Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 151
dicembre 1987 - gennaio 1988


Rivista Anarchica Online

Una scuola pubblica che funzioni
di Stefano Fabbri d'Errico

A colloquio con Sandro Gigliotti, insegnante in un istituto tecnico romano, esponente di primo piano COBAS. Presentatore insieme ad altri della cosiddetta "piattaforma degli undici", Gigliotti spiega qui le ragioni dei COBAS. E le sue.

Ho fatto il professore dopo essermi interessato delle 150 ore. Ho avuto solo per un anno la tessera CGIL, nel '79-'80. Per il resto sono rimasto completamente fuori, senza tessere e lontano dal dibattito, peraltro inesistente, sullo stato della scuola. Durante l'anno scorso, al momento dello sciopero del 7 novembre, nella mia scuola mi sono battuto con altri colleghi per trasformare lo sciopero in un'assemblea generale della categoria.
Io insegno al "Bottardi" un istituto tecnico per il turismo: 120 insegnanti, 60 scioperanti nel periodo del blocco degli scrutini nei mesi di febbraio, marzo, aprile e maggio, 20 scioperanti il 7 giugno, 10 il 9 giugno, 4 il 13 giugno.

Questo calo verticale a cosa fu dovuto?

Derivava dal fatto che i colleghi non erano d'accordo con la prosecuzione del blocco in quei termini.

Tu hai scioperato sino alla fine?

Fino al 7 giugno, coerentemente con la mia proposta assembleare, visto che non siamo in situazione di "centralismo democratico", visto che fortunatamente non c'è Stalin.
Risalendo alla storia, ricordo qui le due assemblee del "Tasso" e del "Virgilio" quando costituii con altri il Comitato di Base "Bottardi". Da qui venne fuori la proposta che presentai il 16 dicembre al "Mamiani", di chiedere in tutte le scuole il blocco della trattativa ed il ritorno della piattaforma nelle scuole. La proposta venne bocciata perché si ritenne di rimettere in gioco in questo modo i sindacati ritenuti già morti, venne bocciata in una fase assembleare di tipo tradizionale, quando cioè votarono in 40 perché la gente se ne era già andata via e con un margine esiguo di voti. Una proposta politica era stata in questo modo bocciata in base ad affermazioni demagogiche.
La cosa invece andava nel senso di imporre una svolta nel meccanismo tradizionale, mettendo la piattaforma nelle mani della categoria. Di fatto poi quello che noi abbiamo fatto a gennaio, al di là delle formule, è stato questo, perché abbiamo di fatto richiesto il blocco della trattativa.

Si diceva però: il governo non firmi nulla perché i sindacati non rappresentano il mondo della scuola. In ogni caso quando hai cominciato a partecipare alle riunioni della Commissione Esecutiva Provinciale?

Sempre a gennaio, anche se di riunioni ne erano state fatte anche precedentemente. E lì che mi resi conto che quell'ambito ristretto di 20 persone era il luogo di gestione reale del movimento in quella fase in cui si stava ancora crescendo. Progressivamente ho lavorato sempre più, anche a ritmi forsennati.

In quel periodo avvengono le prime fratture. In quali termini si sviluppa il dibattito nella "CEP"?

Alcuni della stessa "CEP" accusano la struttura di prendere decisioni. Questo era vero, ma tutti i deliberati venivano poi proposti all'assemblea. Per esempio lo sciopero del 16 gennaio è stato pensato nell'ambito CEP ma fatto poi proprio dall'assemblea provinciale. Così anche la manifestazione del 3 marzo e tutte le iniziative di lotta.
Ci si diceva che in quel modo il movimento sarebbe morto perché gestito da pochi, ma in verità il movimento cresceva perché quei pochi facevano una fatica spaventosa. Tant'è che da uno scioperino ed una manifestazione di 3.000 persone a Roma, a maggio abbiamo poi fatto la manifestazione dei 40.000. Un momento fondamentale fu l'assemblea di Napoli, dove proponemmo la struttura che esiste oggi, con un numero fisso di delegati a seconda del numero dei comitati di base per provincia: 2 delegati per provincia più 1 ogni 10.
Fu allora che Vasquez disse che la decisione di continuare lo sciopero degli scrutini era stata importante, ma che la stretta organizzativa rischiava di strangolare il movimento. Questa era forse una interpretazione di comodo per chi voleva fare il paladino del movimentismo ad oltranza. Di fatto di lì in avanti siamo passati da piccole assemblee nazionali con 100 delegati ad Assisi con 300 delegati e 60 province.

Tu sei chiaramente a favore di una formalizzazione dei comitati di base.

Incidere essendo non sindacato è meglio, ma nel momento in cui ci si renderà conto che solo organizzati in una struttura sindacale, con tutti i meccanismi atti a garantire la funzione orizzontale e non burocratica, si potrà trasformare la realtà, allora bisognerà prendere una decisione. Anche visto che la legge dello stato lo impone e non abbiamo altri strumenti per modificarla.
Noi comunque avevamo creato un precedente, quello che io chiamo il "precedente Fanfani", quando a luglio fummo ricevuti, pur non essendo sindacato, convocati direttamente da un ministro. Questo è l'unico precedente di questo genere nella storia recente del sindacalismo italiano, tanto che adesso anche i Cobas dei ferrovieri sono costretti ad andare al tavolo delle trattative insieme ai sindacati. Noi eravamo riusciti ad aprire questo spiraglio che ci dava grandi possibilità ed abbiamo sprecato tutto il 31 maggio, quando ci siamo limitati a dire: i nostri punti erano 5 e li ribadiamo a Fanfani che non ci ha dato nulla.
Certo avevamo ottenuto poco, però dire che non avevamo ottenuto nulla senza operare per avere magari un secondo incontro con la Falcucci per la gestione del monte ore assembleare, sulla qual cosa si era sempre dimostrata disponibile, è stato un errore. Ciò ha significato che è stato indetto il proseguimento dello sciopero, nonostante il governo non tratti mai con chi è in sciopero. Noi avremmo invece dovuto riservarci di confermare l'indizione del blocco degli scrutini il 4 a seguito di un'assemblea da farsi il 3, verificando se era possibile ottenere un accordo il 2 o il 3. Questo avrebbe significato avere ancora l'opinione pubblica dalla nostra parte perché avrebbero visto tutti che facevamo il possibile per evitare la paralisi.
Invece nell'assemblea del 31 s'è celebrato il harakiri del movimento e dal giorno dopo i giornali hanno cominciato a sparare a zero. Quelli stessi che sino al giorno prima ci avevano dato per vincenti, hanno cominciato a criticarci dicendo che la nostra assemblea sembrava un replay del '77, cosa per altro vera.

Per la prima volta in quell'assemblea s'è vista una spaccatura palese e molte critiche vertevano sul fatto che si volesse arrivare a far passare una determinata linea politica con tutti i mezzi, magari rimpinguando il dibattito e gestendo gli interventi in modo tale che alla fine, anche per "stanchezza" certe decisioni risultassero vincenti. Personalmente ricordo che in ripetute occasioni, a colleghi che avevano alle spalle centinaia di chilometri di viaggio, i quali chiedevano alla presidenza quale atteggiamento avrebbero dovuto tenere al loro ritorno, veniva risposto che era giunto il momento di andare in vacanza. Certamente il tutto non ha favorito il perpetuarsi di quello spirito entusiasta che aveva caratterizzato fin lì il movimento. D'altra parte il fatto che la maggioranza fosse contraria ad interrompere la lotta in corso è emerso con chiarezza nel risultato delle deliberazioni. La convinzione, più o meno fondata, di trovarsi nel giusto non dà il diritto di forzare le cose.

Capisco ciò che dici, me ne rendo perfettamente conto e posso anche dire che è vero. Però un movimento non può vivere solo sull'entusiasmo, ma deve fare anche i conti con la realtà. Chi ha certe responsabilità, come nel caso mio in quel momento, doveva tener presente che c'era chi stava perdendo dalle 400 alle 600.000 lire, quante ne abbiamo perse ognuno di noi, ed aveva il dovere morale di dire quello che pensava. Io mi prendo i fischi ogni volta che credono opportuno fischiarmi, ma quello che credo sia opportuno fare lo dico apertamente. È vero che quanto è stato fatto ha smorzato l'entusiasmo, ma certi entusiasmi andavano smorzati per non far credere alla gente che si potesse ottenere tutto e subito.

Ma fu da quella spaccatura che controparte e mass media ripresero fiato.

Solo la controparte, perché continuo a credere che la stampa è stata sinceramente con noi per un lungo periodo. Ci si era resi conto che una categoria stava ponendo grossi problemi a livello di società.

Resta il fatto che non appena si è subodorato che il movimento dei comitati di base avrebbe potuto contagiare altri settori, quando cominciava a farsi strada fra gli insegnanti la consapevolezza che bisognava assolutamente estendere la protesta contro i sindacati nel pubblico impiego ed oltre, e scendere su un terreno più generale di lotta alla finanziaria, alla "legge quadro" ed assumere obiettivi più alti, proprio allora si sono strette le cinghie di un cordone sanitario preventivo. È chiaro che di fronte ad una posta in gioco che cominciava a diventare più alta, le generiche simpatie dell'intellighenzia per un settore tutto sommato più vicino di altri al mondo intellettuale, sono venute a cadere.

In ogni caso bisogna finirla con l'idea dello sciopero ad oltranza, e non si può pensare che solo perché io ho preso una determinata posizione, 500.000 insegnanti si sono convinti a terminare il blocco degli scrutini.

Secondo te il sindacalismo tradizionale ha ancora peso nella scuola?

Maggiore è la nostra lentezza e più possibilità gli diamo per recuperare terreno, lanciare messaggi di fumo e rifarsi il look.

Come vedi gli autoconvocati CGIL?

Ognuno ha il posto che si sceglie. Se pensano di poter trasformare completamente la CGIL senza contraddizioni facciano pure.

Pensi ci sia realmente una volontà in tale direzione?

Ho sempre pensato che gli autoconvocati emergono perché i sindacati non sono più di categoria, ma cogestori delle compatibilità. Altrimenti sarebbero solo corporazioni fuori da una logica complessiva miranti unicamente ai loro biechi interessi. Per questo ritengo che dentro la CGIL non ci starei a fare nulla. Ci sono poi giochi di componenti che cercano di utilizzare, politicamente e non organizzativamente, l'esistenza dei CdB. Ma interessa poco quanto loro possano contare dentro, quanto il fatto che noi si possa contare fuori dal sindacato; unicamente ciò può determinare un mutamento della scuola oggi.
Credo che sia un'illusione pensare di poter trasformare le cose "da dentro" le confederazioni. E non è soltanto la volontà soggettiva a determinare i mutamenti: le condizioni politiche esterne potrebbero modificare qualsiasi cosa, se ad imporle fosse il corpo sociale. È difficile comunque identificare il nuovo "soggetto" di trasformazione: la "centralità operaia" non esiste più, ma certo non c'è la centralità del pubblico impiego...

Secondo te che spazio c'è per una nuova didattica nella scuola adesso?

Sicuramente un anno di discussioni sulla scuola non possono non portare automaticamente, sopravvivano o meno i comitati di base, ad una ripresa del dibattito sulla funzione della scuola, della pubblica istruzione, ecc... Quindi un impatto sulla didattica ce l'avrà sicuramente. Sono anche convinto che la presa di coscienza da parte di larghe fette non sindacalizzate della categoria che oggi vogliono discutere e vogliono vedere che cosa dicono le piattaforme prima di votarle e vogliono partecipare in prima persona si ripercuote sicuramente anche sul loro modo di essere in classe, sul loro modo di pensare alla qualità della scuola. Questo è quello che si può vedere in questo momento.

Ho visto che in parecchie delle scuole dove i comitati di base erano molto forti, c'è stata una selezione più alta di quella degli anni precedenti. Come lo spieghi questo?

Non me lo spiego. Posso azzardare che uno dei rifiuti della condizione indegna a cui ci hanno sottoposto per tutti questi anni si traduce poi nel dire: "tutto sommato se vogliono la scuola selettiva, gliela do. Sono anche in grado di farla la scuola selettiva, anche di realizzarla: bocciando e quindi mettendo in luce le disfunzioni della scuola!".
Non credo però che avvenga come scelta, come fatto consapevole. Poi non sarei tanto d'accordo sul fatto che ci sono state tante più bocciature. All'inizio sembrava così, alla fine si sono visti i risultati: l'1% in più. L'1% in più può essere un caso.

Questo è significativo, dal momento che si mette in discussione il rapporto con l'utenza, il rapporto con la famiglia.

Certo. Questo è importante. Ma l'anno scorso l'ho detto a giugno. L'ho urlato parecchio: guardate che noi il rapporto con l'utenza o lo riprendiamo o siamo fregati, perché l'abbiamo interrotto in quei giorni di giugno drammatici. O meglio l'abbiamo esasperato. Ed io mi chiedo: oggi un nuovo blocco degli scrutini che trauma può comportare in termini di rapporto con l'utenza se non si è in grado di recuperarla con un discorso complessivo e con una lenta, progressiva, massiccia opera di pubblicazione delle nostre esigenze per una scuola migliore?

Come vivevano gli studenti il blocco?

Male! Mediamente male. Come una forzatura sulla loro testa. Ma l'hanno vissuta male anche i colleghi, alla fine, che non volevano scioperare quando erano in 12 a farlo con l'incubo di dover tornare dopo per gli esami di maturità.

Ma sono stati dati gli elementi per capire?

In alcune scuole sì, in altre no, ma questo è stato uno dei nostri limiti. Però non si può pretendere da un movimento che nasce e si sviluppa con tanta forza nel giro di 4 mesi di poter anche guardarsi fino in fondo intorno, ed operare tutti i fuochi di sbarramento necessari per impedire l'insorgenza di elementi di ritorno in negativo. È sempre una lotta in un servizio pubblico che comunque, per principio, in qualche modo penalizza l' utente.

È possibile, secondo te, allo stato attuale delle cose riqualificare la didattica, anche con l'apporto degli studenti tramite un loro coinvolgimento diretto?

È possibile. Però non mitizzerei la cosa come abbiamo fatto negli anni scorsi. Qualche cosa non ha funzionato in questo progetto. Come posizione di principio non c'è dubbio che una scuola dovrebbe funzionare attraverso la collaborazione complessiva e reciproca delle varie componenti. Forse la questione è che una scuola nuova cambia anche il modo di essere studenti. Però, a priori, mi sembra un mito e basta. Voglio dire: è una cosa che è facile dire, e se uno non la dice passa per reazionario... anche se poi è impossibile praticarla. Con questo tipo di scuola e con il nostro modo ancora tradizionale di esser docenti, mi pare una petizione di principio e basta, lascia il tempo che trova. Io sono un pragmatico.

Non ti sbilanci, insomma...

Non è che non mi sbilancio. È che mi sono reso conto di quello che dal '68 e dal '77 è venuto fuori in termini positivi e che si è realizzato, come di quello che invece è rimasto petizione di principi.