Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 151
dicembre 1987 - gennaio 1988


Rivista Anarchica Online

Compagno sì, compagno no
di Carlo Oliva

Numerosi gestori di locali cosiddetti "alternativi" milanesi sfrutta(va)no il lavoro nero. Anni fa molti di loro erano "compagni" impegnati a "chiudere i covi del lavoro nero". Anni fa, appunto.

Una storia un po' triste, quella in cui sono stati coinvolti, un mesetto fa, numerosi gestori di locali milanesi della zona Ticinese, di quelli che fino a qualche tempo si chiamavano, per motivi abbastanza misteriosi, "locali alternativi". Denunciati tempo addietro dal redattore di un quotidiano economico in vena di scoop per una serie di irregolarità amministrative, la maggior parte delle quali in relazione ai diritti del personale dipendente (assunzioni, inquadramento, contributi e via andare) sono stati successivamente oggetto d'inchiesta, rinviati a giudizio e sottoposti (non tutti, ma quasi) al pagamento di ammende cospicue. Nonché a tutta una serie d'ironie e di battute sul tema della facilità con cui da "compagni", nel senso di esponenti di un certo spicco del movimento post '68 e post '77, erano passati al ruolo di padroni, anzi, di "padroncini", che notoriamente è peggio.
Una storia un po' triste, ma non una grande storia. Anche lo scoop del quotidiano da cui era partito tutto (credo fosse Italia oggi) non era stato un grande scoop, nel senso che, probabilmente, ci sarebbe stato molto di più da scoprire in tema di violazione dei diritti dei lavoratori, andando a cercare in altri ambiti. Ma, insomma, l'ossimoro dei compagni diventati padroni, o meglio ancora quello degli ex rossi che facevano lavorare i dipendenti in nero, era troppo attraente per essere trascurato. Di questi giochini vive, purtroppo, il nostro giornalismo, piccolo e grande.
Lasciamo perdere. Il fatto, comunque, resta quello che è: il sintomo, come minimo, d'una contraddizione ideologica e d'un livello di coerenza morale non particolarmente elevato.
Alcuni dei personaggi coinvolti si sono difesi invocando, com'è d'uso, lo stato di necessità: date la dimensione e le caratteristiche delle loro aziende, in nessun modo avrebbero potuto proseguire nel loro lavoro attenendosi alle regole. Una giustificazione un po' debole, da parte di chi non poteva non conoscere quali fossero le norme vigenti e che cosa comportassero, al momento d'iniziare una certa attività.
Altri, con maggiore fondamento, hanno fatto notare come il lavoro "nero", se proprio si vuole chiamarlo così, sia spesso gradito al lavoratore interessato: esiste tutta una fascia sociale composta da individui che hanno scelto, per motivi talvolta rispettabili, una condizione, diciamo, di marginalità e di essa fan parte, per lo più, i lavoratori coinvolti nella vicenda. Metterli "a libro" contro le loro stesse opzioni non significa altro che metterli nei guai, infliggendo un danno concreto in nome d'un principio astratto.
È vero che la tutela dei diritti dei lavoratori è, per ovvi motivi, irrinunciabile, ma - insomma - è anche vero che il mercato del lavoro marginale rappresenta oggi qualcosa di storicamente nuovo, cui le norme vigenti, per un motivo o per l'altro, vanno un po' strette. È altrettanto vero, comunque, che questi discorsi, fatti da parte di chi su questa opzione di marginalità ci lucra in quanto imprenditore, sono abbastanza sospetti.
Insomma, qualche ragione, a cercarla, alle vittime dello scoop di Italia oggi si può concedere, ma la figura che, nel complesso, ci fanno non è lo stesso molto brillante. Sul fatto che abbiano tratto qualche profitto del lavoro dei loro salariati (a loro volta, manco a dirlo, ex compagni), che li abbiano, come si dice in termini tecnici, sfruttati, non ci piove.
Il fatto è, per dirla alla buona, che le opzioni di marginalità, e le definizioni in base alle quali ci si può caratterizzare come "compagno" e si può sostenere che il proprio locale sia "alternativo", appartengono alla sfera dell'ideologia; le contraddizioni tra capitale e lavoro, notoriamente, no.
Chi entra in questo genere di dialettica dalla parte del capitale, per quante benemerenze ideologiche abbia alle spalle, non può che accettarne le conseguenze. I problemi di normativa esistono, perché non sta scritto da nessuna parte che le norme vigenti in materia d'inquadramento e di contributi siano sacrosante, ma riguardano principalmente lui. Non sono, come si diceva una volta, contraddizioni in seno al popolo.
E per di più, c'è sempre il rischio aggiuntivo di farsi prendere per i fondelli dai padroni veri, da quelli che in teoria dovrebbero trattare i transfughi dall'altra sponda con l'affetto che i loro testi sacri raccomandano d'applicare alle pecorelle smarrite.
È un mondo, il nostro, veramente perverso.