Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 140
ottobre 1986


Rivista Anarchica Online

La morte in diretta
di Fausta Bizzozzero

"Sono giovane, ricco e colto; e sono infelice, nevrotico e solo. Provengo da una delle migliori famiglie della riva destra del lago di Zurigo, chiamata anche la costa d'oro. Ho avuto un'educazione borghese e mi sono portato bene per tutta la vita. La mia famiglia è alquanto bacata e anch'io probabilmente porto tare ereditarie e conseguenze di danni ambientali. Naturalmente ho anche il cancro, il che, per la verità, dopo quanto ho detto, mi pare una conseguenza abbastanza naturale".
Un simile inizio non può che provocare disagio e quindi il desiderio di chiudere un libro (Fritz Zorn, Il cavaliere, la morte e il diavolo, Mondadori, pagg .234, lire 12.000), che si annuncia, già dal primo impatto, come sgradevole e pericoloso. Sgradevole perché nella nostra cultura la malattia in genere - e il cancro in particolare che ne costituisce il limite simbolico estremo - è uno dei tabù e dei rimossi collettivi più radicati, è uno spettro che fa paura e di cui non bisogna parlare. Pericoloso perché superarlo significa denudarsi, rimettere in gioco se stessi, rileggere la propria storia, guardare in faccia i condizionamenti subiti e i guasti psichici e fisici che hanno prodotto.
Questo non è, quindi, un libro per tutti, poiché va a toccare quella parte dell'Io solitamente accuratamente nascosta e non consente la fuga. Non si tratta, infatti, del solito saggio sociologico o psicologico sulla famiglia in cui all'approccio razionale dell'autore corrisponde l'approccio razionale del lettore. Qui siamo di fronte alla "morte in diretta" di un singolo individuo: la sua malattia fisica è solo la manifestazione, l'esplosione di una malattia psichica sempre ignorata le cui radici risalgono, come sempre, all'infanzia.
Seguiamo quindi Fritz Zorn nel suo cammino a ritroso, nella ricostruzione dell'ambiente in cui è cresciuto, dell'educazione che ha ricevuto, dei valori che gli sono stati inculcati, dei rapporti col padre e con la madre; seguiamolo quando scopre di non aver mai vissuto ma di aver solo proiettato l'immagine del buon borghese costruita dai genitori e quando cerca faticosamente di rimettere insieme i pezzi perduti del suo vero Io.
La sua analisi spietata e lucida dell'istituzione famiglia diventa inevitabilmente l'analisi della cultura e della società borghese, non lascia tregua e non perdona nulla fino a costruire un atto d'accusa incontrovertibile.
E il lettore, pagina dopo pagina, si trova a ripercorrere parallelamente la sua storia personale e ad affrontare i suoi fantasmi, i suoi "cadaveri nell'armadio". Fritz Zorn ha 28 anni quando si ammala e 32 anni quando muore poco dopo aver terminato il suo manoscritto, ma questi quattro anni di sofferenza e di malattia non sono stati inutili, come inutile non è stata la sua morte, se il suo libro può aiutare a raggiungere una maggiore consapevolezza.
Perché in ognuno di noi c'è almeno un po' di Fritz Zorn.