Rivista Anarchica Online
Compagno sì, compagno no
di Carlo Oliva
Numerosi gestori di locali
cosiddetti "alternativi" milanesi sfrutta(va)no il lavoro
nero. Anni fa molti di loro erano
"compagni" impegnati a "chiudere i covi del lavoro
nero". Anni fa, appunto.
Una storia un po' triste, quella in
cui sono stati coinvolti, un mesetto fa, numerosi gestori di locali
milanesi della zona Ticinese, di quelli che fino a qualche tempo si
chiamavano, per motivi abbastanza misteriosi, "locali
alternativi". Denunciati tempo addietro dal redattore di un
quotidiano economico in vena di scoop per una serie di
irregolarità amministrative, la maggior parte delle quali in
relazione ai diritti del personale dipendente (assunzioni,
inquadramento, contributi e via andare) sono stati successivamente
oggetto d'inchiesta, rinviati a giudizio e sottoposti (non tutti, ma
quasi) al pagamento di ammende cospicue. Nonché a tutta una
serie d'ironie e di battute sul tema della facilità con cui da
"compagni", nel senso di esponenti di un certo spicco del
movimento post '68 e post '77, erano passati al ruolo di padroni,
anzi, di "padroncini", che notoriamente è peggio. Una storia un po' triste, ma non una
grande storia. Anche lo scoop del quotidiano da cui era
partito tutto (credo fosse Italia oggi) non era stato un
grande scoop, nel senso che, probabilmente, ci sarebbe stato
molto di più da scoprire in tema di violazione dei diritti dei
lavoratori, andando a cercare in altri ambiti. Ma, insomma,
l'ossimoro dei compagni diventati padroni, o meglio ancora quello
degli ex rossi che facevano lavorare i dipendenti in nero, era troppo
attraente per essere trascurato. Di questi giochini vive, purtroppo,
il nostro giornalismo, piccolo e grande. Lasciamo perdere. Il fatto, comunque,
resta quello che è: il sintomo, come minimo, d'una
contraddizione ideologica e d'un livello di coerenza morale non
particolarmente elevato. Alcuni dei personaggi coinvolti si
sono difesi invocando, com'è d'uso, lo stato di necessità:
date la dimensione e le caratteristiche delle loro aziende, in nessun
modo avrebbero potuto proseguire nel loro lavoro attenendosi alle
regole. Una giustificazione un po' debole, da parte di chi non poteva
non conoscere quali fossero le norme vigenti e che cosa
comportassero, al momento d'iniziare una certa attività. Altri, con maggiore fondamento, hanno
fatto notare come il lavoro "nero", se proprio si vuole
chiamarlo così, sia spesso gradito al lavoratore interessato:
esiste tutta una fascia sociale composta da individui che hanno
scelto, per motivi talvolta rispettabili, una condizione, diciamo, di
marginalità e di essa fan parte, per lo più, i
lavoratori coinvolti nella vicenda. Metterli "a libro"
contro le loro stesse opzioni non significa altro che metterli nei
guai, infliggendo un danno concreto in nome d'un principio astratto. È vero che la tutela dei
diritti dei lavoratori è, per ovvi motivi, irrinunciabile, ma
- insomma - è anche vero che il mercato del lavoro marginale
rappresenta oggi qualcosa di storicamente nuovo, cui le norme
vigenti, per un motivo o per l'altro, vanno un po' strette. È
altrettanto vero, comunque, che questi discorsi, fatti da parte di
chi su questa opzione di marginalità ci lucra in quanto
imprenditore, sono abbastanza sospetti. Insomma, qualche ragione, a cercarla,
alle vittime dello scoop di Italia oggi si può
concedere, ma la figura che, nel complesso, ci fanno non è lo
stesso molto brillante. Sul fatto che abbiano tratto qualche profitto
del lavoro dei loro salariati (a loro volta, manco a dirlo, ex
compagni), che li abbiano, come si dice in termini tecnici,
sfruttati, non ci piove. Il fatto è, per dirla alla
buona, che le opzioni di marginalità, e le definizioni in base
alle quali ci si può caratterizzare come "compagno"
e si può sostenere che il proprio locale sia "alternativo",
appartengono alla sfera dell'ideologia; le contraddizioni tra
capitale e lavoro, notoriamente, no. Chi entra in questo genere di
dialettica dalla parte del capitale, per quante benemerenze
ideologiche abbia alle spalle, non può che accettarne le
conseguenze. I problemi di normativa esistono, perché non sta
scritto da nessuna parte che le norme vigenti in materia
d'inquadramento e di contributi siano sacrosante, ma riguardano
principalmente lui. Non sono, come si diceva una volta,
contraddizioni in seno al popolo. E per di più, c'è sempre
il rischio aggiuntivo di farsi prendere per i fondelli dai padroni
veri, da quelli che in teoria dovrebbero trattare i transfughi
dall'altra sponda con l'affetto che i loro testi sacri raccomandano
d'applicare alle pecorelle smarrite. È un mondo, il nostro,
veramente perverso.
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