Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 151
dicembre 1987 - gennaio 1988


Rivista Anarchica Online

Originali e un po' diverse
di Stefano Fabbri d'Errico

Servono nuove forme di lotta rispetto al passato. Non più blocchi degli scrutini, ma - per esempio - violazione del segreto d'ufficio o pubblicità degli scrutini. È quanto propongono alcuni militanti dell'USI-Scuola in quest'intervista a più voci.

La struttura sindacale libertaria si auto-definisce come "apolitica" e questo spesso fa scandalizzare chi ha un background marxista. Cosa intendete quindi per organizzazione apolitica?

Gaetano - La definizione dell'Usi come struttura sindacale apolitica, può risultare ambigua, ma va intesa come rifiuto della politica in quanto spartizione di potere e non come rifiuto di un progetto complessivo. La garanzia contro eventuali ingerenze di partiti ecc. (che sarebbero incompatibili con il nostro progetto), è data per noi dall'esclusione, dalle cariche interne all'Usi, di chi ricopre già degli incarichi istituzionali (candidatura alle elezioni, appartenenza alla segreteria di un partito, ecc.). Siamo perciò apartitici, aparlamentari e non diamo quindi indicazioni di voto né alle elezioni né per i referendum in quanto lo riteniamo estraneo al nostro discorso, che è di carattere economico e politico, non però in senso istituzionale. Privilegiamo al contrario la pratica autogestionaria e la democrazia diretta che si lega alla convinzione che possiamo emanciparci solo con le nostre forze, senza far riferimento ad alcun progetto partitico o parlamentare.
Quando parliamo di organizzazione sindacale, questa non va intesa in senso classico, ma sottende un discorso più ampio che include anche aggregazioni di altre componenti sociali, oltre ai lavoratori, in quanto ciò a cui noi puntiamo è di creare in embrione la società futura. Rivendichiamo la centralità dell'intervento sui luoghi di lavoro, avendo un progetto politico-sindacale in prospettiva di trasformazione della società in senso libertario, mediante l'autogestione dei servizi, della produzione, della distribuzione e la socializzazione dei mezzi di produzione. Siamo quindi contrari al Capitalismo di Stato, a differenza dei marxisti.

Marco - Inoltre, considerando la situazione attuale del mondo del lavoro che vede un pesante ridimensionamento della figura tradizionale del produttore, in parallelo alla conseguente dilatazione del "fenomeno" del precariato sociale, della disoccupazione, del lavoro nero e/o sommerso, si avverte la necessità di allargare il campo d'intervento del sindacalismo autogestionario, comprendendo tutte le realtà sociali presenti sul territorio, che diventa quindi terreno privilegiato di scontro rispetto alla ristrutturazione capitalistica.

Per quanto riguarda le forme di lotta?

Gaetano - All'ultimo Congresso dell'USI, che si è tenuto l'anno scorso a marzo, si è discusso molto sulle forme di lotta per individuare quelle che favorissero l'utenza senza danneggiarla, creando una vera alleanza sociale. La maggiore preoccupazione, data la nostra presenza prevalentemente nei servizi, è di non utilizzare l'utenza come ostaggio e per questo non siamo favorevoli agli scioperi selvaggi veri e propri, perché possono risultare negativi più che positivi ed inoltre favoriscono il governo nel suo progetto di regolamentazione per legge del diritto di sciopero.

Che esempi si possono fare di scioperi alternativi?

Gaetano - Prima di tutto bisognerebbe individuare forme di lotta originali e un po' diverse dal passato. Nella scuola, riguardo al blocco degli scrutini, si è visto l'anno scorso che blocchi ad oltranza possono anche non sortire altro effetto se non quello di farti additare alla opinione pubblica come nemico dell'utenza, mentre potrebbero essere fatte delle proposte alternative anche riguardo al blocco, violando ad esempio il segreto d'ufficio e facendo degli scrutini pubblici.
In questo modo si favorisce l'utenza, con cui si può instaurare un dialogo diretto, bloccando al tempo stesso la parte burocratica, che è quella che interessa allo stato. Ovviamente per arrivare a queste forme di mobilitazioni, occorre una coscienza collettiva abbastanza alta, mentre l'anno scorso non sembrava che ci fossero queste condizioni.

Per legge, comunque, quelli che non venivano scrutinati dovevano passare comunque.

Claudia - Esiste poi un altro grosso problema. Noi abbiamo accettato, abbastanza acriticamente, la categoria di "utenza", che non è però una connotazione sociale. Sinché noi l'accettiamo non abbiamo troppe vie di uscita; bisogna quindi riportare il tutto a livello di categorie sociali e di classe. A quel punto il genitore, è in primo luogo un lavoratore, come connotazione sociale, e solo in secondo luogo utente indiretto del servizio scolastico, e da questo punto di vista non è più giusto parlare di alleanza, chiedendo all'utenza un improbabile appoggio alle lotte; bisogna al contrario che tra tutti i lavoratori e le componenti sociali in quanto anche utenti e tra tutti gli utenti in quanto lavoratori si realizzi una solidarietà di classe, senza la quale non si può uscire da questa strettoia.

Come si pone l'USI Scuola rispetto al Movimento dei Comitati di Base ed al dibattito sull'organizzazione?

Claudia - Come lavoratori della scuola siamo stati presenti fin dall'inizio del Movimento e quindi abbiamo seguito tutti gli sviluppi in ordine al problema organizzativo, della piattaforma e anche delle forme di lotta.
Il problema della formalizzazione è stato il cardine della discussione dell'anno scorso, mentre adesso sembra che tutto si stia spostando sulla piattaforma, trascurando l'organizzazione, oppure ponendo il problema in termini strumentali. Naturalmente il discorso della formalizzazione non ci ha visti favorevoli, perché finiva per esaurire tutto il dibattito sull'organizzazione., ponendola in termini molto rigidi e facendo passare la falsa immagine che bastasse avere una organizzazione formalizzata, per essere realmente rappresentativi. Veniva proposta una logica quindi, di accettazione della legge quadro, per cui il riconoscimento della rappresentatività del Movimento doveva venire dall'alto, con atti notarili, con la presentazione ai Consigli scolastici provinciali ecc. Non è quindi qualcosa che il Movimento doveva costruire e , una volta che l'avesse costruito, doveva imporre, al di là di quelle che sono le "regole del gioco" o le compatibilità stesse con il sistema.

Come vedete, in prospettiva, il fatto del tesseramento per i Comitati di Base?

Claudia - Al tesseramento, noi, come aderenti ai Cdb, siamo fermamente contrari, in quanto abbiamo ribadito più volte che i Cdb sono delle strutture spontanee e flessibili di lavoratori di tutte le ideologie. In questo senso vanno ad affrontare di volta in volta dei problemi reali in cui i lavoratori si possono riconoscere o meno, o in cui si possono riconoscere in una fase e magari non in un'altra. Quindi laddove si cominciava a parlare, soprattutto a Roma, di moduli su cui si segnavano i nomi degli aderenti, noi ci siamo sempre rifiutati. Io personalmente mi sono sempre rifiutata di consegnare al preside, o a chicchessia, i nomi dei facenti parte del Cdb della mia Scuola, perché questi variavano e dovevano poter variare a secondo delle situazioni, della credibilità delle proposte che si andavano a fare o del peso che avevano i problemi che si andavano a discutere.

C'è però un problema di rappresentatività all'interno dei Cdb.

Gaetano - Non si può accordare lo stesso peso ad un Cdb piccolo rispetto a un Cdb grande, oppure a una provincia con pochi Cdb rispetto ad una che ne ha tanti. Ma questi problemi vengono posti semplicemente come pretesti perché è evidente che in una città come Roma, dove le scuole sono tantissime, anche i Comitati di base saranno tantissimi mentre esistono province che, proprio perché hanno meno abitanti, hanno anche meno scuole e quindi meno "potenziali" Cdb. Per cui province "subalterne" sono condannate a restare tali, anche all'interno del Movimento dei Cdb, perché numericamente inferiori.
È dunque questo della reale rappresentatività un problema molto specioso e che sovente viene agitato in maniera strumentale. Sarebbe più giusto anche se più fiscale e burocratico, accordare maggiore rappresentatività a quelle province che raggiungano un maggiore valore percentuale di aggregazione in relazione alla totalità delle scuole sul territorio.

Che tipo di criterio si potrebbe allora adottare per garantire la democrazia diretta?

Claudia - Ritengo che una rappresentatività basata su questi criteri sia un po' un problema senza soluzione... Oppure bisognerebbe accantonare tali false soluzioni ripristinando il principio della partecipazione diretta ed adottando il criterio della pariteticità solo per quanto attiene a questioni esecutive.

Come si può inserire, all'interno dei Cdb, un discorso che vada a toccare il piano della didattica per costruire una scuola diversa, mettendo in discussione la funzione stessa della scuola?

Gaetano - Questo dipende soprattutto dalla capacità di trovare forme di lotta alternative. Non serve fare un proclama, limitandosi ad enunciare dei principi generali. Bisogna anche saper portare avanti e, in un certo senso, anticipare la realizzazione del progetto di una scuola diversa. È necessario quindi elaborare forme di lotta, anche individuali, che vadano a mettere in discussione il sistema vigente. Noi crediamo nelle riforme dal basso, fatte direttamente dalla base e non calate dall'alto.

Che tipo di rapporto andate poi a creare con gli studenti?

Gaetano - Cerchiamo di avere il massimo di collegamento con loro, per trovare degli obiettivi comuni. Purtroppo questo non è sempre possibile, soprattutto in provincia dove non esiste spesso alcuna struttura di studenti.

E a livello di partecipazione nella didattica ricercano un rapporto diverso con l'insegnante?

Claudia - Questa istanza è sicuramente presente, però il livello di coscienza non sembra essere molto alto: gli studenti spesso auspicano un rapporto diverso, ma non hanno consapevolezza del fatto che questo non significa solamente "mettere in crisi" l'insegnante, ma implica anche una revisione del proprio ruolo di studente. Molto spesso invece vediamo gli studenti conformarsi ad un modello, per così dire tradizionale, senza quindi mettersi in discussione, ma avendo la pretesa che gli insegnanti, i docenti siano aperti a cambiamenti. Un rapporto diverso docente-discente, stante questa situazione, non si può realizzare anche per l'atteggiamento psicologico statico, di larghe fasce degli studenti.

Il no dell'USI

NO AD OGNI REGOLAMENTAZIONE DEL DIRITTO DI SCIOPERO!
L'Unione sindacale Italiana chiama i lavoratori a lottare per la difesa del diritto di sciopero conquistato attraverso lunghi anni di lotte.
Varando una legge di regolamentazione del diritto di sciopero vogliono criminalizzare e reprimere i lavoratori così come avviene in paesi come la Polonia, il Cile o il Sudafrica.
Il tentativo dei partiti politici d'imbrigliare la volontà di lotta dei lavoratori passa attraverso il sostanziale consenso dei sindacati riformisti che, preoccupati del dissenso sindacale nascente, si chiudono ad ogni istanza di base.
Governo, padroni, partiti e sindacati di regime intendono, con questa prassi, colpire particolarmente i lavoratori che oggi si stanno muovendo in strutture di base, che agiscono su una linea alternativa a quella del sindacalismo riformista, istituzionale e corporativo.
Contro questa pretesa liberticida l'U.S.I. rivendica la libertà dei lavoratori di dissentire, lottare ed organizzarsi per sostenere le loro rivendicazioni senza che nessuna organizzazione politica o sociale ne tenti la strumentalizzazione.
L'Unione Sindacale Italiana è pronta a scendere in lotta a fianco dei lavoratori per difendere il diritto ad autogestire le loro lotte contro i padroni ed i tecno-burocrati di stato.

Il Comitato dei delegati
dell'Unione Sindacale Italiana (USI)
riunito in Assemblea Nazionale
Bologna, 1° novembre 1987