Rivista Anarchica Online
Il teatro come vita
di Cristina Valenti
L'autonomia creativa dell'attore,
la ribellione alla preminenza registica, l'uso del corpo contro il
primato della parola, la necessità della motivazione personale
dell'interprete, l'improvvisazione e la creazione collettiva: sono
alcuni dei principali ispiratori dell'eccezionale esperienza
artistica, esistenziale e sociale del Living Theatre da oltre 40 anni
impegnato nelle strade e sui prosceni in una testimonianza di
libertà.
Il Living Theatre nasce a New York
nel 1947 dal grande sogno di due grandi visionari del teatro. Julian
Beck e Judith Malina, formatisi al pensiero anarchico sui testi dei
padri fondatori dell'anarchismo classico, e partecipi della vasta
stagione di effervescenza critica e creativa del libertarismo
culturale e filosofico statunitense, formularono la loro utopia di
teatro vivente non in subordine o in funzione del progetto politico,
ma come parte integrante di quello. Il teatro come luogo in cui
costruire la propria diversità, servire i propri ideali di
rifiuto e disobbedienza civile e praticare la trasformazione, non
solo degli statuti estetici e formali, ma anche e soprattutto delle
condizioni umane ed esistenziali del fare teatro.
Fin dagli anni americani, a partire
dagli spettacoli allestiti nell'appartamento dei Beck, poi - dal 1951
al 1963 - con quelli realizzati al Cherry Lane, al loft di One
Hundreth Street e quindi al teatro di Fourteenth Street, il Living
Theatre ha sempre lavorato al di fuori del sistema commerciale, in
condizioni di estrema difficoltà e di continua emergenza. Ma
"il teatro dell'emergenza è il teatro della
consapevolezza", scriveva Julian Beck, e la scelta della
marginalità - rispetto al sistema del teatro ufficiale, alle
sue logiche di mercato e ai suoi condizionamenti produttivi - era la
condizione necessaria per coltivare la consapevolezza della portata
globale della rottura teatrale, da realizzare al di fuori di ogni
necessità di conciliare l'estremismo del nuovo con le
abitudini di consumo vigenti.
Microsocietà anarchica
Gli spettacoli degli anni americani si
collocano nel segno di una continua volontà di superamento, e
ogni allestimento di successo rappresentò per il Living un
momento di svolta e impose nuovi orientamenti alla ricerca
successiva. Così la stagione del "teatro poetico" si
concluse nel 1952 con An Evening of Bohemian Theatre (da
Picasso, Gertrude Stein e T.S. Eliot) e l'espediente del "dramma
nel dramma" fu abbandonato dopo il successo di Tonight We
Improvise (da Pirandello), Many Loves (di William Carlos
Williams) e The Connection (di Jack Gelber),
contemporaneamente in repertorio nel 1959 al Teatro della
Quattordicesima. Nel 1963, The Brig (di Kenneth Brown), la
ricostruzione iperrealistica di una giornata in una prigione
americana per marine, segnò il rifiuto (di segno artaudiano)
di ogni illusione, inganno, o seduzione teatrale, e spostò
piuttosto la ricerca sulle fonti più autentiche della
comunicazione, sul lavoro dell'attore, "grande eroe", in
grado di "creare, produrre la vita sulla scena [...] facendo
qualunque cosa al limite della possibilità". Poi, con
l'ultima rappresentazione newyorkese dello spettacolo, nel teatro al
quale gli agenti del fisco avevano apposto i sigilli, si aprì
una fase di ulteriori e più radicali infrazioni dei confini
teatrali, che si realizzarono negli anni dell'"esilio"
europeo (scelto da Julian Beck e Judith Malina a partire dal 1964),
fra azioni di strada e free theatre, improvvisazioni e sitting
davanti a carceri o tribunali.
Il Living si trasformò, negli
anni itineranti attraverso l'Europa e in America Latina, in
microsocietà anarchica, gruppo di lavoro fondato sui principi
della solidarietà, dell'autogestione e del comunismo
libertario: piccola porzione di "territorio liberato",
nomade per il mondo, che viveva del proprio teatro senza godere di
sovvenzioni e che nel teatro aveva trovato il non-luogo dove
realizzare la propria utopia.
Sono gli anni degli spettacoli
"leggendari" del Living, che la storia del teatro
occidentale ha già consacrato come episodi cardine della
rivoluzione scenica che si è realizzata negli anni '60 e che
ha influenzato la riflessione e le pratiche teatrali delle
generazioni seguenti.
A spettacoli come Mysteries and
Smaller Pieces (1964), Frankenstein (1965) , Antigone
(1967) e Paradise Now (1968) devono infatti essere ricondotti
i principi ispiratori dei cambiamenti avvenuti nel successivo
ventennio di innovazioni teatrali: l'autonomia creativa dell'attore,
la ribellione alla preminenza registica, l'uso del corpo contro il
primato della parola, la necessità della motivazione personale
dell'interprete, l'improvvisazione e la creazione collettiva. E tali
principi, di vasta e durevole portata, e quindi non più
estirpabili in seguito dalla cultura teatrale, trovavano le loro
motivazioni originarie nel progetto globale di liberazione che
animava il gruppo e che è sempre stato alla base della sua
pratica teatrale ed esistenziale.
Dopo esserne stata profondamente
influenzata, la cultura teatrale ha decisamente rimosso, a livello
ufficiale, proprio quello che è stato il senso politico
dell'esperienza del Living, il fatto cioè che il più
radicale mutamento delle forme teatrali degli ultimi vent'anni si sia
prodotto a partire dal progetto di uomini che, attraverso il teatro,
hanno realizzato un nuovo modo di vivere in comune, che hanno risolto
la propria vita e il proprio teatro in un'unica prospettiva di
coerenza.
"Non ho scelto di lavorare nel
teatro, ma nel mondo" scriveva Julian Beck "Il teatro è
diventato la mia vita, il teatro vivente". Ora, la rimozione
operata dalla cultura ufficiale, che non manca di sottolineare
l'importanza storica del Living per censurarne l'"ingenuità"
ideologica, riguardando proprio il "lavoro nel mondo", si
applica all'inscindibilità del politico dal teatrale, che è
alla base dell'eversione artistica del gruppo. Perché è
rendendo inscindibili, ponendo in un rapporto dialettico, piuttosto
che di coincidenza, le due entità guida del teatro e della
politica, che un gruppo di teatro può fare del proprio
ambiente artistico - in quanto produttore di processi originali di
socializzazione - un universo altro nel quale mettere in pratica
principi ed ispirarsi a valori di portata generale, e dal quale
lanciare messaggi di cambiamenti praticabili.
Sperimentazione e pratica
In Italia in particolare, il lavoro del
Living Theatre "nel mondo", ossia nel sociale e nel
politico, ha attraversato per decenni, individualmente e
collettivamente, l'esperienza di tanta parte del movimento anarchico
e sovversivo. La cultura e la pratica del gruppo, pur nelle
differenze di valutazione e di comprensione, sono sempre state
considerate parte integrante della storia della militanza
rivoluzionaria ed antiautoritaria. Ma gioverà anche al
movimento anarchico riflettere sulla inscindibilità di teatro
e politica nella pratica di sovversione del Living, almeno nella
misura in cui il movimento anarchico ha compreso il Living più
nelle sue espressioni militanti che in quelle teatrali, vedendo nel
suo teatro un luogo di manifestazione della politica, uno strumento
al servizio del progetto di liberazione collettiva, piuttosto che un
luogo originale di sperimentazione e di pratica di idee e di valori.
Pensato come microcosmo - e non come
sotto cosmo e neppure come cosmo a parte rispetto all'orizzonte
generale delle dinamiche sociali e politiche - il teatro del Living
sarebbe in grado di trasmettere e amplificare le valenze eversive
della rivoluzione di cui è stato protagonista. Perché
nel microcosmo del teatro la rivoluzione del Living è stata
vincente e senza il riferimento libertario incarnato dal Living la
rivoluzione scenica di questi decenni non ci sarebbe stata, o si
sarebbe configurata assai diversamente.
Rimane da dire degli anni che seguirono
Paradise Now, del radicalizzarsi della
sovversione ideologica e formale del Living con la scelta della
strada, all'inizio degli anni '70, e quindi di un teatro che, dopo
aver rivoluzionato il proprio statuto, si negava come pratica
artistica confezionata, per farsi azione diretta, in grado di
indicare e praticare una via di trasformazione per l'uomo e per la
società. Il ciclo dell'Eredità di Caino, che si
è protratto dal 1975 al 1985 attraverso creazioni collettive
di teatro di strada, ha segnato la progressiva dissoluzione del
teatro nel sociale, la scelta del gruppo di non essere teatro
"maggiore", neppure alternativo, l'abbandono di ogni
residuo di convenzione scenica, la negazione stessa del teatro e,
ancora, la pratica itinerante del nomadismo. Si cominciò a parlare, dalla
fine degli anni Settanta, dell'inattualità del Living, del suo
attardarsi visionario su posizioni "superate" dai tempi. Ma
i tempi non avevano in realtà operato alcun sorpasso: erano
piuttosto rifluiti su loro stessi e, agli anni in cui era sembrato
che la rivoluzione artistica potesse andare di pari passo con
l'insorgenza sociale, stavano seguendo anni di ripiegamento e di
chiusura: della situazione politica, degli spazi e delle possibilità
di aggregazione.
Dal 1980 era nata una nuova produzione
di spettacoli (Masse Mensch nel 1980, The Yellow Methuselah
nel 1982 e The Archeology of Sleep nel 1983) e dal 1984, dopo
il rientro a New York, c'era il progetto di costruire un teatro dove
riunire il gruppo e garantirne la possibilità di
sopravvivenza. La straordinaria interpretazione di That time
di Beckett per il gruppo La Mama di New York è stata l'ultima
interpretazione di Julian Beck, che è morto il 14 settembre
1985. Alle pagine del Theandric Julian Beck ha continuato ad
affidare, fino alla fine, il senso della necessità etica,
ormai dolorosa, ma irriducibile del suo fare teatro: "Faccio il
mio teatro perché questa è la bellezza che offro in
risposta alla distruzione del mondo. Lo faccio perché devo
farlo". Nessun ripiegamento su produzioni di
maggiore vendibilità e di più facile accettazione da
parte del mercato teatrale, ma piuttosto, ancora, il continuo
interrogarsi sull'"azione positiva" del teatro e
dell'artista in tempi di emergenza ha accompagnato l'ultima attività
di Julian Beck, svolta in condizioni rese sempre e sempre più
precarie, da un sistema teatrale che, ovunque, si oppone alla
sopravvivenza di realtà non omologate, e da una cultura
teatrale che, essendone espressione, manifesta la propria
funzionalità attraverso la rimozione delle esperienze che al
sistema dominante sono estranee.
"In tempi di emergenza come questi
in cui viviamo" si legge nel Theandric "- cercando
vie d'uscita dalla trappola - naturalmente guardiamo all'arte come
espressione di libertà e comprendiamo che per essere veramente
utile deve prendere una posizione morale per contrastare la cultura
immorale.
Una decisa presa di posizione di natura
sociale, economica e politica per affrontare i problemi e
dissolverli, per gettare luce su questa nostra oscurità, per
aprirci gli occhi e spingerci all'azione positiva. Questa io credo è
la questione che si pone di fronte all'artista oggi". Judith Malina vive ora e lavora a New
York assieme a un piccolo nucleo di attori del Living. Gli altri
membri del gruppo, non avendo più la possibilità di
vivere in comune, sono sparsi per l'America e l'Europa, ma si
ritrovano non appena è data loro l'opportunità di
lavorare insieme. Le ultime occasioni per farlo sono state,
nell'ottobre 1986, la realizzazione del primo Living
Retrospectacle per la Cooper Union, accademia delle arti visive
di New York; nell'aprile 1987, l'allestimento di un seder
pasquale (la cena rituale ebraica) al Festival di Cultura Ebraica del
Teatro Pierlombardo di Milano; e, nel maggio scorso, la messa in
scena di Living Retrospettacolo (di cui riferiamo a parte),
risultato del lavoro seminariale di Judith Malina e di alcuni attori
del Living con un gruppo di studenti dell'Università di
Bologna nel contesto delle iniziative per il festival "Teatro e
Università".
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