne a Barcellona nel '27), e nell'uso che fece delle sue tecniche espressive in poesia mantenendo però sempre inalterabile il dato oggettivo, reale della cosa da comunicare: se un bambino piange, piange veramente. D'altronde l'incandescente situazione sociale spingeva inevitabilmente all'azione.
Nel '32 Buñuel lasciò i surrealisti e girò "Tierra sin pan", Lorca nello stesso anno compose "Poeta en Nueva York" dove la sua simpatia va ancora agli oppressi: "Io credo che il fatto di essere di Granada mi fa inclinare alla comprensione simpatetica dei perseguitati. Del gitano, del moro, dell'ebreo, dei negri che tutti portiamo dentro".

...Ah! Harlem! Ah, Harlem! Ah, Harlem!
Non c'è angoscia paragonabile a quella dei tuoi occhi oppressi,
del tuo sangue rabbrividito dentro l'oscura eclisse,
della tua violenza granata sordomuta nella penombra,
del tuo grande re prigioniero con un abito da portinaio...

Non si dichiara un politico, piuttosto un rivoluzionario e al contrario di Rafael Alberti non prenderà mai alcuna tessera di partito. Di ritorno dagli USA, Lorca è tra i più fervidi intellettuali impegnati nel sociale. Si rompe la sua amicizia con S. Dalì perché a questo non interesserà rinunciare ai suoi deliri onirici proprio mentre l'ansia di comunicazione spinge il nostro a "bussare alle porte del teatro". Nel '32 grazie al sostegno tangibile di Fernando de Los Rios, ministro socialista della pubblica istruzione della nascente repubblica, fonda "La baracca" compagnia teatrale di studenti universitari che compirà ben 20 tournée per le piazze di Spagna. Nel '34, nonostante la svolta politica che porta al potere momentaneo la CEDA (partito di destra), Lorca non rinuncia, seppur tra dissesti finanziari, alla sua battaglia. Il repertorio è quello classico spagnolo: Miguel de Cervantes, Calderon de La Barca, Lope de Vega. "Non credo nell'arte per l'arte... Il teatro che non raccoglie il palpito sociale, il palpito storico, il dramma delle sue genti e il colore autentico del suo passaggio, con le risate o con le lacrime, non ha il diritto di definirsi teatro, ma sala da giuoco o luogo dove fare quella cosa orribile che si chiama " ammazzare il tempo"...".
Tali convinzioni lo porteranno a delle scelte di ricostruzione testuale quando l'originale gli pare troppo vincolante. In "Fuenteovejuna" di Lope de Vega eliminò l'intero finale che vede il re come elemento decisivo nella soluzione del conflitto che animò un intero paese contro il signorotto locale. Sopprimendo l'intervento del monarca rimane il trionfo popolare.
Può bastare questo per rilevare quanto poco indicata diviene una analisi di Lorca che tenga conto unicamente degli elementi tecnico-stilistici?