Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 157
estate 1988


Rivista Anarchica Online

Sedici anni dopo
a cura della Redazione

In alto a sinistra, un titolo grande: "Morte di un anarchico". Vi si raccontava la vicenda di Franco Serantini, ventenne, figlio di n.n., militante anarchico, morto nel carcere di Pisa dopo esser stato selvaggiamente bastonato dalla polizia durante una manifestazione antifascista in piazza e poi lasciato morire in galera, senza dare ascolto alle sue richieste di soccorso. E si raccontava del tentativo delle autorità di far scomparire in fretta e furia il cadavere, ordinandone l'immediata sepoltura senza la doverosa autopsia. Morte di un anarchico, appunto.
In basso a destra, un titolo decisamente più piccolo: "Morte di un poliziotto", con le prime valutazioni (ma le sottoscriviamo ancora oggi) sull'uccisione a Milano, una decina di giorni dopo quella di Serantini, del commissario Luigi Calabresi.
Così si presentava la pagina di apertura del primo numero di "A" (datato "giugno 1972") all'indomani di quel lontano maggio di sedici anni fa.
Quel numero, quegli articoli, sono tornati di prepotente attualità. La clamorosa riapertura del "caso Calabresi", le "confessioni" di Leonardo Marino, l'arresto di Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, il coinvolgimento del vertice di Lotta Continua, hanno fatto ritornare sulle prime pagine dei giornali i nomi di Calabresi, di Pinelli, di Serantini.
Eppure da quei tempi ci separa un abisso. Che non è, sia ben chiaro, la distanza marcata inevitabilmente dal tempo trascorso. Fosse solo per questo, ci pensa la magistratura a "fissare" il tempo, a ritornare in scioltezza a fatti successi appunto 16 anni prima, a dar totale credito ad un personaggio ambiguo (Leonardo Marino), che dopo 16 anni - in un sussulto di "pentimento" - "confessa" un assassinio commesso da un altro (Bompressi) e ordinatogli da altri due (Pietrostefani e Sofri).
L'abisso che noi sentiamo è dovuto all'abissale squallore rappresentato dai mass-media, dai giornali e dai giornalisti - compresi quelli che amavano definirsi "democratici". Ci si perdoni la generalizzazione, ma le eccezioni - anche questa volta - sono state davvero poche.
Di fronte alle palesi "mosse false" dei magistrati milanesi e a quant'altro di poco "giudiziario" e di molto politico è emerso e sta emergendo dalle pieghe dell'istruttoria, nessuna protesta. Nemmeno le allucinanti deduzioni del giudice Lombardi (del tipo: "Se Marino dice il vero su di una cosa, allora deve essere ritenuta vera qualsiasi altra cosa dica, anche se non è stata trovata la prova". Conseguenza: gli imputati restino dentro, in attesa che - forse - saltino fuori le prove) hanno avuto la sottolineatura che meritavano.
Ma c'è di peggio, La stampa ha iniziato un coro, quasi unanime, tendente a ricostruire un'immagine credibile al commissario Luigi Calabresi. Quello, dalla cui stanza dell'ufficio politico della Questura milanese fu gettato il 15 dicembre 1969 Pino Pinelli (ma i giornali, adeguandosi alla "verità giuridica" sancita dalla magistratura, hanno smesso da tempo di parlare di uccisione di Pinelli, preferendo la più vaga - e al contempo "romantica" - versione del "volo"). Quello, che non a caso venne chiamato il "commissario-finestra", in seguito alla denuncia di alcuni fermati che dichiararono che Calabresi era solito interrogarli facendoli sedere sul davanzale della finestra. Quello, che svolse un ruolo di primo piano nella gestione poliziesca (ben al di sopra di quanto richiesto dalle sue funzioni di commissario) della "strage di stato". Quello, ecc. ecc.
Per completare l'opera di calunnia e di demonizzazione del '68 e, in generale, di quegli anni di lotte e di speranza, ci mancava solo - in questo noiosissimo ventennale - la tentata riabilitazione di Calabresi.
Eppure una sensazione non ce la possiamo proprio togliere di dosso: che, cioè, nonostante tutto, alla fin fine Calabresi sarà citato negli annali della Storia al massimo come un poliziotto, mentre Pinelli e Serantini subito sono entrati nella coscienza di molta gente come persone pulite, simboli di un mondo migliore e della volontà di realizzarlo.