Rivista Anarchica Online
La parola ai Cobas
Ne parlano tutti. A proposito e - spesso - a sproposito. C'è chi li accusa di corporativismo, chi invece vede in loro una nuova proposta di sindacalismo non più verticale, chi gioisce dei loro successi, chi li maledice e ne chiede (più o meno) la cancellazione per legge. In realtà i Comitati di Base (meglio noti come COBAS) sono tutto fuorché un movimento omogeneo. È impossibile restringerli in un'unica definizione, classificarli con un giudizio onnicomprensivo. Più interessante e più proficuo, ci è parso dar loro la parola. Questo dossier si compone di due parti, ciascuna curata da un compagno attivo nelle lotte della sua categoria. La prima, dedicata ai ferrovieri, è curata da Maurizio Bersella: oltre ad una sua premessa, ci sono due inteviste - ad un macchinista di Firenze e ad uno di Roma. La seconda parte, relativa alla scuola, è curata da Stefano Fabbri d'Errico. Dopo la sua premessa, ci sono le interviste a Sandro Gigliotti (uno dei leader nazionali dei COBAS), a Paolo Grillo (le cui posizioni e proposte si contrappongono a quelle sostenute da Gigliotti), ad alcuni esponenti dei CAPS (Coordinamento Autogestito Precari e Supplenti) ed infine ad alcuni aderenti all'USI-scuola. Completano il dossier alcune schede.
Oltre a tutti gli intervistati (compresi Angelo Di Naro ed il gruppo dei "Cattivi maestri", le cui interviste per ragioni di spazio sono rimaste forzatamente fuori da questo dossier - ed appariranno in un prossimo futuro sul settimanale Umanità Nova, hanno attivamente collaborato alla realizzazione del dossier Graziella Argiolas, Giuseppe Martelli, Claudio Neri, Aldo Piroso, Claudia Santi e (per le foto) Alarico Cammarota
Un vagone di ragioni
di Maurizio Barsella
Spesso i ferrovieri con le loro
lotte ed i loro obiettivi hanno anticipato movimenti di emancipazione
più generalizzati. Anche per questo è necessario
esaminare con attenzione molti aspetti dell'attuale movimento di
lotta. Accanto a rivendicazioni di classico stampo sindacale, ci sono
questioni legate al lavoro. Non prevale più, come negli anni
scorsi, il disinteresse, ma l'attaccamento e la rivendicazione della
dignità del lavoro.
Le due interviste che qui presentiamo a
due macchinisti del Coordinamento Macchinisti Uniti sono uno spaccato
significativo di quel movimento di lotta che nella scorsa estate ha
turbato le vacanze dei dirigenti sindacali e dell'Ente FS. Uno spaccato, appunto. In realtà,
altre posizioni sono presenti all'interno di questo eterogeneo ma
unitario movimento. Manca infatti la posizione sindacale
filo-istituzionale, quella che molta parte ha avuto nella firma di
quel pre-accordo con le organizzazioni sindacali, manca la posizione
di coloro che vogliono organizzare fra i macchinisti un sindacato
tipo Anpac (piloti Alitalia), mancano altre posizioni in questo
momento minoritarie, ma con molte chance per aumentare il proprio
peso. I due macchinisti intervistati non sono anarchici, i tempi
stretti della pubblicazione della rivista ed insufficienze
organizzative nostre non ci hanno permesso di riportare questi
contributi. Dalla lettura della prima intervista
al macchinista di Firenze esce fuori un elemento importante che deve
essere tenuto presente per meglio comprendere i comportamenti dei
partecipanti a questo movimento di lotta: i macchinisti, ma la cosa è
valida più in generale per tutti i ferrovieri, formano ancora
una categoria di lavoratori, per così dire, tradizionale.
Grandi cambiamenti sono avvenuti nell'organizzazione del lavoro, ma,
per il momento, questi non sono riusciti a cambiare più di
tanto le caratteristiche peculiari dei ferrovieri, come tutti li
conosciamo. Per fare un esempio, ormai da cinque
anni il macchinista delle ferrovie che viene assunto dall'esterno
deve avere un diploma di scuola superiore, mentre nel passato era
sufficiente la terza media. Era logico immaginarsi che questa
introduzione di giovani diplomati, portatori di concetti culturali e
sociali diversi, portasse a scontrarsi con la cultura classica
dell'operaio-macchinista che ha migliorato nella pratica del lavoro
la sua istruzione professionale e che, comunque, ne va orgoglioso. In
realtà, per lo meno per quanto si è visto in questa
fase, parrebbe che questi concetti cardine, che venivano ritenuti
arretrati, siano ben vivi e si siano rinnovati per adeguarsi alla
società che cambia. Questo è un elemento che chi
scrive ritiene positivo, perché fa ben sperare che le lotte
possano continuare. Infatti vediamo un risorgere di quella concezione
di attaccamento al lavoro, che vede nel riconoscimento di questo una
chiave per il miglioramento delle condizioni generali di vita dei
lavoratori, contrapponendosi a quella concezione di disinteresse al
lavoro, che ha caratterizzato le lotte degli anni passati e che
quindi ha formato alcuni valori delle generazioni degli anni '70.
Viene dunque da chiedersi se questo è un dato appartenente
solo ad alcune categorie particolari, probabilmente destinato a
scomparire, o se invece stia ripresentandosi nella storia della
emancipazione sociale, visto anche che i ferrovieri hanno anticipato
nel passato movimenti di emancipazione più generalizzati. Attualmente prendiamo atto che questa
rivendicazione sottende i comportamenti di questi lavoratori in
lotta. I due macchinisti, pur essendo di
differenti generazioni, lo hanno ribadito a chiare lettere: contro la
concezione di legare la retribuzione del lavoro agli aumenti di
produttività, riaffermano una retribuzione legata alle
caratteristiche specifiche del lavoro stesso. Questo loro rifiuto di far diventare
la retribuzione sempre più variabile dipendente dalla
produttività è un elemento che esce chiaro dalle
piattaforme, dalle interviste ma, ancora, non corrispondente ad una
coscienza generalizzata dei lavoratori - coscienza che peraltro nelle
lotte sta aumentando. La maggioranza dei macchinisti continua, però,
anche se in misura molto minore, a delegare l'acquisizione di
determinati contenuti, e sciopera sì in massa, ma avendo
soprattutto l'obiettivo di ottenere più soldi e qualche
miglioramento della normativa di lavoro, più che di vedere
come questi soldi vengono dati. Su questo potrebbe innestarsi in
maniera positiva un rapporto con le altre categorie attualmente in
lotta, rapporto che pare stia iniziando a costruirsi. Questi
comportamenti non sono certo di per sé rivoluzionari, ma quel
che ha abbastanza importanza è che hanno il pregio di
scombinare i progetti che l'Ente FS, con la fattiva collaborazione
delle organizzazioni sindacali, ha preparato per il prossimo futuro
delle FS e dei ferrovieri che ci lavorano. Un secondo dato da
esaminare è questa cosiddetta "specificità"
del macchinista, quella che tutti i detrattori dei lavoratori
chiamano corporativismo. I macchinisti, con questa lotta,
stanno in qualche modo difendendo la propria condizione
professionale, che vedono attaccata dalla de-professionalizzazione e
dalla banalizzazione delle mansioni che l'introduzione di questa
nuova tecnologia sui mezzi di trazione porta con sé. Così
facendo smascherano tutto il concetto di aumento di professionalità,
con cui le organizzazioni sindacali avevano fatto accettare
l'ideologia della ristrutturazione. Mostrano cioè che la
ristrutturazione aziendale porta per la grande maggioranza dei
lavoratori diminuzione di professionalità, come acquisizione
di maggiori capacità da parte dei lavoratori. Questa battaglia viene portata avanti
introducendo la nuova voce salariale "indennità di
macchina" legata ai rischi e alle responsabilità. Si
rovescia inoltre il concetto negativo insito nella "indennità
dei quadri", che le organizzazioni sindacali non hanno avuto
problemi ad introdurre con questo ultimo contratto sapendo che era
legata alla loro funzione gerarchica e di rinnovati garanti del
potere aziendale presso i lavoratori. Quindi, i macchinisti difendono
certamente uno status professionale "privilegiato", lo
difendono perché sentono a pelle che gli sta sfuggendo e
cercano di proporre anche delle alternative, perché si rendono
sufficientemente conto che il lavoro sta cambiando. Del resto è
indubbio che il lavoro notturno sia ben più pesante e nocivo
di quello di giorno; e può essere sì ridotto ma, per il
momento, comunque non eliminato, visto che i treni devono viaggiare
anche la notte. Allo stesso tempo, però, queste non sono
rivendicazioni di carattere egualitario, per lo meno per come
l'abbiamo inteso fino ad oggi: una famiglia di un ferroviere che
lavora di giorno ha un consumo simile a quella di un ferroviere che
lavora di notte. Un dibattito del passato che ritorna?
A ciascuno secondo i suoi bisogni o a ciascuno secondo quello che fa?
Chi scrive è d'accordo con le conclusioni che furono date
cento anni fa a questo dibattito - cioè la prima soluzione -
per questo tende a vedere il dibattito attuale soprattutto come un
momento di passaggio per recuperare da parte dei lavoratori la loro
funzione di protagonisti delle scelte della società. Un terzo dato da mettere in risalto e
che può aiutare a capire meglio questo movimento, è
quello dei metodi di lotta e di organizzazione. Lo sciopero è
stato recuperato per gran parte del suo vero significato di danno
alla controparte, e dando la disponibilità ad effettuare i
servizi cosiddetti "essenziali" i macchinisti hanno cercato
di smascherare l'ipocrisia dell'Ente, della stampa, ecc. nei
confronti dell'utenza. Si coglie inoltre nell'intervista una
disponibilità, se necessario, a mettere in pratica altre forme
di lotta. A livello organizzativo è
indubbio che le assemblee di base hanno avuto molto più potere
decisionale e possibilità di controllo dell'operato delle
strutture di coordinamento, di quanto sia avvenuto in questi ultimi
anni. Purtuttavia sono state fatte scelte che rischiano di ricreare
situazioni burocratiche: nel primo periodo del movimento di lotta, le
assemblee nazionali avvenivano con la presenza di delegati di ogni
impianto, e molto spesso, permettendo quindi anche ai lavoratori
degli impianti più piccoli o più sperduti di
partecipare alla discussione e alle decisioni. Oggi sta prendendo il
sopravvento il Coordinamento tecnico nazionale, formato da due
delegati per ogni compartimento, eletti a loro volta dalle assemblee
di tutti gli impianti del compartimento. Questo significa che è
stato introdotto un filtro che rischia di trasformare il
Coordinamento tecnico in coordinamento politico se i macchinisti non
vi porranno subito rimedio. Purtroppo, nonostante che lavoratori
anarchici o più generalmente antiautoritari stiano lavorando
con metodo all'interno di questi movimenti, è ancora troppo
forte nella testa della gente la pratica organizzativa autoritaria e
verticistica, patrimonio principale di questi anni, dal fascismo ad
oggi. Al termine di questo commento dobbiamo
però riportare gli ultimi fatti e gli ultimi comportamenti che
i macchinisti stanno tenendo, ogni qualvolta si cerca di farli uscire
dalla loro specificità. All'assemblea organizzata dai Cobas
della scuola a Roma, il 15 novembre, con la presenza di delegazioni
dei macchinisti, del personale viaggiante delle FS, dei lavoratori
dell'Inps, delle Poste, dell'Alitalia, ecc., i macchinisti hanno
aderito con scarsa convinzione a future iniziative comuni, riportando
i concetti di mantenersi separati dalle altre categorie. Si ha però l'impressione di
credere rimandando a conferme in questi giorni successivi, che questo
atteggiamento sia incrementato dalle strumentalizzazioni politiche,
certo ben comprensibili. Pensate un po', se il partito comunista e la
CGIL, tradizionalmente maggioritari in questa categoria, si fanno
sottrarre tanto facilmente un numero così alto di lavoratori! Anche per questo penso che i giochi
siano ancora da fare e che quindi le potenzialità positive di
queste lotte abbiano ancora possibilità di essere sviluppate
dagli stessi lavoratori.
La parola ai macchinisti
Con
la nostra forza
Macchinista del Deposito Locomotive
di Firenze, da oltre 25 anni nelle ferrovie, iscritto alla Filt-CGIL,
Ezio Gallori è uno degli esponenti di punta dei COBAS a
livello nazionale. In questa intervista ripercorre la
storia dei COBAS/Ferrovie. E spiega come vede situazione
attuale e prospettive.
Come siamo arrivati a questo
movimento di lotta?
Le radici del movimento non sono in
questo contratto, ma vanno ricercate nel tempo in quella crisi che ha
attraversato i macchinisti negli ultimi venti anni. A quel tempo il
76% dei macchinisti era iscritto alla Cgil, lentamente si è
tutto sgretolato: molti sono andati illudendosi di raggiungere
migliori condizioni con la Fisafs (sindacato autonomo), altri si sono
disimpegnati, ed oggi la Cgil ha soltanto il 20% di iscritti. Questo
perché, vedendo che i valori del lavoro venivano dimenticati
dal sindacato, che faceva la scelta delle gerarchie, molti lavoratori
che come i macchinisti hanno particolari peculiarità, non si
sono più identificati in questa politica sindacale. Nel 1980 ci furono i primi fuochi: le
lotte selvagge organizzate dai Consigli dei Delegati di Pisa e di
Firenze che furono recuperate dal sindacato con degli accordi,
sottoscritti con Azienda FS e ministro dei trasporti. Ma il tutto fu
una presa in giro, perché quando si sarebbero dovuti mettere
in pratica quegli aspetti che avrebbero garantito concreti
miglioramenti, gli accordi non vennero rispettati ed il sindacato
cessò di esserne garante. Dopo il 1980, memori di queste cose,
piano piano anche attraverso il giornale Ancora in marcia (che
si è ripreso a pubblicare nel 1980) abbiamo fatto un lavoro di
semina dell'unità fra i lavoratori attraverso denunce,
informazione, iniziative varie. Siamo arrivati a fare la prima
manifestazione, di questa fase del movimento, il 28 aprile a Roma,
dove parteciparono 350 macchinisti. Dopo Roma è stato fatto lo
sciopero del 7 maggio nel Compartimento di Venezia (regione n.d.r.),
dove esisteva innanzitutto un gruppo importante che era la redazione
di Ancora in marcia e dove vi sono possibilità più
immediate di aggregare i lavoratori, dato che nel compartimento
esistono solo 2 impianti di macchinisti (Deposito Locomotive). Per
questo il Compartimento di Venezia riuscì a partire per primo. Successivamente il 23 di giugno ci fu
uno sciopero di altri nove compartimenti, il 26 di luglio c'è
stato il primo sciopero nazionale di tutti i macchinisti dei 15
compartimenti ferroviari; dopo ci sono stati altri 3 scioperi fino ad
oggi (14 e 16 settembre, 3 ottobre).
Quali sono gli obiettivi di questo
movimento?
Gli obiettivi sono secondo me
fondamentalmente di classe, perché chiediamo di valorizzare il
lavoro, contro chi invece vuole valorizzare le gerarchie e le
burocrazie. Noi parliamo dell'atipicità, dei rischi, dei
sacrifici, delle responsabilità, perché riteniamo che
in ferrovia non debba prevalere la teoria della gerarchia, del titolo
di studio, del parametro stipendiale, ma debbano valere ancora le
mansioni. Fra un segretario ed un macchinista, fra un centralinista
ed un manovratore, è chiaro che il manovratore debba
guadagnare di più del centralinista ed il macchinista di più
del segretario, anche se hanno lo stesso parametro stipendiale. E
soprattutto siamo andati in controtendenza, perché non
facciamo un discorso sull'aumento di produttività ma su
l'egualitarismo all'interno delle mansioni: vogliamo la paga di
lavoro e non di maggior produttività. L'altro aspetto fondamentalmente
sociale delle nostre richieste è quello degli ambienti,
dell'igiene, degli aspetti logistici, che chiaramente il padrone
(l'Ente FS) cerca sempre di dimenticare; ma soprattutto la richiesta
della copertura degli organici. Nelle ferrovie abbiamo una forte
tendenza alla riduzione degli organici e l'Ente FS cerca di
monetizzare i maggiori sacrifici ai quali costringe i lavoratori:
infatti paga abbastanza lautamente chi non va in ferie, chi rinuncia
ai propri diritti giornalieri di intervallo fra un servizio ed il
successivo, chi fa il lavoro di un altro (per es. due visite normali
ai locomotori invece di una). Bisognava far vedere che questa
politica della monetizzazione è tutta una politica
"capitalistica" e che invece si debba fare la politica
della socialità, quindi dell'occupazione e copertura degli
organici, dei diritti della gente, dei diritti alle ferie, dei
diritti a fare solo il lavoro che ci spetta.
Questa vostra nuova proposta di
considerare la mansione rischia, secondo me di far diminuire ai
lavoratori l'attenzione alle condizioni di lavoro. Puoi chiarire
ulteriormente la vostra posizione in merito?
Il nostro lavoro è di per sé
faticoso e stressante; lavoriamo il sabato, la domenica, il nostro
orario sempre diverso ci porta ad avere difficili rapporti con la
gente e con la famiglia; molti giovani abbandonano il lavoro di
macchinista per questi problemi. Questo lavoro provoca molti inidonei
e chi riesce, dopo 4 o 5 anni, cambia di qualifica, dove le
condizioni di lavoro sono migliori. Ecco perché in questa
vertenza pesa il discorso dell'Io, del dire che si deve essere
pagati, e quindi ecco l'indennità di macchina, le competenze
accessorie da aumentare. Qualcuno potrà probabilmente
dire che questo non è un discorso socializzante, ma per
unificare i lavoratori si deve sempre cercare di ottenere di lavorare
di meno e guadagnare di più. Anche nel 1980 le nostre lotte
partirono per l'indennità di macchina e per la riduzione
dell'orario di lavoro. Questa volta abbiamo chiesto salario;
indennità di macchina e competenze accessorie, ma anche
normative; orario di lavoro; condizioni ambientali. Quindi il
movimento si è mosso così: più salario, migliori
ambienti e qualità della vita, meno lavoro. Questa nostra
impostazione è antagonista rispetto a coloro che ci vogliono
dare sì più salario, ma condizionandolo alla quantità
di lavoro; quindi no al salario di produttività, che è
una riproposizione delle famose gabbie salariali in versione più
moderna. Viceversa noi diciamo che quando facciamo il macchinista,
sia alla manovra che ai rapidi, deve esserci garantito un certo tipo
di salario.
Quali sono i motivi delle
difficoltà dei macchinisti a rapportarsi con le altre
categorie ferroviarie?
Il macchinista è un
individualista ed asociale per le caratteristiche del suo lavoro; i
macchinisti sono sociali fra di loro. Mentre la maggioranza dei
lavoratori socializzano nel momento stesso del lavoro, il macchinista
lavora in coppia con un altro che non è fisso, e che può
ritrovare anche dopo tre o quattro mesi. Però quando andiamo a
Roma, a Bologna, alla camera 20 per esempio (n.d.r. dove i
macchinisti aspettano di ripartire per un altro servizio) siamo come
in una assemblea permanente: 20, 30 persone che discutono di turni,
dell'ambiente di lavoro, del sindacato ed ora dei Cobas; e questo è
importante ma è anche limitativo perché è un
circolo vizioso, perché non permette un rapporto
intercategoriale sul lavoro. Penso che i macchinisti non siano
corporativisti come si vuol far credere. Noi siamo una categoria
proletaria per le caratteristiche stesse del nostro lavoro come i
portuali, i facchini o quelli che zappano la terra. E non troverete
mai una parola su rivendicazioni di particolari doti di
professionalità specifica. Il macchinista oggi è un
operaio comune.
Quale è la composizione
interna del movimento dei macchinisti, come è organizzato e
che rapporto esiste fra i militanti più politicizzati e la
grande quantità dei lavoratori in lotta?
Come tutti i movimenti anche il nostro
è molto articolato. È un movimento di massa, per questo
è necessario cogliere il positivo che c'è. È
sicuramente un movimento che si rifà alla storia del
sindacato, sia nelle tradizioni di lotta, sia in quelle di
partecipazione, sia nell'aspetto dello spontaneismo che è poi
la base fondamentale che crea la lotta, che crea l'avvicinamento
della gente. Nei coordinamenti compartimentali
formati da delegati eletti in assemblee vi sono iscritti allo
Sma-Fisafs, alla Cisl, alla Cgil, alla Uil, liberi battitori. Abbiamo
scelto i delegati da inviare alle trattative con lo stesso metodo,
senza interessarci del sindacato a cui appartenevano, ma giudicando
le persone da quello che sono nella realtà di tutti i giorni.
Grazie a queste spinte unitarie dal basso si stanno organizzando 5 o
6 organismi di base unitari, sull'esempio di quello di Firenze
(n.d.r.: consigli dei delegati che i Macchinisti Uniti stanno
costruendo negli impianti con la formula tutti elettori, tutti
eleggibili, anche non iscritti); ed in queste occasioni i lavoratori
partecipano al 90/95%. Io credo che la colonna portante del
movimento siano i compagni, ma un movimento non può essere
dato in toto dai compagni. Nei nostri rapporti con il Personale
Viaggiante (n.d.r.: i controllori dei biglietti sui treni), con i
Cobas della scuola - noi non viaggiamo in quarta, come i compagni
dovrebbero viaggiare, ma viaggiamo con la marcia che abbiamo. Per
esempio nel nostro ultimo documento, nei riguardi del Personale
Viaggiante, si dice che non siamo insensibili alle lotte di altri
lavoratori. Sembra poco, ma è già un primo segnale di
un rapporto positivo con questi. Abbiamo poi deciso di inviare alla
riunione organizzata dai Cobas della scuola a Roma contro la legge
sullo sciopero una delegazione, non tanto per dire che questo è
il ceppo socialmente alternativo o politicamente alternativo del
sindacato, alle istituzioni, allo stato, ma per un problema di
merito: proporre una manifestazione nazionale per il diritto allo
sciopero, cosa fondamentale al di là dei credi e delle
ideologie. Noi riteniamo una forzatura che il movimento non potrebbe
reggere, quella di cercare di trovare in questa riunione un
allargamento del proprio fronte. La nostra organizzazione è
pacifica: ogni deposito ha un rappresentante, i vari rappresentanti
formano il coordinamento compartimentale; due rappresentanti di ogni
coordinamento compartimentale vanno a formare il coordinamento
tecnico nazionale di 30 persone. È un coordinamento tecnico,
volutamente, perché le assemblee di base devono controllare
sempre il funzionamento di questo organismo. Nel nostro documento
finale del 21 ottobre, quando fu scelto di andare alle trattative, fu
detto che la nostra delegazione non poteva avere un potere
decisionale nemmeno alle trattative, e che la revoca dello sciopero
dovesse essere subordinata alla volontà delle assemblee,
quindi nessuna delega a chi va a trattare, nessuna delega al
coordinamento.
Quale è la vostra situazione
attuale e quali sono le vostre prospettive?
Fino ad un mese fa c'era uno scenario
politico che dava la possibilità per una soluzione della
vertenza. Avevamo avuto contatti con la presidenza dell'Ente, che ci
facevano sperare di chiudere onorevolmente la nostra lotta. Chiudere
onorevolmente per ripartire successivamente; non crediamo nel tutto e
subito, ma che questa esperienza sia soltanto il primo tempo di un
discorso strategico che dovremo fare; però dobbiamo segnare un
punto, è quindi necessario che la gente dopo 5 scioperi porti
qualcosa a casa. Fino ad un mese fa alcuni segnali ci
facevano credere che noi si fosse quasi quasi riconosciuti; senonché
c'è stato uno stravolgimento, un voltafaccia da parte di
tutti, e quindi Ligato (presidente Ente FS) ha chiuso dicendo che
anche di fronte ad altri scioperi non è disposto a dare una
lira, Mannino (ministro dei trasporti) ci vuole precettare, Mariani
(segretario Cisl) che un mese fa ci aveva concesso una intervista,
riconoscendo valide le ragioni dei macchinisti, ora ha messo il
pollice contro, Benvenuto vuole la legge antisciopero. Di fronte a questa situazione le
nostre prospettive sono queste: siamo ancora al palo di partenza,
dopo cinque scioperi non abbiamo ottenuto ancora niente, ma bisogna
ripartire per cambiare questo scenario, per convincere la gente, per
convincere le forze politiche che non c'è possibilità
di soluzione se non quella di un rapporto di confronto con i
lavoratori; non ci possono essere gli atti autoritari, perché
questi servono ad inacidire i fatti. Quindi chi dice no ai
macchinisti forse non sa che questi hanno cento armi per potersi
difendere, per poter boicottare le ferrovie. Noi faremo vedere con la nostra forza,
con la nostra unità che questo scenario non ci può
essere imposto dall'alto, dalle scelte governative, ma deve essere
rivisto in funzione della volontà dei lavoratori.
Malcontento
e opposizione
Un ferroviere del compartimento di
Roma, non iscritto ad alcun sindacato, attivo nel movimento dei
COBAS, spiega "dall'interno" le ragioni del malcontento
della categoria verso azienda e sindacati. No allo sciopero regolamentato e
riservato per legge ai sindacati.
Come è nato e come si è
sviluppato il "Coordinamento Macchinisti Uniti" a Roma?
Dopo aver avuto notizia della proposta
e dello sciopero effettuato l'8 maggio dai macchinisti del
Compartimento di Venezia, anche a Roma, dopo un'assemblea, è
stato deciso di raccogliere le firme di adesione alla lotta. Così
il 12 giugno, dopo che dalla conta delle firme era emersa un'ampia
adesione alla proposta, in un'assemblea alla presenza di un centinalo
di macchinisti del Compartimento di Roma, fu deciso di proclamare lo
sciopero per il 23 giugno. Lo sciopero riuscì pienamente e
molto alta fu la partecipazione. Chiaramente per organizzare
un'assemblea, per fare i volantini, per raccogliere le firme, si
formò man mano, eletto nelle assemblee, un comitato di
coordinamento composto dai rappresentanti dei Depositi Locomotive del
Compartimento, che si rapportava al Coordinamento tecnico nazionale.
Parlaci degli obiettivi della
vostra piattaforma ed in specifico dell'indennità di macchina.
Dopo vari confronti durati diversi mesi
si è costruita, partendo dalle varie piattaforme
compartimentali, un'unica piattaforma nazionale, messa a punto da una
commissione formata da rappresentanti dei macchinisti di diversi
compartimenti. Il Compartimento di Roma ha particolarmente
contribuito alla formazione della piattaforma. La parte salariale comprende
l'indennità di macchina, l'adeguamento di alcune competenze
accessorie e la loro pensionabilità, ed anche la richiesta del
settimo livello sia normativo che salariale. La richiesta
dell'indennità di macchina viene dall'esigenza dei macchinisti
di veder riconosciuto sul piano salariale l'impegno, il lavoro a
turni regolari e quelle condizioni di rischio e di disagio, presenti
nel nostro lavoro, difficilmente eliminabili; dico difficilmente
perché sono convinto che alcuni fondamentali fattori di
rischio ed usura psicofisica debbono e possono essere eliminati. Questo nostro obiettivo è in
contraddizione con la proposta dell'Ente F.S. del salario di
produttività, in gran parte accettata dalle organizzazioni
sindacali: vogliamo cioè ridurre il condizionamento al
superlavoro (che invece l'ente vuole incentivare) attraverso un
congruo aumento salariale legato al lavoro normalmente svolto dai
macchinisti.
La questione "indennità
di macchina" non vi differenzia troppo dagli altri lavoratori
delle ferrovie?
Noi crediamo che chi lavora facendo le
notti, avendo continuamente diversi orari di partenza e di arrivo,
vive dei disagi quotidiani, come è il caso dei macchinisti,
debba essere pagato adeguatamente. Noi pensiamo che i macchinisti siano
una delle categorie più disagiate che lavorano in ferrovia,
per questo riteniamo che sia legittimo che lottino per degli aumenti
salariali significativi; se ci sono altre categorie F.S. disagiate, e
ci sono, non tarderanno ad entrare in lotta, noi non siamo contrari
che lo facciano, noi non siamo contrari al fatto che ogni lavoratore
rivendichi propri diritti e proprie specificità.
Dal referendum sul contratto
promosso dai sindacati confederali (Filt-Fit-Uilt) e dal sindacato
autonomo (Fisafs) si è avuta da parte dei lavoratori una
notevole risposta di no e di astensioni. Infatti su 215.000
ferrovieri si sono avuti solo 80.000 sì (favorevoli al
contratto siglato dai sindacati). Mi puoi dare un tuo giudizio sul
referendum?
Il risultato è andato bene
oltre le nostre aspettative, le astensioni e l'alto numero di no
stanno a dimostrare che c'è, ovunque in ferrovia, un
malcontento rispetto all'attuale linea sindacale ed una opposizione
notevole al contratto firmato. Da questo risultato si deve partire
incoraggiati per un serio lavoro di opposizione dal basso, che da una
parte costringa alcuni settori del sindacato a cambiare posizione e
dall'altra spinga tutti i ferrovieri più coscienti a ripensare
ad un serio progetto di sviluppo delle ferrovie come servizio sociale
efficiente, affiancato ad un modo di lavorare qualitativamente
diverso. A questo proposito mi sembra assai
grave ed irresponsabile la decisione di Goria di tagliare 1.400
miliardi alle F.S., nella sua proposta di legge finanziaria.
Dopo gli attacchi al diritto di
sciopero, quali sono le vostre opinioni ed i vostri comportamenti?
Abbiamo sempre responsabilmente
osservato alcune norme dei codici di autoregolamentazione, non perché
fossimo d'accordo con questi, ma per senso di correttezza nei
confronti dell'utenza. Siamo contrari a qualsiasi limitazione
del diritto di sciopero che vada oltre questi principi, in particolar
modo sulla titolarità al diritto di scioperare. Il diritto di
sciopero, così come emerge dal dettato costituzionale, deve
rimanere al singolo lavoratore, che lo esercita collettivamente. Va
cioè assolutamente rifiutato il fatto che lo sciopero,
attraverso la trasformazione in legge dei codici di
autoregolamentazione, diventi monopolio delle sole organizzazioni
sindacali riconosciute dalla controparte. È chiaro che si deve essere
disposti ad un fronte comune con tutte quelle forze e movimenti che
vogliono difendere il diritto di sciopero e di libera organizzazione
sindacale. In questo senso il coordinamento dei macchinisti ha
aderito alla manifestazione promossa dai Cobas della scuola.
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