Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 157
estate 1988


Rivista Anarchica Online

Rogor e rabbia
di Piero Tognoli / Mauro Zanoni

Il 17 luglio, a Massa, un'esplosione all'interno dello stabilimento Farmoplant ha creato una delle più gravi "emergenze ecologiche" degli ultimi anni. Nel resoconto di due anarchici attivi nella lotta contro l'industria chimica ed i suoi variegati sostenitori (molti, oggi, pentiti), le reazioni della gente, le furbizie dei politicanti, le balle della stampa.

Il vuoto d'informazione che da sempre ha accompagnato le vicende della Farmoplant non ha trovato smentite neppure in seguito all'incidente del 17 luglio scorso, quando l'esplosione di un deposito di rogor diluito con cicloesanone ha costretto alla fuga le popolazioni di Massa e dintorni.
Non nuova a simili incidenti la Farmoplant (gruppo Montedison) costituisce un continuo pericolo in condizioni di normalità con l'emissione costante di gas tossici nell'atmosfera, grazie alla fumata continua del proprio inceneritore. I periodici e ciclici incidenti che fino ad ora non hanno provocato vittime, potenzialmente potrebbero causare un genocidio chimico di vaste proporzioni: domenica 17 luglio siamo andati molto vicini a questa ipotesi. Quello che infatti stupisce entrando nell'argomento, conoscendo la storia di questa fabbrica di morte, delle lotte che anche in passato hanno saputo muovere settori consistenti della popolazione di Massa (molto meno a Carrara), non è tanto il fatto che la gente sappia innescare accese proteste, quanto che la fabbrica e l'inceneritore non siano stati ancora smantellati una volte per tutte.
Del resto la direzione Montedison è categorica e detta legge, con arroganza feudale e la consapevolezza di avere pieno appoggio istituzionale oltre al coltello dalla parte del manico. Le autorità locali, sindaco, consiglieri comunali, tecnici USL, esperti della protezione civile, dirigenti di partito e politicanti di basso cabotaggio esercitano con dedizione il proprio ruolo nel riverente vassallaggio all'imperatore Gardini, preoccupati soltanto di salvare la faccia - e la poltrona - di fronte alle contestazioni di popolo.
Garanti di questo non mancano le forze di polizia, compatte o in ordine sparso, attivissime, presenti in ogni luogo pubblico e privato, comprese le redazioni dei quotidiani locali nel suggerire articoli di cronaca e comunicati per avallare il classico teorema dei provocatori, dei sovversivi, cercando insomma di isolare e criminalizzare tutti i compagni presenti alle mobilitazioni a fianco della gente giustamente incazzata.
Ma l'incazzatura, purtroppo, non basta se manca la determinazione nell'andare avanti, coscienti che solo forme di lotta dure, non mediate politicamente e soprattutto sviluppate senza alcun riferimento nelle autorità ufficiali o ufficiose, possono raggiungere l'obiettivo di chiudere la Farmoplant, smantellarla con l'inceneritore pensando contemporaneamente alla bonifica del territorio e ad una migliore qualità della vita.
È appunto la popolazione di Massa che non ha avuto maturità nell'affrontare fino in fondo la questione Farmoplant, lasciandosi depistare dalle varie associazioni politiche e ambientaliste sul paludoso terreno della delega e dell'attendismo. In particolare Psi, Pci e sindacato mirano a spegnere la mobilitazione in forme di lotta simboliche e inconcludenti utili soltanto alle autorità locali per riorganizzarsi e ripresentarsi in pubblico con l'ipocrisia di sempre; al Pci nell'operare un camaleontico e rapido voltafaccia di 180 gradi dichiarandosi per la chiusura della Farmoplant dopo esserne stato una determinante quinta colonna; alla questura nel far affluire consistenti rinforzi in tenuta da ordine pubblico e pronti a fare piazza pulita se le migliaia di "provocatori autonomi" fossero rispuntate a mettere in discussione i valori di questa moderna democrazia fondata sull'inquinamento e sul manganello.
Ora la situazione è decantata, rifluita, molti sono convinti che la Farmoplant sia chiusa e l'inceneritore stia diffondendo gli ultimi veleni prima dello smantellamento definitivo, altri sono coscienti dell'amara realtà, del fatto che chiudere una fabbrica di morte solo sulla carta costituisce l'ennesima presa per i fondelli e preferiscono quindi disertare le iniziative simboliche del momento, evitando di portare acqua ai mulini del politicismo ambientalista, troppo compromesso nei rapporti con l'istituzione, troppo legato alla logica della poltrona nel voler cambiare i rapporti politici e non certo quelli sociali. Altri ancora, picchettano i cancelli della Farmoplant con l'intenzione di bloccare camion in entrata e in uscita, sono gli abitanti dell'Alteta, il quartiere costruito a ridosso della Farmoplant, i più colpiti dall'inquinamento di questi anni, i più esposti ai pericoli di incidenti, quelli insomma che hanno tutto da perdere se fabbrica e inceneritore continueranno come sembra le loro produzioni di morte. Sono una minoranza esigua degli abitanti del comune di Massa e hanno saputo dimostrare una forte combattività da almeno dieci anni a questa parte: ora, isolati nella loro lotta sono stati tra i protagonisti di quella mobilitazione e protesta popolare che ha visto migliaia di cittadini scendere in piazza a contestare giunta comunale, prefetto e autorità convenute, identificate in veste di responsabili per il loro criminale silenzio subito dopo l'incidente, per averlo minimizzato senza dare immediate disposizioni sanitarie, per aver permesso le cariche della polizia come risposta istituzionale a chi chiedeva queste informazioni sotto la sede della prefettura.
Sembra trascorso un lunghissimo periodo dal giorno della carica, da quelle giornate di alta tensione innescata dall'incidente e giunte all'apice della contestazione con l'occupazione della stazione ferroviaria di Massa. Quella che potremmo chiamare "l'estate massese" ha avuto breve vita e, venendo a mancare il diffuso spirito di azione diretta, si ha l'impressione di essere scivolati in un decadente autunno dove a cadere non sono le foglie ma i soliti fumi tossici buttati fuori a tutto vapore con l'alibi dello smaltimento delle acque inquinate, utilizzate nello spegnimento dell'incendio.
L'estate continua invece nella riviera apuana, per i turisti accorsi ugualmente numerosi, con l'incosciente superficialità di chi vive fidandosi dei pezzi di carta firmati dall'autorità sanitaria nel togliere i divieti di balneazione o dalla promozionalità "pubblicità progresso" promossa dalla Regione Toscana su diversi quotidiani a diffusione nazionale. Il tutto in una criminale logica del profitto a tutti i costi.
Se dunque la carta ha un peso così importante e la mistificazione dell'informazione è una precisa regola della moderna democrazia, un po' di carta si può consumarla per una doverosa controinformazione, affinché si sappia cosa realmente è successo in quelle giornate e i compagni, tutti gli individui seriamente impegnati nelle lotte ecosociali, si sensibilizzino iniziando ad organizzarsi contro l'impero Montedison in ogni luogo dove esiste un polo chimico o una sua sede. A Massa si sta giocando una carta molto importante per il futuro della chimica in Italia e la faccia del re di picche che domina la partita ha una somiglianza troppo forte con Raul Gardini.

cronache massesi

Domenica 17 luglio, ore 6.20: l'esplosione è molto forte e la colonna di fumo nero che sale minacciosa è una ennesima conferma che la chimica pulita non esiste. Massicce e caotiche fughe degli abitanti della zona provocano svariati incidenti stradali e ricoveri in ospedale non soltanto per l'intossicazione. Incidente anche ad Oliviero Bigini, vicesindaco comunista di Massa, malmenato da un gruppo di cittadine irritate dal rogor fuoriuscito. Sale la tensione e iniziano le proteste sotto la sede del comune mentre la protezione civile è latitante e le autorità locali non sanno più che pesci pigliare. Muoiono intanto i pesci del Lavello, le cui acque hanno raccolto parte delle scorie chimiche una volta spento l'incendio. Organizzata dalle associazioni ambientaliste parte nel pomeriggio la manifestazione/passeggiata Massa-Marina di Massa, cinque inutili chilometri di percorso sotto il sole, filtrando con masochismo pestilenziali odori e inquinati da una consistente presenza poliziesca. Nonostante l'atmosfera turistica viene impedito ad un rappresentante del Psi di prendere la parola al comizio mentre i verdi, ambientalisti e demoproletari fanno le star della situazione. Continua fino a serata inoltrata l'affollamento sotto il palazzo municipale e la prefettura subito presidiata dai tutori... dell'ordine, a cui viene impedito il fermo di un consigliere verde durante un comizio volante.

Lunedì 18. Durante la mattinata continua il presidio sotto la prefettura, in piazza Aranci. Gli animi sono esasperati dal silenzio ufficiale dell'autorità incapace di dare precise indicazioni sull'incidente, varare piani di emergenza o confrontarsi con la popolazione. Ancora una volta lo stato è presente solo con i suoi apparati polizieschi che presidiano l'ingresso del palazzo, cercando contemporaneamente di individuare i compagni presenti e tamponare con la dialettica democratica e per certi versi patetica i cittadini incazzati e poco disposti alla mediazione.
L'afa del pomeriggio non invita certamente a scendere in piazza mentre la gente inizia lentamente ad affluire. All'interno della prefettura si trovano i ministri Lattanzio, Ruffolo e Ferri. Dalla piccola folla partono slogan per la chiusura della Farmoplant ed insulti contro il prefetto e le autorità. L'ingresso del palazzo è pacificamente bloccato mentre i cittadini convenuti vorrebbero essere informati dei termini della discussione, certo poco fiduciosi della burocrazia istituzionale e degli altolocati rappresentanti dello stato italiano.
L'unico a scendere a parlare con la gente è Ferri, ministro dei lavori pubblici, ex-magistrato, uomo rampante del Psdi, abile costruttore della propria immagine pubblica e pescatore di elettori nella provincia di Massa Carrara. Intenzione comune dei cittadini è bloccare la fuoriuscita dei ministri impedendo loro un rapido ritorno alla capitale lasciando irrisolto il problema Farmoplant.
A questo punto la tensione cresce, i poliziotti presenti esprimono evidenti segni di nervosismo mentre iniziano a girare manganelli e caschi. Si respira atmosfera di carica. Alle ore 20 il questore dà l'ordine e partono contemporaneamente manganellate e lacrimogeni. La fuga è generale e, purtroppo, come sempre accade in questi casi, donne, vecchi, bambini e indifesi sono le vittime prescelte di questa violenza legalizzata. La piazza è pulita e attraverso i fumi tossici dei lacrimogeni le auto dei ministri si aprono la via della fuga mentre Ferri, dissociandosi dalla carica, fa la sua buona azione quotidiana rifiutandosi di uscire dalla prefettura. Mille voti in più alle prossime politiche!
Una volta diradatosi il fumo, con la gente ci si raduna ai bordi della piazza. I più sono sconcertati, alcuni anziani parlano di Scelba, alcune donne piangono con disperata impotenza, i giovanissimi sono scatenati e l'incazzatura è genuina e generalizzata. Si ritorna verso la prefettura e partono alcuni sassi seguiti da altre due cariche e candelotti sparati ad altezza d'uomo. Più tardi verranno ritrovati anche alcuni bossoli di pistola ed un paio di proiettili insieme alle notizie dei feriti, tra cui alcuni poliziotti. Il clima si è notevolmente surriscaldato e la notizia delle cariche ha richiamato un buon numero di cittadini in piazza Aranci con gli eroici tutori dell'ordine attestatisi all'interno della prefettura, dietro il portone bersagliato da sporadici lanci di sassi e da cassonetti dell'immondizia. I dirigenti del Pci, usciti tempestivamente con un volantino che condanna le cariche, sono letteralmente spiazzati e non riescono a controllare, come loro solito, la situazione.
Con l'idea del blocco alla stazione si forma uno spontaneo corteo e si parte decisi verso i binari della ferrovia. È dopo alcune centinaia di metri che i militanti di Dp si fermano e decidono di ritornare indietro, creando confusione e operando nei fatti quella mediazione politica che non era riuscita al Pci. Il corteo si sfalda, la decisione iniziale viene a mancare, si ritorna in piazza Aranci e dopo circa un'ora si smobilita preparandosi alla giornata successiva, al corteo della mattinata e allo sciopero generale di 4 ore, indetto dai Consigli di Fabbrica.

Martedì 19. Aria di grande mobilitazione con un corteo di circa 5mila manifestanti che parte diretto a piazza Aranci.
Poco prima della manifestazione alcun agenti in borghese tentano di bloccare un compagno isolato mentre non si vede in giro alcuna divisa, la città sembra ripulita della presenza di forze dell'ordine. Gli stessi consistenti rinforzi affluiti dopo le cariche restano mobilitati all'interno delle caserme o della questura, solo un consistente reparto è presente dentro il palazzo della prefettura. L'atmosfera si scalda nuovamente in piazza Aranci, i cittadini sono esasperati ed il ricordo della violenza poliziesca è più che mai fresco nella memoria della gente. Slogan accesi si alternano a colpi contro il portone del palazzo e a insulti contro alcuni dirigenti del Pci intervenuti a calmare gli animi, il portone rischia di cedere sotto la pressione dei manifestanti ed è allora che riparte la proposta di un blocco ferroviario riformando un corteo alla cui testa si colloca Dp con tanto di striscione e bandiere.
Ancora una volta, come nella serata precedente, dopo alcune centinaia di metri i militanti demoproletari vengono colti nuovamente dai soliti dubbi, timorosi di aver fatto il passo più lungo della gamba e ritornano verso la piazza dove è rimasto il grosso dei manifestanti. Ci si ferma ugualmente e si blocca l'Aurelia cercando di vincere il momento di confusione e di sbandamento. Altri manifestanti affluiscono in seguito e, questa volta poco all'avanguardia, ritornano i demoproletari.
Finalmente si riparte, con decisione, determinati ad occupare la stazione con a fianco comuni cittadini, massaie, operai e consigli di fabbrica, cavatori sul piede di guerra e molti giovani intravisti la sera precedente durante le cariche. Solo l'evidente malafede degli pseudo-giornalisti locali asserviti agli interessi Montedison potrà far scrivere loro di "centinaia di provocatori autonomi" autori dell'occupazione ma, tutto questo, a conferma che la via dell'azione diretta è quella giusta, che solo la lotta dura può sbloccare la situazione sia pur a rischio e pericolo dei compagni più conosciuti ed esposti ad eventuali provocazioni poliziesche.
Ma intanto i binari sono nostri ed in un migliaio ci sediamo pacificamente a bloccare questo importante nodo della linea tirrenica. Attimi di tensione per l'arrivo di reparti di celerini e carabinieri si alternano all'indescrivibile ebrezza del momento mentre i soliti mediatori sono all'opera nel conciliare i manifestanti incazzati con le esigenze di ordine pubblico di cui evidentemente si sentono garanti partendo da sinistra. Si fa avanti il clima di smobilitazione ed i reparti di polizia vengono tatticamente retrocessi nel favorire l'accordo a tutti i costi. Certo una nuova carica sarebbe un duro colpo per il prestigio democratico dei lavoratori del manganello e la stessa immagine dello stato difficilmente ricucirebbe lo strappo con la popolazione.
Lo sanno benissimo le autorità ed anche i dirigenti del Pci che dello stato sono sempre stati i più convinti tutori; solo l'ambiguità e l'indecisione di Dp fa pensare al ruolo di utili idioti della situazione ma la politica dell'ambiguità non paga, nemmeno a livello elettorale. La confusione diventa però un dato di fatto tra chi vuole abbandonare il blocco e i non pochi incazzati disposti a continuarlo pacificamente ma pronti a rispondere a tono ad una eventuale carica. "Munizioni non ne mancano" affermano alcuni giovani scherzosamente, alludendo ai sassi depositati tra i binari.
Dopo circa un'ora dal blocco inizia la lenta ritirata, delusi e coscienti che per la breve "estate massese" è l'inizio della fine e uscendo di scena la popolazione sarà la volta dei politicanti a entrare nel solito ruolo di protagonisti della situazione.