Rivista Anarchica Online
Originali e un
po' diverse
di Stefano Fabbri d'Errico
Servono nuove
forme di lotta rispetto al passato. Non più blocchi degli
scrutini, ma - per esempio - violazione del segreto d'ufficio o
pubblicità degli scrutini. È quanto propongono alcuni militanti dell'USI-Scuola in
quest'intervista a più voci.
La struttura
sindacale libertaria si auto-definisce come "apolitica" e
questo spesso fa scandalizzare chi ha un background marxista. Cosa
intendete quindi per organizzazione apolitica?
Gaetano - La
definizione dell'Usi come struttura sindacale apolitica, può
risultare ambigua, ma va intesa come rifiuto della politica in quanto
spartizione di potere e non come rifiuto di un progetto complessivo.
La garanzia contro eventuali ingerenze di partiti ecc. (che sarebbero
incompatibili con il nostro progetto), è data per noi
dall'esclusione, dalle cariche interne all'Usi, di chi ricopre già
degli incarichi istituzionali (candidatura alle elezioni,
appartenenza alla segreteria di un partito, ecc.). Siamo perciò
apartitici, aparlamentari e non diamo quindi indicazioni di voto né
alle elezioni né per i referendum in quanto lo riteniamo
estraneo al nostro discorso, che è di carattere economico e
politico, non però in senso istituzionale. Privilegiamo al
contrario la pratica autogestionaria e la democrazia diretta che si
lega alla convinzione che possiamo emanciparci solo con le nostre
forze, senza far riferimento ad alcun progetto partitico o
parlamentare. Quando parliamo di
organizzazione sindacale, questa non va intesa in senso classico, ma
sottende un discorso più ampio che include anche aggregazioni
di altre componenti sociali, oltre ai lavoratori, in quanto ciò
a cui noi puntiamo è di creare in embrione la società
futura. Rivendichiamo la centralità dell'intervento sui luoghi
di lavoro, avendo un progetto politico-sindacale in prospettiva di
trasformazione della società in senso libertario, mediante
l'autogestione dei servizi, della produzione, della distribuzione e
la socializzazione dei mezzi di produzione. Siamo quindi contrari al
Capitalismo di Stato, a differenza dei marxisti.
Marco -
Inoltre, considerando la situazione attuale del mondo del lavoro che
vede un pesante ridimensionamento della figura tradizionale del
produttore, in parallelo alla conseguente dilatazione del "fenomeno"
del precariato sociale, della disoccupazione, del lavoro nero e/o
sommerso, si avverte la necessità di allargare il campo
d'intervento del sindacalismo autogestionario, comprendendo tutte le
realtà sociali presenti sul territorio, che diventa quindi
terreno privilegiato di scontro rispetto alla ristrutturazione
capitalistica.
Per quanto
riguarda le forme di lotta?
Gaetano -
All'ultimo Congresso dell'USI, che si è tenuto l'anno scorso a
marzo, si è discusso molto sulle forme di lotta per
individuare quelle che favorissero l'utenza senza danneggiarla,
creando una vera alleanza sociale. La maggiore preoccupazione, data
la nostra presenza prevalentemente nei servizi, è di non
utilizzare l'utenza come ostaggio e per questo non siamo favorevoli
agli scioperi selvaggi veri e propri, perché possono risultare
negativi più che positivi ed inoltre favoriscono il governo
nel suo progetto di regolamentazione per legge del diritto di
sciopero.
Che esempi si
possono fare di scioperi alternativi?
Gaetano -
Prima di tutto bisognerebbe individuare forme di lotta originali e un
po' diverse dal passato. Nella scuola, riguardo al blocco degli
scrutini, si è visto l'anno scorso che blocchi ad oltranza
possono anche non sortire altro effetto se non quello di farti
additare alla opinione pubblica come nemico dell'utenza, mentre
potrebbero essere fatte delle proposte alternative anche riguardo al
blocco, violando ad esempio il segreto d'ufficio e facendo degli
scrutini pubblici. In questo modo si
favorisce l'utenza, con cui si può instaurare un dialogo
diretto, bloccando al tempo stesso la parte burocratica, che è
quella che interessa allo stato. Ovviamente per arrivare a queste
forme di mobilitazioni, occorre una coscienza collettiva abbastanza
alta, mentre l'anno scorso non sembrava che ci fossero queste
condizioni.
Per legge,
comunque, quelli che non venivano scrutinati dovevano passare
comunque.
Claudia -
Esiste poi un altro grosso problema. Noi abbiamo accettato,
abbastanza acriticamente, la categoria di "utenza", che non
è però una connotazione sociale. Sinché noi
l'accettiamo non abbiamo troppe vie di uscita; bisogna quindi
riportare il tutto a livello di categorie sociali e di classe. A quel
punto il genitore, è in primo luogo un lavoratore, come
connotazione sociale, e solo in secondo luogo utente indiretto del
servizio scolastico, e da questo punto di vista non è più
giusto parlare di alleanza, chiedendo all'utenza un improbabile
appoggio alle lotte; bisogna al contrario che tra tutti i lavoratori
e le componenti sociali in quanto anche utenti e tra tutti gli utenti
in quanto lavoratori si realizzi una solidarietà di classe,
senza la quale non si può uscire da questa strettoia.
Come si pone
l'USI Scuola rispetto al Movimento dei Comitati di Base ed al
dibattito sull'organizzazione?
Claudia -
Come lavoratori della scuola siamo stati presenti fin dall'inizio del
Movimento e quindi abbiamo seguito tutti gli sviluppi in ordine al
problema organizzativo, della piattaforma e anche delle forme di
lotta. Il problema della
formalizzazione è stato il cardine della discussione dell'anno
scorso, mentre adesso sembra che tutto si stia spostando sulla
piattaforma, trascurando l'organizzazione, oppure ponendo il problema
in termini strumentali. Naturalmente il discorso della
formalizzazione non ci ha visti favorevoli, perché finiva per
esaurire tutto il dibattito sull'organizzazione., ponendola in
termini molto rigidi e facendo passare la falsa immagine che bastasse
avere una organizzazione formalizzata, per essere realmente
rappresentativi. Veniva proposta una logica quindi, di accettazione
della legge quadro, per cui il riconoscimento della rappresentatività
del Movimento doveva venire dall'alto, con atti notarili, con la
presentazione ai Consigli scolastici provinciali ecc. Non è
quindi qualcosa che il Movimento doveva costruire e , una volta che
l'avesse costruito, doveva imporre, al di là di quelle che
sono le "regole del gioco" o le compatibilità stesse
con il sistema.
Come vedete, in
prospettiva, il fatto del tesseramento per i Comitati di Base?
Claudia - Al
tesseramento, noi, come aderenti ai Cdb, siamo fermamente contrari,
in quanto abbiamo ribadito più volte che i Cdb sono delle
strutture spontanee e flessibili di lavoratori di tutte le ideologie.
In questo senso vanno ad affrontare di volta in volta dei problemi
reali in cui i lavoratori si possono riconoscere o meno, o in cui si
possono riconoscere in una fase e magari non in un'altra. Quindi
laddove si cominciava a parlare, soprattutto a Roma, di moduli su cui
si segnavano i nomi degli aderenti, noi ci siamo sempre rifiutati. Io
personalmente mi sono sempre rifiutata di consegnare al preside, o a
chicchessia, i nomi dei facenti parte del Cdb della mia Scuola,
perché questi variavano e dovevano poter variare a secondo
delle situazioni, della credibilità delle proposte che si
andavano a fare o del peso che avevano i problemi che si andavano a
discutere.
C'è però
un problema di rappresentatività all'interno dei Cdb.
Gaetano -
Non si può accordare lo stesso peso ad un Cdb piccolo rispetto
a un Cdb grande, oppure a una provincia con pochi Cdb rispetto ad una
che ne ha tanti. Ma questi problemi vengono posti semplicemente come
pretesti perché è evidente che in una città come
Roma, dove le scuole sono tantissime, anche i Comitati di base
saranno tantissimi mentre esistono province che, proprio perché
hanno meno abitanti, hanno anche meno scuole e quindi meno
"potenziali" Cdb. Per cui province "subalterne"
sono condannate a restare tali, anche all'interno del Movimento dei
Cdb, perché numericamente inferiori. È dunque
questo della reale rappresentatività un problema molto
specioso e che sovente viene agitato in maniera strumentale. Sarebbe
più giusto anche se più fiscale e burocratico,
accordare maggiore rappresentatività a quelle province che
raggiungano un maggiore valore percentuale di aggregazione in
relazione alla totalità delle scuole sul territorio.
Che tipo di
criterio si potrebbe allora adottare per garantire la democrazia
diretta?
Claudia -
Ritengo che una rappresentatività basata su questi criteri sia
un po' un problema senza soluzione... Oppure bisognerebbe accantonare
tali false soluzioni ripristinando il principio della partecipazione
diretta ed adottando il criterio della pariteticità solo per
quanto attiene a questioni esecutive.
Come si può
inserire, all'interno dei Cdb, un discorso che vada a toccare il
piano della didattica per costruire una scuola diversa,
mettendo in discussione la funzione stessa della scuola?
Gaetano -
Questo dipende soprattutto dalla capacità di trovare forme di
lotta alternative. Non serve fare un proclama, limitandosi ad
enunciare dei principi generali. Bisogna anche saper portare avanti
e, in un certo senso, anticipare la realizzazione del progetto di una
scuola diversa. È
necessario quindi elaborare forme di lotta, anche individuali, che
vadano a mettere in discussione il sistema vigente. Noi crediamo
nelle riforme dal basso, fatte direttamente dalla base e non calate
dall'alto.
Che tipo di
rapporto andate poi a creare con gli studenti?
Gaetano -
Cerchiamo di avere il massimo di collegamento con loro, per trovare
degli obiettivi comuni. Purtroppo questo non è sempre
possibile, soprattutto in provincia dove non esiste spesso alcuna
struttura di studenti.
E a livello di
partecipazione nella didattica ricercano un rapporto diverso con
l'insegnante?
Claudia -
Questa istanza è sicuramente presente, però il livello
di coscienza non sembra essere molto alto: gli studenti spesso
auspicano un rapporto diverso, ma non hanno consapevolezza del fatto
che questo non significa solamente "mettere in crisi"
l'insegnante, ma implica anche una revisione del proprio ruolo di
studente. Molto spesso invece vediamo gli studenti conformarsi ad un
modello, per così dire tradizionale, senza quindi mettersi in
discussione, ma avendo la pretesa che gli insegnanti, i docenti siano
aperti a cambiamenti. Un rapporto diverso docente-discente, stante
questa situazione, non si può realizzare anche per
l'atteggiamento psicologico statico, di larghe fasce degli studenti.
Il no dell'USI
NO AD OGNI
REGOLAMENTAZIONE DEL DIRITTO DI SCIOPERO!
L'Unione sindacale
Italiana chiama i lavoratori a lottare per la difesa del diritto di
sciopero conquistato attraverso lunghi anni di lotte. Varando una legge di
regolamentazione del diritto di sciopero vogliono criminalizzare e
reprimere i lavoratori così come avviene in paesi come la
Polonia, il Cile o il Sudafrica. Il tentativo dei
partiti politici d'imbrigliare la volontà di lotta dei
lavoratori passa attraverso il sostanziale consenso dei sindacati
riformisti che, preoccupati del dissenso sindacale nascente, si
chiudono ad ogni istanza di base. Governo, padroni,
partiti e sindacati di regime intendono, con questa prassi, colpire
particolarmente i lavoratori che oggi si stanno muovendo in strutture
di base, che agiscono su una linea alternativa a quella del
sindacalismo riformista, istituzionale e corporativo. Contro questa
pretesa liberticida l'U.S.I. rivendica la libertà dei
lavoratori di dissentire, lottare ed organizzarsi per sostenere le
loro rivendicazioni senza che nessuna organizzazione politica o
sociale ne tenti la strumentalizzazione. L'Unione Sindacale
Italiana è pronta a scendere in lotta a fianco dei lavoratori
per difendere il diritto ad autogestire le loro lotte contro i
padroni ed i tecno-burocrati di stato.
Il Comitato dei
delegati dell'Unione
Sindacale Italiana (USI) riunito in Assemblea
Nazionale
Bologna, 1°
novembre 1987
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