Rivista Anarchica Online
Una
scuola pubblica che funzioni
di Stefano Fabbri d'Errico
A
colloquio con Sandro Gigliotti, insegnante in un istituto tecnico
romano, esponente di primo piano COBAS. Presentatore insieme ad altri
della cosiddetta "piattaforma degli undici", Gigliotti
spiega qui le ragioni dei COBAS. E
le sue.
Ho
fatto il professore dopo essermi interessato delle 150 ore. Ho avuto
solo per un anno la tessera CGIL, nel '79-'80. Per il resto sono
rimasto completamente fuori, senza tessere e lontano dal dibattito,
peraltro inesistente, sullo stato della scuola. Durante l'anno
scorso, al momento dello sciopero del 7 novembre, nella mia scuola mi
sono battuto con altri colleghi per trasformare lo sciopero in
un'assemblea generale della categoria. Io
insegno al "Bottardi" un istituto tecnico per il turismo:
120 insegnanti, 60 scioperanti nel periodo del blocco degli scrutini
nei mesi di febbraio, marzo, aprile e maggio, 20 scioperanti il 7
giugno, 10 il 9 giugno, 4 il 13 giugno.
Questo
calo verticale a cosa fu dovuto?
Derivava
dal fatto che i colleghi non erano d'accordo con la prosecuzione del
blocco in quei termini.
Tu
hai scioperato sino alla fine?
Fino
al 7 giugno, coerentemente con la mia proposta assembleare, visto che
non siamo in situazione di "centralismo democratico", visto
che fortunatamente non c'è Stalin. Risalendo
alla storia, ricordo qui le due assemblee del "Tasso" e del
"Virgilio" quando costituii con altri il Comitato di Base
"Bottardi". Da qui venne fuori la proposta che presentai il
16 dicembre al "Mamiani", di chiedere in tutte le scuole il
blocco della trattativa ed il ritorno della piattaforma nelle scuole.
La proposta venne bocciata perché si ritenne di rimettere in
gioco in questo modo i sindacati ritenuti già morti, venne
bocciata in una fase assembleare di tipo tradizionale, quando cioè
votarono in 40 perché la gente se ne era già andata via
e con un margine esiguo di voti. Una proposta politica era stata in
questo modo bocciata in base ad affermazioni demagogiche. La
cosa invece andava nel senso di imporre una svolta nel meccanismo
tradizionale, mettendo la piattaforma nelle mani della categoria. Di
fatto poi quello che noi abbiamo fatto a gennaio, al di là
delle formule, è stato questo, perché abbiamo di fatto
richiesto il blocco della trattativa.
Si
diceva però: il governo non firmi nulla perché i
sindacati non rappresentano il mondo della scuola. In ogni caso
quando hai cominciato a partecipare alle riunioni della Commissione
Esecutiva Provinciale?
Sempre
a gennaio, anche se di riunioni ne erano state fatte anche
precedentemente. E lì che mi resi conto che quell'ambito
ristretto di 20 persone era il luogo di gestione reale del movimento
in quella fase in cui si stava ancora crescendo. Progressivamente ho
lavorato sempre più, anche a ritmi forsennati.
In
quel periodo avvengono le prime fratture. In quali termini si
sviluppa il dibattito nella "CEP"?
Alcuni
della stessa "CEP" accusano la struttura di prendere
decisioni. Questo era vero, ma tutti i deliberati venivano poi
proposti all'assemblea. Per esempio lo sciopero del 16 gennaio è
stato pensato nell'ambito CEP ma fatto poi proprio dall'assemblea
provinciale. Così anche la manifestazione del 3 marzo e tutte le
iniziative di lotta. Ci
si diceva che in quel modo il movimento sarebbe morto perché
gestito da pochi, ma in verità il movimento cresceva perché
quei pochi facevano una fatica spaventosa. Tant'è che da uno
scioperino ed una manifestazione di 3.000 persone a Roma, a maggio
abbiamo poi fatto la manifestazione dei 40.000. Un momento
fondamentale fu l'assemblea di Napoli, dove proponemmo la struttura
che esiste oggi, con un numero fisso di delegati a seconda del numero
dei comitati di base per provincia: 2 delegati per provincia più
1 ogni 10. Fu
allora che Vasquez disse che la decisione di continuare lo sciopero
degli scrutini era stata importante, ma che la stretta organizzativa
rischiava di strangolare il movimento. Questa era forse una
interpretazione di comodo per chi voleva fare il paladino del
movimentismo ad oltranza. Di fatto di lì in avanti siamo
passati da piccole assemblee nazionali con 100 delegati ad Assisi con
300 delegati e 60 province.
Tu
sei chiaramente a favore di una formalizzazione dei comitati di base.
Incidere
essendo non sindacato è meglio, ma nel momento in cui ci si
renderà conto che solo organizzati in una struttura sindacale,
con tutti i meccanismi atti a garantire la funzione orizzontale e non
burocratica, si potrà trasformare la realtà, allora
bisognerà prendere una decisione. Anche visto che la legge
dello stato lo impone e non abbiamo altri strumenti per modificarla. Noi
comunque avevamo creato un precedente, quello che io chiamo il
"precedente Fanfani", quando a luglio fummo ricevuti, pur
non essendo sindacato, convocati direttamente da un ministro. Questo
è l'unico precedente di questo genere nella storia recente del
sindacalismo italiano, tanto che adesso anche i Cobas dei ferrovieri
sono costretti ad andare al tavolo delle trattative insieme ai
sindacati. Noi eravamo riusciti ad aprire questo spiraglio che ci
dava grandi possibilità ed abbiamo sprecato tutto il 31
maggio, quando ci siamo limitati a dire: i nostri punti erano 5 e li
ribadiamo a Fanfani che non ci ha dato nulla. Certo
avevamo ottenuto poco, però dire che non avevamo ottenuto
nulla senza operare per avere magari un secondo incontro con la
Falcucci per la gestione del monte ore assembleare, sulla qual cosa
si era sempre dimostrata disponibile, è stato un errore. Ciò
ha significato che è stato indetto il proseguimento dello
sciopero, nonostante il governo non tratti mai con chi è in
sciopero. Noi avremmo invece dovuto riservarci di confermare
l'indizione del blocco degli scrutini il 4 a seguito di un'assemblea
da farsi il 3, verificando se era possibile ottenere un accordo il 2
o il 3. Questo avrebbe significato avere ancora l'opinione pubblica
dalla nostra parte perché avrebbero visto tutti che facevamo
il possibile per evitare la paralisi. Invece
nell'assemblea del 31 s'è celebrato il harakiri del movimento
e dal giorno dopo i giornali hanno cominciato a sparare a zero.
Quelli stessi che sino al giorno prima ci avevano dato per vincenti,
hanno cominciato a criticarci dicendo che la nostra assemblea
sembrava un replay del '77, cosa per altro vera.
Per
la prima volta in quell'assemblea s'è vista una spaccatura
palese e molte critiche vertevano sul fatto che si volesse arrivare a
far passare una determinata linea politica con tutti i mezzi, magari
rimpinguando il dibattito e gestendo gli interventi in modo tale che
alla fine, anche per "stanchezza" certe
decisioni risultassero vincenti. Personalmente ricordo che in
ripetute occasioni, a colleghi che avevano alle spalle centinaia di
chilometri di viaggio, i quali chiedevano alla presidenza
quale atteggiamento avrebbero dovuto tenere al loro
ritorno, veniva risposto che era giunto il momento di andare in
vacanza. Certamente il tutto non ha favorito il
perpetuarsi di quello spirito entusiasta che aveva caratterizzato
fin lì il movimento. D'altra parte il fatto che
la maggioranza fosse contraria ad interrompere la lotta
in corso è emerso con chiarezza nel risultato
delle deliberazioni. La convinzione, più o meno fondata, di
trovarsi nel giusto non dà il diritto di forzare le cose.
Capisco
ciò che dici, me ne rendo perfettamente conto e posso anche
dire che è vero. Però un movimento non può
vivere solo sull'entusiasmo, ma deve fare anche i conti con la
realtà. Chi ha certe responsabilità, come nel caso mio
in quel momento, doveva tener presente che c'era chi stava perdendo
dalle 400 alle 600.000 lire, quante ne abbiamo perse ognuno di noi,
ed aveva il dovere morale di dire quello che pensava. Io mi prendo i
fischi ogni volta che credono opportuno fischiarmi, ma quello che
credo sia opportuno fare lo dico apertamente. È
vero che quanto è stato fatto ha smorzato l'entusiasmo, ma
certi entusiasmi andavano smorzati per non far credere alla gente che
si potesse ottenere tutto e subito.
Ma
fu da quella spaccatura che controparte e mass media ripresero fiato.
Solo
la controparte, perché continuo a credere che la stampa è
stata sinceramente con noi per un lungo periodo. Ci si era resi conto
che una categoria stava ponendo grossi problemi a livello di società.
Resta
il fatto che non appena si è subodorato che il movimento dei
comitati di base avrebbe potuto contagiare altri
settori, quando cominciava a farsi strada fra gli
insegnanti la consapevolezza che bisognava assolutamente estendere la
protesta contro i sindacati nel pubblico impiego ed oltre, e scendere
su un terreno più generale di lotta alla finanziaria, alla
"legge quadro" ed assumere obiettivi più alti,
proprio allora si sono strette le cinghie di un cordone sanitario
preventivo. È
chiaro che di fronte ad una posta in gioco che cominciava a diventare
più alta, le generiche simpatie dell'intellighenzia
per un settore tutto sommato più vicino di altri
al mondo intellettuale, sono venute a cadere.
In
ogni caso bisogna finirla con l'idea dello sciopero ad oltranza, e
non si può pensare che solo perché io ho preso una
determinata posizione, 500.000 insegnanti si sono convinti a
terminare il blocco degli scrutini.
Secondo
te il sindacalismo tradizionale ha ancora peso nella scuola?
Maggiore
è la nostra lentezza e più possibilità gli diamo
per recuperare terreno, lanciare messaggi di fumo e rifarsi il look.
Come
vedi gli autoconvocati CGIL?
Ognuno
ha il posto che si sceglie. Se pensano di poter trasformare
completamente la CGIL senza contraddizioni facciano pure.
Pensi
ci sia realmente una volontà in tale direzione?
Ho
sempre pensato che gli autoconvocati emergono perché i
sindacati non sono più di categoria, ma cogestori delle
compatibilità. Altrimenti sarebbero solo corporazioni fuori da
una logica complessiva miranti unicamente ai loro biechi interessi.
Per questo ritengo che dentro la CGIL non ci starei a fare nulla. Ci
sono poi giochi di componenti che cercano di utilizzare,
politicamente e non organizzativamente, l'esistenza dei CdB. Ma
interessa poco quanto loro possano contare dentro, quanto il fatto
che noi si possa contare fuori dal sindacato; unicamente ciò
può determinare un mutamento della scuola oggi. Credo
che sia un'illusione pensare di poter trasformare le cose "da
dentro" le confederazioni. E non è soltanto la volontà
soggettiva a determinare i mutamenti: le condizioni politiche esterne
potrebbero modificare qualsiasi cosa, se ad imporle fosse il corpo
sociale. È difficile
comunque identificare il nuovo "soggetto" di
trasformazione: la "centralità operaia" non esiste
più, ma certo non c'è la centralità del pubblico
impiego...
Secondo
te che spazio c'è per una nuova didattica nella scuola adesso?
Sicuramente
un anno di discussioni sulla scuola non possono non portare
automaticamente, sopravvivano o meno i comitati di base, ad una
ripresa del dibattito sulla funzione della scuola, della pubblica
istruzione, ecc... Quindi un impatto sulla didattica ce l'avrà
sicuramente. Sono anche convinto che la presa di coscienza da parte
di larghe fette non sindacalizzate della categoria che oggi vogliono
discutere e vogliono vedere che cosa dicono le piattaforme prima di
votarle e vogliono partecipare in prima persona si ripercuote
sicuramente anche sul loro modo di essere in classe, sul loro modo di
pensare alla qualità della scuola. Questo è quello che
si può vedere in questo momento.
Ho
visto che in parecchie delle scuole dove i comitati di base erano
molto forti, c'è stata una selezione più alta di quella
degli anni precedenti. Come lo spieghi questo?
Non
me lo spiego. Posso azzardare che uno dei rifiuti della condizione
indegna a cui ci hanno sottoposto per tutti questi anni si traduce
poi nel dire: "tutto sommato se vogliono la scuola selettiva,
gliela do. Sono anche in grado di farla la scuola selettiva, anche di
realizzarla: bocciando e quindi mettendo in luce le disfunzioni della
scuola!". Non
credo però che avvenga come scelta, come fatto consapevole.
Poi non sarei tanto d'accordo sul fatto che ci sono state tante più
bocciature. All'inizio sembrava così, alla fine si sono visti
i risultati: l'1% in più. L'1% in più può essere
un caso.
Questo
è significativo, dal momento che si mette in discussione il
rapporto con l'utenza, il rapporto con la famiglia.
Certo.
Questo è importante. Ma l'anno scorso l'ho detto a giugno.
L'ho urlato parecchio: guardate che noi il rapporto con l'utenza o lo
riprendiamo o siamo fregati, perché l'abbiamo interrotto in
quei giorni di giugno drammatici. O meglio l'abbiamo esasperato. Ed
io mi chiedo: oggi un nuovo blocco degli scrutini che trauma può
comportare in termini di rapporto con l'utenza se non si è in
grado di recuperarla con un discorso complessivo e con una lenta,
progressiva, massiccia opera di pubblicazione delle nostre esigenze
per una scuola migliore?
Come
vivevano gli studenti il blocco?
Male!
Mediamente male. Come una forzatura sulla loro testa. Ma l'hanno
vissuta male anche i colleghi, alla fine, che non volevano scioperare
quando erano in 12 a farlo con l'incubo di dover tornare dopo per gli
esami di maturità.
Ma
sono stati dati gli elementi per capire?
In
alcune scuole sì, in altre no, ma questo è stato uno
dei nostri limiti. Però non si può pretendere da un
movimento che nasce e si sviluppa con tanta forza nel giro di 4 mesi
di poter anche guardarsi fino in fondo intorno, ed operare tutti i
fuochi di sbarramento necessari per impedire l'insorgenza di elementi
di ritorno in negativo. È
sempre una lotta in un servizio pubblico che comunque, per principio,
in qualche modo penalizza l' utente.
È
possibile, secondo te, allo stato attuale delle cose riqualificare la
didattica, anche con l'apporto degli studenti tramite un loro
coinvolgimento diretto?
È
possibile. Però non mitizzerei la cosa come abbiamo fatto
negli anni scorsi. Qualche cosa non ha funzionato in questo progetto.
Come posizione di principio non c'è dubbio che una scuola
dovrebbe funzionare attraverso la collaborazione complessiva e
reciproca delle varie componenti. Forse la questione è che una
scuola nuova cambia anche il modo di essere studenti. Però, a
priori, mi sembra un mito e basta. Voglio dire: è una cosa che
è facile dire, e se uno non la dice passa per reazionario...
anche se poi è impossibile praticarla. Con questo tipo di
scuola e con il nostro modo ancora tradizionale di esser docenti, mi
pare una petizione di principio e basta, lascia il tempo che trova.
Io sono un pragmatico.
Non
ti sbilanci, insomma...
Non
è che non mi sbilancio. È che mi sono reso conto di
quello che dal '68 e dal '77 è venuto fuori in termini
positivi e che si è realizzato, come di quello che invece è
rimasto petizione di principi.
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