Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 151
dicembre 1987 - gennaio 1988


Rivista Anarchica Online

La parola ai Cobas

Ne parlano tutti. A proposito e - spesso - a sproposito. C'è chi li accusa di corporativismo, chi invece vede in loro una nuova proposta di sindacalismo non più verticale, chi gioisce dei loro successi, chi li maledice e ne chiede (più o meno) la cancellazione per legge.
In realtà i Comitati di Base (meglio noti come COBAS) sono tutto fuorché un movimento omogeneo. È impossibile restringerli in un'unica definizione, classificarli con un giudizio onnicomprensivo. Più interessante e più proficuo, ci è parso dar loro la parola.
Questo dossier si compone di due parti, ciascuna curata da un compagno attivo nelle lotte della sua categoria.
La prima, dedicata ai ferrovieri, è curata da Maurizio Bersella: oltre ad una sua premessa, ci sono due inteviste - ad un macchinista di Firenze e ad uno di Roma.
La seconda parte, relativa alla scuola, è curata da Stefano Fabbri d'Errico. Dopo la sua premessa, ci sono le interviste a Sandro Gigliotti (uno dei leader nazionali dei COBAS), a Paolo Grillo (le cui posizioni e proposte si contrappongono a quelle sostenute da Gigliotti), ad alcuni esponenti dei CAPS (Coordinamento Autogestito Precari e Supplenti) ed infine ad alcuni aderenti all'USI-scuola.
Completano il dossier alcune schede.
Oltre a tutti gli intervistati (compresi Angelo Di Naro ed il gruppo dei "Cattivi maestri", le cui interviste per ragioni di spazio sono rimaste forzatamente fuori da questo dossier - ed appariranno in un prossimo futuro sul settimanale Umanità Nova, hanno attivamente collaborato alla realizzazione del dossier Graziella Argiolas, Giuseppe Martelli, Claudio Neri, Aldo Piroso, Claudia Santi e (per le foto) Alarico Cammarota

Un vagone di ragioni
di Maurizio Barsella

Spesso i ferrovieri con le loro lotte ed i loro obiettivi hanno anticipato movimenti di emancipazione più generalizzati. Anche per questo è necessario esaminare con attenzione molti aspetti dell'attuale movimento di lotta. Accanto a rivendicazioni di classico stampo sindacale, ci sono questioni legate al lavoro. Non prevale più, come negli anni scorsi, il disinteresse, ma l'attaccamento e la rivendicazione della dignità del lavoro.

Le due interviste che qui presentiamo a due macchinisti del Coordinamento Macchinisti Uniti sono uno spaccato significativo di quel movimento di lotta che nella scorsa estate ha turbato le vacanze dei dirigenti sindacali e dell'Ente FS.
Uno spaccato, appunto. In realtà, altre posizioni sono presenti all'interno di questo eterogeneo ma unitario movimento. Manca infatti la posizione sindacale filo-istituzionale, quella che molta parte ha avuto nella firma di quel pre-accordo con le organizzazioni sindacali, manca la posizione di coloro che vogliono organizzare fra i macchinisti un sindacato tipo Anpac (piloti Alitalia), mancano altre posizioni in questo momento minoritarie, ma con molte chance per aumentare il proprio peso. I due macchinisti intervistati non sono anarchici, i tempi stretti della pubblicazione della rivista ed insufficienze organizzative nostre non ci hanno permesso di riportare questi contributi.
Dalla lettura della prima intervista al macchinista di Firenze esce fuori un elemento importante che deve essere tenuto presente per meglio comprendere i comportamenti dei partecipanti a questo movimento di lotta: i macchinisti, ma la cosa è valida più in generale per tutti i ferrovieri, formano ancora una categoria di lavoratori, per così dire, tradizionale. Grandi cambiamenti sono avvenuti nell'organizzazione del lavoro, ma, per il momento, questi non sono riusciti a cambiare più di tanto le caratteristiche peculiari dei ferrovieri, come tutti li conosciamo.
Per fare un esempio, ormai da cinque anni il macchinista delle ferrovie che viene assunto dall'esterno deve avere un diploma di scuola superiore, mentre nel passato era sufficiente la terza media. Era logico immaginarsi che questa introduzione di giovani diplomati, portatori di concetti culturali e sociali diversi, portasse a scontrarsi con la cultura classica dell'operaio-macchinista che ha migliorato nella pratica del lavoro la sua istruzione professionale e che, comunque, ne va orgoglioso. In realtà, per lo meno per quanto si è visto in questa fase, parrebbe che questi concetti cardine, che venivano ritenuti arretrati, siano ben vivi e si siano rinnovati per adeguarsi alla società che cambia.
Questo è un elemento che chi scrive ritiene positivo, perché fa ben sperare che le lotte possano continuare. Infatti vediamo un risorgere di quella concezione di attaccamento al lavoro, che vede nel riconoscimento di questo una chiave per il miglioramento delle condizioni generali di vita dei lavoratori, contrapponendosi a quella concezione di disinteresse al lavoro, che ha caratterizzato le lotte degli anni passati e che quindi ha formato alcuni valori delle generazioni degli anni '70. Viene dunque da chiedersi se questo è un dato appartenente solo ad alcune categorie particolari, probabilmente destinato a scomparire, o se invece stia ripresentandosi nella storia della emancipazione sociale, visto anche che i ferrovieri hanno anticipato nel passato movimenti di emancipazione più generalizzati.
Attualmente prendiamo atto che questa rivendicazione sottende i comportamenti di questi lavoratori in lotta.
I due macchinisti, pur essendo di differenti generazioni, lo hanno ribadito a chiare lettere: contro la concezione di legare la retribuzione del lavoro agli aumenti di produttività, riaffermano una retribuzione legata alle caratteristiche specifiche del lavoro stesso.
Questo loro rifiuto di far diventare la retribuzione sempre più variabile dipendente dalla produttività è un elemento che esce chiaro dalle piattaforme, dalle interviste ma, ancora, non corrispondente ad una coscienza generalizzata dei lavoratori - coscienza che peraltro nelle lotte sta aumentando. La maggioranza dei macchinisti continua, però, anche se in misura molto minore, a delegare l'acquisizione di determinati contenuti, e sciopera sì in massa, ma avendo soprattutto l'obiettivo di ottenere più soldi e qualche miglioramento della normativa di lavoro, più che di vedere come questi soldi vengono dati.
Su questo potrebbe innestarsi in maniera positiva un rapporto con le altre categorie attualmente in lotta, rapporto che pare stia iniziando a costruirsi. Questi comportamenti non sono certo di per sé rivoluzionari, ma quel che ha abbastanza importanza è che hanno il pregio di scombinare i progetti che l'Ente FS, con la fattiva collaborazione delle organizzazioni sindacali, ha preparato per il prossimo futuro delle FS e dei ferrovieri che ci lavorano.
Un secondo dato da esaminare è questa cosiddetta "specificità" del macchinista, quella che tutti i detrattori dei lavoratori chiamano corporativismo.
I macchinisti, con questa lotta, stanno in qualche modo difendendo la propria condizione professionale, che vedono attaccata dalla de-professionalizzazione e dalla banalizzazione delle mansioni che l'introduzione di questa nuova tecnologia sui mezzi di trazione porta con sé. Così facendo smascherano tutto il concetto di aumento di professionalità, con cui le organizzazioni sindacali avevano fatto accettare l'ideologia della ristrutturazione. Mostrano cioè che la ristrutturazione aziendale porta per la grande maggioranza dei lavoratori diminuzione di professionalità, come acquisizione di maggiori capacità da parte dei lavoratori.
Questa battaglia viene portata avanti introducendo la nuova voce salariale "indennità di macchina" legata ai rischi e alle responsabilità. Si rovescia inoltre il concetto negativo insito nella "indennità dei quadri", che le organizzazioni sindacali non hanno avuto problemi ad introdurre con questo ultimo contratto sapendo che era legata alla loro funzione gerarchica e di rinnovati garanti del potere aziendale presso i lavoratori. Quindi, i macchinisti difendono certamente uno status professionale "privilegiato", lo difendono perché sentono a pelle che gli sta sfuggendo e cercano di proporre anche delle alternative, perché si rendono sufficientemente conto che il lavoro sta cambiando. Del resto è indubbio che il lavoro notturno sia ben più pesante e nocivo di quello di giorno; e può essere sì ridotto ma, per il momento, comunque non eliminato, visto che i treni devono viaggiare anche la notte. Allo stesso tempo, però, queste non sono rivendicazioni di carattere egualitario, per lo meno per come l'abbiamo inteso fino ad oggi: una famiglia di un ferroviere che lavora di giorno ha un consumo simile a quella di un ferroviere che lavora di notte.
Un dibattito del passato che ritorna? A ciascuno secondo i suoi bisogni o a ciascuno secondo quello che fa? Chi scrive è d'accordo con le conclusioni che furono date cento anni fa a questo dibattito - cioè la prima soluzione - per questo tende a vedere il dibattito attuale soprattutto come un momento di passaggio per recuperare da parte dei lavoratori la loro funzione di protagonisti delle scelte della società.
Un terzo dato da mettere in risalto e che può aiutare a capire meglio questo movimento, è quello dei metodi di lotta e di organizzazione. Lo sciopero è stato recuperato per gran parte del suo vero significato di danno alla controparte, e dando la disponibilità ad effettuare i servizi cosiddetti "essenziali" i macchinisti hanno cercato di smascherare l'ipocrisia dell'Ente, della stampa, ecc. nei confronti dell'utenza. Si coglie inoltre nell'intervista una disponibilità, se necessario, a mettere in pratica altre forme di lotta.
A livello organizzativo è indubbio che le assemblee di base hanno avuto molto più potere decisionale e possibilità di controllo dell'operato delle strutture di coordinamento, di quanto sia avvenuto in questi ultimi anni. Purtuttavia sono state fatte scelte che rischiano di ricreare situazioni burocratiche: nel primo periodo del movimento di lotta, le assemblee nazionali avvenivano con la presenza di delegati di ogni impianto, e molto spesso, permettendo quindi anche ai lavoratori degli impianti più piccoli o più sperduti di partecipare alla discussione e alle decisioni. Oggi sta prendendo il sopravvento il Coordinamento tecnico nazionale, formato da due delegati per ogni compartimento, eletti a loro volta dalle assemblee di tutti gli impianti del compartimento. Questo significa che è stato introdotto un filtro che rischia di trasformare il Coordinamento tecnico in coordinamento politico se i macchinisti non vi porranno subito rimedio.
Purtroppo, nonostante che lavoratori anarchici o più generalmente antiautoritari stiano lavorando con metodo all'interno di questi movimenti, è ancora troppo forte nella testa della gente la pratica organizzativa autoritaria e verticistica, patrimonio principale di questi anni, dal fascismo ad oggi.
Al termine di questo commento dobbiamo però riportare gli ultimi fatti e gli ultimi comportamenti che i macchinisti stanno tenendo, ogni qualvolta si cerca di farli uscire dalla loro specificità.
All'assemblea organizzata dai Cobas della scuola a Roma, il 15 novembre, con la presenza di delegazioni dei macchinisti, del personale viaggiante delle FS, dei lavoratori dell'Inps, delle Poste, dell'Alitalia, ecc., i macchinisti hanno aderito con scarsa convinzione a future iniziative comuni, riportando i concetti di mantenersi separati dalle altre categorie.
Si ha però l'impressione di credere rimandando a conferme in questi giorni successivi, che questo atteggiamento sia incrementato dalle strumentalizzazioni politiche, certo ben comprensibili. Pensate un po', se il partito comunista e la CGIL, tradizionalmente maggioritari in questa categoria, si fanno sottrarre tanto facilmente un numero così alto di lavoratori!
Anche per questo penso che i giochi siano ancora da fare e che quindi le potenzialità positive di queste lotte abbiano ancora possibilità di essere sviluppate dagli stessi lavoratori.

La parola ai macchinisti

Con la nostra forza

Macchinista del Deposito Locomotive di Firenze, da oltre 25 anni nelle ferrovie, iscritto alla Filt-CGIL, Ezio Gallori è uno degli esponenti di punta dei COBAS a livello nazionale. In questa intervista ripercorre la storia dei COBAS/Ferrovie. E spiega come vede situazione attuale e prospettive.

Come siamo arrivati a questo movimento di lotta?

Le radici del movimento non sono in questo contratto, ma vanno ricercate nel tempo in quella crisi che ha attraversato i macchinisti negli ultimi venti anni. A quel tempo il 76% dei macchinisti era iscritto alla Cgil, lentamente si è tutto sgretolato: molti sono andati illudendosi di raggiungere migliori condizioni con la Fisafs (sindacato autonomo), altri si sono disimpegnati, ed oggi la Cgil ha soltanto il 20% di iscritti. Questo perché, vedendo che i valori del lavoro venivano dimenticati dal sindacato, che faceva la scelta delle gerarchie, molti lavoratori che come i macchinisti hanno particolari peculiarità, non si sono più identificati in questa politica sindacale.
Nel 1980 ci furono i primi fuochi: le lotte selvagge organizzate dai Consigli dei Delegati di Pisa e di Firenze che furono recuperate dal sindacato con degli accordi, sottoscritti con Azienda FS e ministro dei trasporti. Ma il tutto fu una presa in giro, perché quando si sarebbero dovuti mettere in pratica quegli aspetti che avrebbero garantito concreti miglioramenti, gli accordi non vennero rispettati ed il sindacato cessò di esserne garante. Dopo il 1980, memori di queste cose, piano piano anche attraverso il giornale Ancora in marcia (che si è ripreso a pubblicare nel 1980) abbiamo fatto un lavoro di semina dell'unità fra i lavoratori attraverso denunce, informazione, iniziative varie.
Siamo arrivati a fare la prima manifestazione, di questa fase del movimento, il 28 aprile a Roma, dove parteciparono 350 macchinisti. Dopo Roma è stato fatto lo sciopero del 7 maggio nel Compartimento di Venezia (regione n.d.r.), dove esisteva innanzitutto un gruppo importante che era la redazione di Ancora in marcia e dove vi sono possibilità più immediate di aggregare i lavoratori, dato che nel compartimento esistono solo 2 impianti di macchinisti (Deposito Locomotive). Per questo il Compartimento di Venezia riuscì a partire per primo.
Successivamente il 23 di giugno ci fu uno sciopero di altri nove compartimenti, il 26 di luglio c'è stato il primo sciopero nazionale di tutti i macchinisti dei 15 compartimenti ferroviari; dopo ci sono stati altri 3 scioperi fino ad oggi (14 e 16 settembre, 3 ottobre).

Quali sono gli obiettivi di questo movimento?

Gli obiettivi sono secondo me fondamentalmente di classe, perché chiediamo di valorizzare il lavoro, contro chi invece vuole valorizzare le gerarchie e le burocrazie. Noi parliamo dell'atipicità, dei rischi, dei sacrifici, delle responsabilità, perché riteniamo che in ferrovia non debba prevalere la teoria della gerarchia, del titolo di studio, del parametro stipendiale, ma debbano valere ancora le mansioni. Fra un segretario ed un macchinista, fra un centralinista ed un manovratore, è chiaro che il manovratore debba guadagnare di più del centralinista ed il macchinista di più del segretario, anche se hanno lo stesso parametro stipendiale. E soprattutto siamo andati in controtendenza, perché non facciamo un discorso sull'aumento di produttività ma su l'egualitarismo all'interno delle mansioni: vogliamo la paga di lavoro e non di maggior produttività.
L'altro aspetto fondamentalmente sociale delle nostre richieste è quello degli ambienti, dell'igiene, degli aspetti logistici, che chiaramente il padrone (l'Ente FS) cerca sempre di dimenticare; ma soprattutto la richiesta della copertura degli organici. Nelle ferrovie abbiamo una forte tendenza alla riduzione degli organici e l'Ente FS cerca di monetizzare i maggiori sacrifici ai quali costringe i lavoratori: infatti paga abbastanza lautamente chi non va in ferie, chi rinuncia ai propri diritti giornalieri di intervallo fra un servizio ed il successivo, chi fa il lavoro di un altro (per es. due visite normali ai locomotori invece di una).
Bisognava far vedere che questa politica della monetizzazione è tutta una politica "capitalistica" e che invece si debba fare la politica della socialità, quindi dell'occupazione e copertura degli organici, dei diritti della gente, dei diritti alle ferie, dei diritti a fare solo il lavoro che ci spetta.

Questa vostra nuova proposta di considerare la mansione rischia, secondo me di far diminuire ai lavoratori l'attenzione alle condizioni di lavoro. Puoi chiarire ulteriormente la vostra posizione in merito?

Il nostro lavoro è di per sé faticoso e stressante; lavoriamo il sabato, la domenica, il nostro orario sempre diverso ci porta ad avere difficili rapporti con la gente e con la famiglia; molti giovani abbandonano il lavoro di macchinista per questi problemi. Questo lavoro provoca molti inidonei e chi riesce, dopo 4 o 5 anni, cambia di qualifica, dove le condizioni di lavoro sono migliori. Ecco perché in questa vertenza pesa il discorso dell'Io, del dire che si deve essere pagati, e quindi ecco l'indennità di macchina, le competenze accessorie da aumentare.
Qualcuno potrà probabilmente dire che questo non è un discorso socializzante, ma per unificare i lavoratori si deve sempre cercare di ottenere di lavorare di meno e guadagnare di più. Anche nel 1980 le nostre lotte partirono per l'indennità di macchina e per la riduzione dell'orario di lavoro.
Questa volta abbiamo chiesto salario; indennità di macchina e competenze accessorie, ma anche normative; orario di lavoro; condizioni ambientali. Quindi il movimento si è mosso così: più salario, migliori ambienti e qualità della vita, meno lavoro. Questa nostra impostazione è antagonista rispetto a coloro che ci vogliono dare sì più salario, ma condizionandolo alla quantità di lavoro; quindi no al salario di produttività, che è una riproposizione delle famose gabbie salariali in versione più moderna. Viceversa noi diciamo che quando facciamo il macchinista, sia alla manovra che ai rapidi, deve esserci garantito un certo tipo di salario.

Quali sono i motivi delle difficoltà dei macchinisti a rapportarsi con le altre categorie ferroviarie?

Il macchinista è un individualista ed asociale per le caratteristiche del suo lavoro; i macchinisti sono sociali fra di loro. Mentre la maggioranza dei lavoratori socializzano nel momento stesso del lavoro, il macchinista lavora in coppia con un altro che non è fisso, e che può ritrovare anche dopo tre o quattro mesi. Però quando andiamo a Roma, a Bologna, alla camera 20 per esempio (n.d.r. dove i macchinisti aspettano di ripartire per un altro servizio) siamo come in una assemblea permanente: 20, 30 persone che discutono di turni, dell'ambiente di lavoro, del sindacato ed ora dei Cobas; e questo è importante ma è anche limitativo perché è un circolo vizioso, perché non permette un rapporto intercategoriale sul lavoro.
Penso che i macchinisti non siano corporativisti come si vuol far credere. Noi siamo una categoria proletaria per le caratteristiche stesse del nostro lavoro come i portuali, i facchini o quelli che zappano la terra. E non troverete mai una parola su rivendicazioni di particolari doti di professionalità specifica. Il macchinista oggi è un operaio comune.

Quale è la composizione interna del movimento dei macchinisti, come è organizzato e che rapporto esiste fra i militanti più politicizzati e la grande quantità dei lavoratori in lotta?

Come tutti i movimenti anche il nostro è molto articolato. È un movimento di massa, per questo è necessario cogliere il positivo che c'è. È sicuramente un movimento che si rifà alla storia del sindacato, sia nelle tradizioni di lotta, sia in quelle di partecipazione, sia nell'aspetto dello spontaneismo che è poi la base fondamentale che crea la lotta, che crea l'avvicinamento della gente.
Nei coordinamenti compartimentali formati da delegati eletti in assemblee vi sono iscritti allo Sma-Fisafs, alla Cisl, alla Cgil, alla Uil, liberi battitori. Abbiamo scelto i delegati da inviare alle trattative con lo stesso metodo, senza interessarci del sindacato a cui appartenevano, ma giudicando le persone da quello che sono nella realtà di tutti i giorni. Grazie a queste spinte unitarie dal basso si stanno organizzando 5 o 6 organismi di base unitari, sull'esempio di quello di Firenze (n.d.r.: consigli dei delegati che i Macchinisti Uniti stanno costruendo negli impianti con la formula tutti elettori, tutti eleggibili, anche non iscritti); ed in queste occasioni i lavoratori partecipano al 90/95%.
Io credo che la colonna portante del movimento siano i compagni, ma un movimento non può essere dato in toto dai compagni. Nei nostri rapporti con il Personale Viaggiante (n.d.r.: i controllori dei biglietti sui treni), con i Cobas della scuola - noi non viaggiamo in quarta, come i compagni dovrebbero viaggiare, ma viaggiamo con la marcia che abbiamo. Per esempio nel nostro ultimo documento, nei riguardi del Personale Viaggiante, si dice che non siamo insensibili alle lotte di altri lavoratori. Sembra poco, ma è già un primo segnale di un rapporto positivo con questi. Abbiamo poi deciso di inviare alla riunione organizzata dai Cobas della scuola a Roma contro la legge sullo sciopero una delegazione, non tanto per dire che questo è il ceppo socialmente alternativo o politicamente alternativo del sindacato, alle istituzioni, allo stato, ma per un problema di merito: proporre una manifestazione nazionale per il diritto allo sciopero, cosa fondamentale al di là dei credi e delle ideologie. Noi riteniamo una forzatura che il movimento non potrebbe reggere, quella di cercare di trovare in questa riunione un allargamento del proprio fronte.
La nostra organizzazione è pacifica: ogni deposito ha un rappresentante, i vari rappresentanti formano il coordinamento compartimentale; due rappresentanti di ogni coordinamento compartimentale vanno a formare il coordinamento tecnico nazionale di 30 persone. È un coordinamento tecnico, volutamente, perché le assemblee di base devono controllare sempre il funzionamento di questo organismo. Nel nostro documento finale del 21 ottobre, quando fu scelto di andare alle trattative, fu detto che la nostra delegazione non poteva avere un potere decisionale nemmeno alle trattative, e che la revoca dello sciopero dovesse essere subordinata alla volontà delle assemblee, quindi nessuna delega a chi va a trattare, nessuna delega al coordinamento.

Quale è la vostra situazione attuale e quali sono le vostre prospettive?

Fino ad un mese fa c'era uno scenario politico che dava la possibilità per una soluzione della vertenza. Avevamo avuto contatti con la presidenza dell'Ente, che ci facevano sperare di chiudere onorevolmente la nostra lotta. Chiudere onorevolmente per ripartire successivamente; non crediamo nel tutto e subito, ma che questa esperienza sia soltanto il primo tempo di un discorso strategico che dovremo fare; però dobbiamo segnare un punto, è quindi necessario che la gente dopo 5 scioperi porti qualcosa a casa.
Fino ad un mese fa alcuni segnali ci facevano credere che noi si fosse quasi quasi riconosciuti; senonché c'è stato uno stravolgimento, un voltafaccia da parte di tutti, e quindi Ligato (presidente Ente FS) ha chiuso dicendo che anche di fronte ad altri scioperi non è disposto a dare una lira, Mannino (ministro dei trasporti) ci vuole precettare, Mariani (segretario Cisl) che un mese fa ci aveva concesso una intervista, riconoscendo valide le ragioni dei macchinisti, ora ha messo il pollice contro, Benvenuto vuole la legge antisciopero.
Di fronte a questa situazione le nostre prospettive sono queste: siamo ancora al palo di partenza, dopo cinque scioperi non abbiamo ottenuto ancora niente, ma bisogna ripartire per cambiare questo scenario, per convincere la gente, per convincere le forze politiche che non c'è possibilità di soluzione se non quella di un rapporto di confronto con i lavoratori; non ci possono essere gli atti autoritari, perché questi servono ad inacidire i fatti. Quindi chi dice no ai macchinisti forse non sa che questi hanno cento armi per potersi difendere, per poter boicottare le ferrovie.
Noi faremo vedere con la nostra forza, con la nostra unità che questo scenario non ci può essere imposto dall'alto, dalle scelte governative, ma deve essere rivisto in funzione della volontà dei lavoratori.


Malcontento e opposizione

Un ferroviere del compartimento di Roma, non iscritto ad alcun sindacato, attivo nel movimento dei COBAS, spiega "dall'interno" le ragioni del malcontento della categoria verso azienda e sindacati. No allo sciopero regolamentato e riservato per legge ai sindacati.

Come è nato e come si è sviluppato il "Coordinamento Macchinisti Uniti" a Roma?

Dopo aver avuto notizia della proposta e dello sciopero effettuato l'8 maggio dai macchinisti del Compartimento di Venezia, anche a Roma, dopo un'assemblea, è stato deciso di raccogliere le firme di adesione alla lotta. Così il 12 giugno, dopo che dalla conta delle firme era emersa un'ampia adesione alla proposta, in un'assemblea alla presenza di un centinalo di macchinisti del Compartimento di Roma, fu deciso di proclamare lo sciopero per il 23 giugno. Lo sciopero riuscì pienamente e molto alta fu la partecipazione.
Chiaramente per organizzare un'assemblea, per fare i volantini, per raccogliere le firme, si formò man mano, eletto nelle assemblee, un comitato di coordinamento composto dai rappresentanti dei Depositi Locomotive del Compartimento, che si rapportava al Coordinamento tecnico nazionale.

Parlaci degli obiettivi della vostra piattaforma ed in specifico dell'indennità di macchina.

Dopo vari confronti durati diversi mesi si è costruita, partendo dalle varie piattaforme compartimentali, un'unica piattaforma nazionale, messa a punto da una commissione formata da rappresentanti dei macchinisti di diversi compartimenti. Il Compartimento di Roma ha particolarmente contribuito alla formazione della piattaforma.
La parte salariale comprende l'indennità di macchina, l'adeguamento di alcune competenze accessorie e la loro pensionabilità, ed anche la richiesta del settimo livello sia normativo che salariale. La richiesta dell'indennità di macchina viene dall'esigenza dei macchinisti di veder riconosciuto sul piano salariale l'impegno, il lavoro a turni regolari e quelle condizioni di rischio e di disagio, presenti nel nostro lavoro, difficilmente eliminabili; dico difficilmente perché sono convinto che alcuni fondamentali fattori di rischio ed usura psicofisica debbono e possono essere eliminati.
Questo nostro obiettivo è in contraddizione con la proposta dell'Ente F.S. del salario di produttività, in gran parte accettata dalle organizzazioni sindacali: vogliamo cioè ridurre il condizionamento al superlavoro (che invece l'ente vuole incentivare) attraverso un congruo aumento salariale legato al lavoro normalmente svolto dai macchinisti.

La questione "indennità di macchina" non vi differenzia troppo dagli altri lavoratori delle ferrovie?

Noi crediamo che chi lavora facendo le notti, avendo continuamente diversi orari di partenza e di arrivo, vive dei disagi quotidiani, come è il caso dei macchinisti, debba essere pagato adeguatamente.
Noi pensiamo che i macchinisti siano una delle categorie più disagiate che lavorano in ferrovia, per questo riteniamo che sia legittimo che lottino per degli aumenti salariali significativi; se ci sono altre categorie F.S. disagiate, e ci sono, non tarderanno ad entrare in lotta, noi non siamo contrari che lo facciano, noi non siamo contrari al fatto che ogni lavoratore rivendichi propri diritti e proprie specificità.

Dal referendum sul contratto promosso dai sindacati confederali (Filt-Fit-Uilt) e dal sindacato autonomo (Fisafs) si è avuta da parte dei lavoratori una notevole risposta di no e di astensioni. Infatti su 215.000 ferrovieri si sono avuti solo 80.000 sì (favorevoli al contratto siglato dai sindacati). Mi puoi dare un tuo giudizio sul referendum?

Il risultato è andato bene oltre le nostre aspettative, le astensioni e l'alto numero di no stanno a dimostrare che c'è, ovunque in ferrovia, un malcontento rispetto all'attuale linea sindacale ed una opposizione notevole al contratto firmato. Da questo risultato si deve partire incoraggiati per un serio lavoro di opposizione dal basso, che da una parte costringa alcuni settori del sindacato a cambiare posizione e dall'altra spinga tutti i ferrovieri più coscienti a ripensare ad un serio progetto di sviluppo delle ferrovie come servizio sociale efficiente, affiancato ad un modo di lavorare qualitativamente diverso.
A questo proposito mi sembra assai grave ed irresponsabile la decisione di Goria di tagliare 1.400 miliardi alle F.S., nella sua proposta di legge finanziaria.

Dopo gli attacchi al diritto di sciopero, quali sono le vostre opinioni ed i vostri comportamenti?

Abbiamo sempre responsabilmente osservato alcune norme dei codici di autoregolamentazione, non perché fossimo d'accordo con questi, ma per senso di correttezza nei confronti dell'utenza.
Siamo contrari a qualsiasi limitazione del diritto di sciopero che vada oltre questi principi, in particolar modo sulla titolarità al diritto di scioperare. Il diritto di sciopero, così come emerge dal dettato costituzionale, deve rimanere al singolo lavoratore, che lo esercita collettivamente. Va cioè assolutamente rifiutato il fatto che lo sciopero, attraverso la trasformazione in legge dei codici di autoregolamentazione, diventi monopolio delle sole organizzazioni sindacali riconosciute dalla controparte.
È chiaro che si deve essere disposti ad un fronte comune con tutte quelle forze e movimenti che vogliono difendere il diritto di sciopero e di libera organizzazione sindacale. In questo senso il coordinamento dei macchinisti ha aderito alla manifestazione promossa dai Cobas della scuola.