Rivista Anarchica Online
Rogor e rabbia
di Piero Tognoli / Mauro Zanoni
Il 17 luglio, a Massa, un'esplosione
all'interno dello stabilimento Farmoplant ha creato una delle più
gravi "emergenze ecologiche" degli ultimi anni. Nel resoconto di due anarchici
attivi nella lotta contro l'industria chimica ed i suoi variegati
sostenitori (molti, oggi, pentiti), le reazioni della gente, le
furbizie dei politicanti, le balle della stampa.
Il vuoto d'informazione che da sempre
ha accompagnato le vicende della Farmoplant non ha trovato smentite
neppure in seguito all'incidente del 17 luglio scorso, quando
l'esplosione di un deposito di rogor diluito con cicloesanone ha
costretto alla fuga le popolazioni di Massa e dintorni.
Non nuova a simili incidenti la
Farmoplant (gruppo Montedison) costituisce un continuo pericolo in
condizioni di normalità con l'emissione costante di gas
tossici nell'atmosfera, grazie alla fumata continua del proprio
inceneritore. I periodici e ciclici incidenti che fino ad ora non
hanno provocato vittime, potenzialmente potrebbero causare un
genocidio chimico di vaste proporzioni: domenica 17 luglio siamo
andati molto vicini a questa ipotesi. Quello che infatti stupisce
entrando nell'argomento, conoscendo la storia di questa fabbrica di
morte, delle lotte che anche in passato hanno saputo muovere settori
consistenti della popolazione di Massa (molto meno a Carrara), non è
tanto il fatto che la gente sappia innescare accese proteste, quanto
che la fabbrica e l'inceneritore non siano stati ancora smantellati
una volte per tutte.
Del resto la direzione Montedison è
categorica e detta legge, con arroganza feudale e la consapevolezza
di avere pieno appoggio istituzionale oltre al coltello dalla parte
del manico. Le autorità locali, sindaco, consiglieri comunali,
tecnici USL, esperti della protezione civile, dirigenti di partito e
politicanti di basso cabotaggio esercitano con dedizione il proprio
ruolo nel riverente vassallaggio all'imperatore Gardini, preoccupati
soltanto di salvare la faccia - e la poltrona - di fronte alle
contestazioni di popolo.
Garanti di questo non mancano le forze
di polizia, compatte o in ordine sparso, attivissime, presenti in
ogni luogo pubblico e privato, comprese le redazioni dei quotidiani
locali nel suggerire articoli di cronaca e comunicati per avallare il
classico teorema dei provocatori, dei sovversivi, cercando insomma di
isolare e criminalizzare tutti i compagni presenti alle mobilitazioni
a fianco della gente giustamente incazzata.
Ma l'incazzatura, purtroppo, non basta
se manca la determinazione nell'andare avanti, coscienti che solo
forme di lotta dure, non mediate politicamente e soprattutto
sviluppate senza alcun riferimento nelle autorità ufficiali o
ufficiose, possono raggiungere l'obiettivo di chiudere la Farmoplant,
smantellarla con l'inceneritore pensando contemporaneamente alla
bonifica del territorio e ad una migliore qualità della vita.
È appunto la popolazione di
Massa che non ha avuto maturità nell'affrontare fino in fondo
la questione Farmoplant, lasciandosi depistare dalle varie
associazioni politiche e ambientaliste sul paludoso terreno della
delega e dell'attendismo. In particolare Psi, Pci e sindacato mirano
a spegnere la mobilitazione in forme di lotta simboliche e
inconcludenti utili soltanto alle autorità locali per
riorganizzarsi e ripresentarsi in pubblico con l'ipocrisia di sempre;
al Pci nell'operare un camaleontico e rapido voltafaccia di 180 gradi
dichiarandosi per la chiusura della Farmoplant dopo esserne stato una
determinante quinta colonna; alla questura nel far affluire
consistenti rinforzi in tenuta da ordine pubblico e pronti a fare
piazza pulita se le migliaia di "provocatori autonomi"
fossero rispuntate a mettere in discussione i valori di questa
moderna democrazia fondata sull'inquinamento e sul manganello. Ora la situazione è decantata,
rifluita, molti sono convinti che la Farmoplant sia chiusa e
l'inceneritore stia diffondendo gli ultimi veleni prima dello
smantellamento definitivo, altri sono coscienti dell'amara realtà,
del fatto che chiudere una fabbrica di morte solo sulla carta
costituisce l'ennesima presa per i fondelli e preferiscono quindi
disertare le iniziative simboliche del momento, evitando di portare
acqua ai mulini del politicismo ambientalista, troppo compromesso nei
rapporti con l'istituzione, troppo legato alla logica della poltrona
nel voler cambiare i rapporti politici e non certo quelli sociali.
Altri ancora, picchettano i cancelli della Farmoplant con
l'intenzione di bloccare camion in entrata e in uscita, sono gli
abitanti dell'Alteta, il quartiere costruito a ridosso della
Farmoplant, i più colpiti dall'inquinamento di questi anni, i
più esposti ai pericoli di incidenti, quelli insomma che hanno
tutto da perdere se fabbrica e inceneritore continueranno come sembra
le loro produzioni di morte. Sono una minoranza esigua degli abitanti
del comune di Massa e hanno saputo dimostrare una forte combattività
da almeno dieci anni a questa parte: ora, isolati nella loro lotta
sono stati tra i protagonisti di quella mobilitazione e protesta
popolare che ha visto migliaia di cittadini scendere in piazza a
contestare giunta comunale, prefetto e autorità convenute,
identificate in veste di responsabili per il loro criminale silenzio
subito dopo l'incidente, per averlo minimizzato senza dare immediate
disposizioni sanitarie, per aver permesso le cariche della polizia
come risposta istituzionale a chi chiedeva queste informazioni sotto
la sede della prefettura.
Sembra trascorso un lunghissimo periodo
dal giorno della carica, da quelle giornate di alta tensione
innescata dall'incidente e giunte all'apice della contestazione con
l'occupazione della stazione ferroviaria di Massa. Quella che
potremmo chiamare "l'estate massese" ha avuto breve vita e,
venendo a mancare il diffuso spirito di azione diretta, si ha
l'impressione di essere scivolati in un decadente autunno dove a
cadere non sono le foglie ma i soliti fumi tossici buttati fuori a
tutto vapore con l'alibi dello smaltimento delle acque inquinate,
utilizzate nello spegnimento dell'incendio.
L'estate continua invece nella riviera
apuana, per i turisti accorsi ugualmente numerosi, con l'incosciente
superficialità di chi vive fidandosi dei pezzi di carta
firmati dall'autorità sanitaria nel togliere i divieti di
balneazione o dalla promozionalità "pubblicità
progresso" promossa dalla Regione Toscana su diversi quotidiani
a diffusione nazionale. Il tutto in una criminale logica del profitto
a tutti i costi.
Se dunque la carta ha un peso così
importante e la mistificazione dell'informazione è una precisa
regola della moderna democrazia, un po' di carta si può
consumarla per una doverosa controinformazione, affinché si
sappia cosa realmente è successo in quelle giornate e i
compagni, tutti gli individui seriamente impegnati nelle lotte
ecosociali, si sensibilizzino iniziando ad organizzarsi contro
l'impero Montedison in ogni luogo dove esiste un polo chimico o una
sua sede. A Massa si sta giocando una carta molto importante per il
futuro della chimica in Italia e la faccia del re di picche che
domina la partita ha una somiglianza troppo forte con Raul Gardini.
cronache massesi
Domenica 17 luglio,
ore 6.20: l'esplosione è molto forte e la colonna di fumo nero
che sale minacciosa è una ennesima conferma che la chimica
pulita non esiste. Massicce e caotiche fughe degli abitanti della
zona provocano svariati incidenti stradali e ricoveri in ospedale non
soltanto per l'intossicazione. Incidente anche ad Oliviero Bigini,
vicesindaco comunista di Massa, malmenato da un gruppo di cittadine
irritate dal rogor fuoriuscito. Sale la tensione e iniziano le
proteste sotto la sede del comune mentre la protezione civile è
latitante e le autorità locali non sanno più che pesci
pigliare. Muoiono intanto i pesci del Lavello, le cui acque hanno
raccolto parte delle scorie chimiche una volta spento l'incendio.
Organizzata dalle associazioni ambientaliste parte nel pomeriggio la
manifestazione/passeggiata Massa-Marina di Massa, cinque inutili
chilometri di percorso sotto il sole, filtrando con masochismo
pestilenziali odori e inquinati da una consistente presenza
poliziesca. Nonostante l'atmosfera turistica viene impedito ad un
rappresentante del Psi di prendere la parola al comizio mentre i
verdi, ambientalisti e demoproletari fanno le star della situazione.
Continua fino a serata inoltrata l'affollamento sotto il palazzo
municipale e la prefettura subito presidiata dai tutori...
dell'ordine, a cui viene impedito il fermo di un consigliere verde
durante un comizio volante.
Lunedì 18.
Durante la mattinata continua il presidio sotto la prefettura, in
piazza Aranci. Gli animi sono esasperati dal silenzio ufficiale
dell'autorità incapace di dare precise indicazioni
sull'incidente, varare piani di emergenza o confrontarsi con la
popolazione. Ancora una volta lo stato è presente solo con i
suoi apparati polizieschi che presidiano l'ingresso del palazzo,
cercando contemporaneamente di individuare i compagni presenti e
tamponare con la dialettica democratica e per certi versi patetica i
cittadini incazzati e poco disposti alla mediazione.
L'afa del pomeriggio non invita
certamente a scendere in piazza mentre la gente inizia lentamente ad
affluire. All'interno della prefettura si trovano i ministri
Lattanzio, Ruffolo e Ferri. Dalla piccola folla partono slogan per la
chiusura della Farmoplant ed insulti contro il prefetto e le
autorità. L'ingresso del palazzo è pacificamente
bloccato mentre i cittadini convenuti vorrebbero essere informati dei
termini della discussione, certo poco fiduciosi della burocrazia
istituzionale e degli altolocati rappresentanti dello stato italiano.
L'unico a scendere a parlare con la
gente è Ferri, ministro dei lavori pubblici, ex-magistrato,
uomo rampante del Psdi, abile costruttore della propria immagine
pubblica e pescatore di elettori nella provincia di Massa Carrara.
Intenzione comune dei cittadini è bloccare la fuoriuscita dei
ministri impedendo loro un rapido ritorno alla capitale lasciando
irrisolto il problema Farmoplant.
A questo punto la tensione cresce, i
poliziotti presenti esprimono evidenti segni di nervosismo mentre
iniziano a girare manganelli e caschi. Si respira atmosfera di
carica. Alle ore 20 il questore dà l'ordine e partono
contemporaneamente manganellate e lacrimogeni. La fuga è
generale e, purtroppo, come sempre accade in questi casi, donne,
vecchi, bambini e indifesi sono le vittime prescelte di questa
violenza legalizzata. La piazza è pulita e attraverso i fumi
tossici dei lacrimogeni le auto dei ministri si aprono la via della
fuga mentre Ferri, dissociandosi dalla carica, fa la sua buona azione
quotidiana rifiutandosi di uscire dalla prefettura. Mille voti in più
alle prossime politiche!
Una volta diradatosi il fumo, con la
gente ci si raduna ai bordi della piazza. I più sono
sconcertati, alcuni anziani parlano di Scelba, alcune donne piangono
con disperata impotenza, i giovanissimi sono scatenati e
l'incazzatura è genuina e generalizzata. Si ritorna verso la
prefettura e partono alcuni sassi seguiti da altre due cariche e
candelotti sparati ad altezza d'uomo. Più tardi verranno
ritrovati anche alcuni bossoli di pistola ed un paio di proiettili
insieme alle notizie dei feriti, tra cui alcuni poliziotti. Il clima
si è notevolmente surriscaldato e la notizia delle cariche ha
richiamato un buon numero di cittadini in piazza Aranci con gli
eroici tutori dell'ordine attestatisi all'interno della prefettura,
dietro il portone bersagliato da sporadici lanci di sassi e da
cassonetti dell'immondizia. I dirigenti del Pci, usciti
tempestivamente con un volantino che condanna le cariche, sono
letteralmente spiazzati e non riescono a controllare, come loro
solito, la situazione.
Con l'idea del blocco alla stazione si
forma uno spontaneo corteo e si parte decisi verso i binari della
ferrovia. È dopo alcune
centinaia di metri che i militanti di Dp si fermano e decidono di
ritornare indietro, creando confusione e operando nei fatti quella
mediazione politica che non era riuscita al Pci. Il corteo si sfalda,
la decisione iniziale viene a mancare, si ritorna in piazza Aranci e
dopo circa un'ora si smobilita preparandosi alla giornata successiva,
al corteo della mattinata e allo sciopero generale di 4 ore, indetto
dai Consigli di Fabbrica.
Martedì 19.
Aria di grande mobilitazione con un corteo di circa 5mila
manifestanti che parte diretto a piazza Aranci.
Poco prima della manifestazione alcun
agenti in borghese tentano di bloccare un compagno isolato mentre non
si vede in giro alcuna divisa, la città sembra ripulita della
presenza di forze dell'ordine. Gli stessi consistenti rinforzi
affluiti dopo le cariche restano mobilitati all'interno delle caserme
o della questura, solo un consistente reparto è presente
dentro il palazzo della prefettura. L'atmosfera si scalda nuovamente
in piazza Aranci, i cittadini sono esasperati ed il ricordo della
violenza poliziesca è più che mai fresco nella memoria
della gente. Slogan accesi si alternano a colpi contro il portone del
palazzo e a insulti contro alcuni dirigenti del Pci intervenuti a
calmare gli animi, il portone rischia di cedere sotto la pressione
dei manifestanti ed è allora che riparte la proposta di un
blocco ferroviario riformando un corteo alla cui testa si colloca Dp
con tanto di striscione e bandiere.
Ancora una volta, come nella serata
precedente, dopo alcune centinaia di metri i militanti demoproletari
vengono colti nuovamente dai soliti dubbi, timorosi di aver fatto il
passo più lungo della gamba e ritornano verso la piazza dove è
rimasto il grosso dei manifestanti. Ci si ferma ugualmente e si
blocca l'Aurelia cercando di vincere il momento di confusione e di
sbandamento. Altri manifestanti affluiscono in seguito e, questa
volta poco all'avanguardia, ritornano i demoproletari.
Finalmente si riparte, con decisione,
determinati ad occupare la stazione con a fianco comuni cittadini,
massaie, operai e consigli di fabbrica, cavatori sul piede di guerra
e molti giovani intravisti la sera precedente durante le cariche.
Solo l'evidente malafede degli pseudo-giornalisti locali asserviti
agli interessi Montedison potrà far scrivere loro di
"centinaia di provocatori autonomi" autori dell'occupazione
ma, tutto questo, a conferma che la via dell'azione diretta è
quella giusta, che solo la lotta dura può sbloccare la
situazione sia pur a rischio e pericolo dei compagni più
conosciuti ed esposti ad eventuali provocazioni poliziesche.
Ma intanto i binari sono nostri ed in
un migliaio ci sediamo pacificamente a bloccare questo importante
nodo della linea tirrenica. Attimi di tensione per l'arrivo di
reparti di celerini e carabinieri si alternano all'indescrivibile
ebrezza del momento mentre i soliti mediatori sono all'opera nel
conciliare i manifestanti incazzati con le esigenze di ordine
pubblico di cui evidentemente si sentono garanti partendo da
sinistra. Si fa avanti il clima di smobilitazione ed i reparti di
polizia vengono tatticamente retrocessi nel favorire l'accordo a
tutti i costi. Certo una nuova carica sarebbe un duro colpo per il
prestigio democratico dei lavoratori del manganello e la stessa
immagine dello stato difficilmente ricucirebbe lo strappo con la
popolazione.
Lo sanno benissimo le autorità
ed anche i dirigenti del Pci che dello stato sono sempre stati i più
convinti tutori; solo l'ambiguità e l'indecisione di Dp fa
pensare al ruolo di utili idioti della situazione ma la politica
dell'ambiguità non paga, nemmeno a livello elettorale. La
confusione diventa però un dato di fatto tra chi vuole
abbandonare il blocco e i non pochi incazzati disposti a continuarlo
pacificamente ma pronti a rispondere a tono ad una eventuale carica.
"Munizioni non ne mancano" affermano alcuni giovani
scherzosamente, alludendo ai sassi depositati tra i binari.
Dopo circa un'ora dal blocco inizia la
lenta ritirata, delusi e coscienti che per la breve "estate
massese" è l'inizio della fine e uscendo di scena la
popolazione sarà la volta dei politicanti a entrare nel solito
ruolo di protagonisti della situazione.
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