Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 157
estate 1988


Rivista Anarchica Online

Il teatro come vita
di Cristina Valenti

L'autonomia creativa dell'attore, la ribellione alla preminenza registica, l'uso del corpo contro il primato della parola, la necessità della motivazione personale dell'interprete, l'improvvisazione e la creazione collettiva: sono alcuni dei principali ispiratori dell'eccezionale esperienza artistica, esistenziale e sociale del Living Theatre da oltre 40 anni impegnato nelle strade e sui prosceni in una testimonianza di libertà.

Il Living Theatre nasce a New York nel 1947 dal grande sogno di due grandi visionari del teatro. Julian Beck e Judith Malina, formatisi al pensiero anarchico sui testi dei padri fondatori dell'anarchismo classico, e partecipi della vasta stagione di effervescenza critica e creativa del libertarismo culturale e filosofico statunitense, formularono la loro utopia di teatro vivente non in subordine o in funzione del progetto politico, ma come parte integrante di quello. Il teatro come luogo in cui costruire la propria diversità, servire i propri ideali di rifiuto e disobbedienza civile e praticare la trasformazione, non solo degli statuti estetici e formali, ma anche e soprattutto delle condizioni umane ed esistenziali del fare teatro.
Fin dagli anni americani, a partire dagli spettacoli allestiti nell'appartamento dei Beck, poi - dal 1951 al 1963 - con quelli realizzati al Cherry Lane, al loft di One Hundreth Street e quindi al teatro di Fourteenth Street, il Living Theatre ha sempre lavorato al di fuori del sistema commerciale, in condizioni di estrema difficoltà e di continua emergenza. Ma "il teatro dell'emergenza è il teatro della consapevolezza", scriveva Julian Beck, e la scelta della marginalità - rispetto al sistema del teatro ufficiale, alle sue logiche di mercato e ai suoi condizionamenti produttivi - era la condizione necessaria per coltivare la consapevolezza della portata globale della rottura teatrale, da realizzare al di fuori di ogni necessità di conciliare l'estremismo del nuovo con le abitudini di consumo vigenti.

Microsocietà anarchica
Gli spettacoli degli anni americani si collocano nel segno di una continua volontà di superamento, e ogni allestimento di successo rappresentò per il Living un momento di svolta e impose nuovi orientamenti alla ricerca successiva. Così la stagione del "teatro poetico" si concluse nel 1952 con An Evening of Bohemian Theatre (da Picasso, Gertrude Stein e T.S. Eliot) e l'espediente del "dramma nel dramma" fu abbandonato dopo il successo di Tonight We Improvise (da Pirandello), Many Loves (di William Carlos Williams) e The Connection (di Jack Gelber), contemporaneamente in repertorio nel 1959 al Teatro della Quattordicesima. Nel 1963, The Brig (di Kenneth Brown), la ricostruzione iperrealistica di una giornata in una prigione americana per marine, segnò il rifiuto (di segno artaudiano) di ogni illusione, inganno, o seduzione teatrale, e spostò piuttosto la ricerca sulle fonti più autentiche della comunicazione, sul lavoro dell'attore, "grande eroe", in grado di "creare, produrre la vita sulla scena [...] facendo qualunque cosa al limite della possibilità". Poi, con l'ultima rappresentazione newyorkese dello spettacolo, nel teatro al quale gli agenti del fisco avevano apposto i sigilli, si aprì una fase di ulteriori e più radicali infrazioni dei confini teatrali, che si realizzarono negli anni dell'"esilio" europeo (scelto da Julian Beck e Judith Malina a partire dal 1964), fra azioni di strada e free theatre, improvvisazioni e sitting davanti a carceri o tribunali.
Il Living si trasformò, negli anni itineranti attraverso l'Europa e in America Latina, in microsocietà anarchica, gruppo di lavoro fondato sui principi della solidarietà, dell'autogestione e del comunismo libertario: piccola porzione di "territorio liberato", nomade per il mondo, che viveva del proprio teatro senza godere di sovvenzioni e che nel teatro aveva trovato il non-luogo dove realizzare la propria utopia.
Sono gli anni degli spettacoli "leggendari" del Living, che la storia del teatro occidentale ha già consacrato come episodi cardine della rivoluzione scenica che si è realizzata negli anni '60 e che ha influenzato la riflessione e le pratiche teatrali delle generazioni seguenti.
A spettacoli come Mysteries and Smaller Pieces (1964), Frankenstein (1965) , Antigone (1967) e Paradise Now (1968) devono infatti essere ricondotti i principi ispiratori dei cambiamenti avvenuti nel successivo ventennio di innovazioni teatrali: l'autonomia creativa dell'attore, la ribellione alla preminenza registica, l'uso del corpo contro il primato della parola, la necessità della motivazione personale dell'interprete, l'improvvisazione e la creazione collettiva. E tali principi, di vasta e durevole portata, e quindi non più estirpabili in seguito dalla cultura teatrale, trovavano le loro motivazioni originarie nel progetto globale di liberazione che animava il gruppo e che è sempre stato alla base della sua pratica teatrale ed esistenziale.
Dopo esserne stata profondamente influenzata, la cultura teatrale ha decisamente rimosso, a livello ufficiale, proprio quello che è stato il senso politico dell'esperienza del Living, il fatto cioè che il più radicale mutamento delle forme teatrali degli ultimi vent'anni si sia prodotto a partire dal progetto di uomini che, attraverso il teatro, hanno realizzato un nuovo modo di vivere in comune, che hanno risolto la propria vita e il proprio teatro in un'unica prospettiva di coerenza.
"Non ho scelto di lavorare nel teatro, ma nel mondo" scriveva Julian Beck "Il teatro è diventato la mia vita, il teatro vivente". Ora, la rimozione operata dalla cultura ufficiale, che non manca di sottolineare l'importanza storica del Living per censurarne l'"ingenuità" ideologica, riguardando proprio il "lavoro nel mondo", si applica all'inscindibilità del politico dal teatrale, che è alla base dell'eversione artistica del gruppo. Perché è rendendo inscindibili, ponendo in un rapporto dialettico, piuttosto che di coincidenza, le due entità guida del teatro e della politica, che un gruppo di teatro può fare del proprio ambiente artistico - in quanto produttore di processi originali di socializzazione - un universo altro nel quale mettere in pratica principi ed ispirarsi a valori di portata generale, e dal quale lanciare messaggi di cambiamenti praticabili.

Sperimentazione e pratica
In Italia in particolare, il lavoro del Living Theatre "nel mondo", ossia nel sociale e nel politico, ha attraversato per decenni, individualmente e collettivamente, l'esperienza di tanta parte del movimento anarchico e sovversivo. La cultura e la pratica del gruppo, pur nelle differenze di valutazione e di comprensione, sono sempre state considerate parte integrante della storia della militanza rivoluzionaria ed antiautoritaria. Ma gioverà anche al movimento anarchico riflettere sulla inscindibilità di teatro e politica nella pratica di sovversione del Living, almeno nella misura in cui il movimento anarchico ha compreso il Living più nelle sue espressioni militanti che in quelle teatrali, vedendo nel suo teatro un luogo di manifestazione della politica, uno strumento al servizio del progetto di liberazione collettiva, piuttosto che un luogo originale di sperimentazione e di pratica di idee e di valori.
Pensato come microcosmo - e non come sotto cosmo e neppure come cosmo a parte rispetto all'orizzonte generale delle dinamiche sociali e politiche - il teatro del Living sarebbe in grado di trasmettere e amplificare le valenze eversive della rivoluzione di cui è stato protagonista. Perché nel microcosmo del teatro la rivoluzione del Living è stata vincente e senza il riferimento libertario incarnato dal Living la rivoluzione scenica di questi decenni non ci sarebbe stata, o si sarebbe configurata assai diversamente.
Rimane da dire degli anni che seguirono Paradise Now, del radicalizzarsi della sovversione ideologica e formale del Living con la scelta della strada, all'inizio degli anni '70, e quindi di un teatro che, dopo aver rivoluzionato il proprio statuto, si negava come pratica artistica confezionata, per farsi azione diretta, in grado di indicare e praticare una via di trasformazione per l'uomo e per la società. Il ciclo dell'Eredità di Caino, che si è protratto dal 1975 al 1985 attraverso creazioni collettive di teatro di strada, ha segnato la progressiva dissoluzione del teatro nel sociale, la scelta del gruppo di non essere teatro "maggiore", neppure alternativo, l'abbandono di ogni residuo di convenzione scenica, la negazione stessa del teatro e, ancora, la pratica itinerante del nomadismo.
Si cominciò a parlare, dalla fine degli anni Settanta, dell'inattualità del Living, del suo attardarsi visionario su posizioni "superate" dai tempi. Ma i tempi non avevano in realtà operato alcun sorpasso: erano piuttosto rifluiti su loro stessi e, agli anni in cui era sembrato che la rivoluzione artistica potesse andare di pari passo con l'insorgenza sociale, stavano seguendo anni di ripiegamento e di chiusura: della situazione politica, degli spazi e delle possibilità di aggregazione.
Dal 1980 era nata una nuova produzione di spettacoli (Masse Mensch nel 1980, The Yellow Methuselah nel 1982 e The Archeology of Sleep nel 1983) e dal 1984, dopo il rientro a New York, c'era il progetto di costruire un teatro dove riunire il gruppo e garantirne la possibilità di sopravvivenza. La straordinaria interpretazione di That time di Beckett per il gruppo La Mama di New York è stata l'ultima interpretazione di Julian Beck, che è morto il 14 settembre 1985. Alle pagine del Theandric Julian Beck ha continuato ad affidare, fino alla fine, il senso della necessità etica, ormai dolorosa, ma irriducibile del suo fare teatro: "Faccio il mio teatro perché questa è la bellezza che offro in risposta alla distruzione del mondo. Lo faccio perché devo farlo".
Nessun ripiegamento su produzioni di maggiore vendibilità e di più facile accettazione da parte del mercato teatrale, ma piuttosto, ancora, il continuo interrogarsi sull'"azione positiva" del teatro e dell'artista in tempi di emergenza ha accompagnato l'ultima attività di Julian Beck, svolta in condizioni rese sempre e sempre più precarie, da un sistema teatrale che, ovunque, si oppone alla sopravvivenza di realtà non omologate, e da una cultura teatrale che, essendone espressione, manifesta la propria funzionalità attraverso la rimozione delle esperienze che al sistema dominante sono estranee.
"In tempi di emergenza come questi in cui viviamo" si legge nel Theandric "- cercando vie d'uscita dalla trappola - naturalmente guardiamo all'arte come espressione di libertà e comprendiamo che per essere veramente utile deve prendere una posizione morale per contrastare la cultura immorale.
Una decisa presa di posizione di natura sociale, economica e politica per affrontare i problemi e dissolverli, per gettare luce su questa nostra oscurità, per aprirci gli occhi e spingerci all'azione positiva. Questa io credo è la questione che si pone di fronte all'artista oggi".
Judith Malina vive ora e lavora a New York assieme a un piccolo nucleo di attori del Living. Gli altri membri del gruppo, non avendo più la possibilità di vivere in comune, sono sparsi per l'America e l'Europa, ma si ritrovano non appena è data loro l'opportunità di lavorare insieme. Le ultime occasioni per farlo sono state, nell'ottobre 1986, la realizzazione del primo Living Retrospectacle per la Cooper Union, accademia delle arti visive di New York; nell'aprile 1987, l'allestimento di un seder pasquale (la cena rituale ebraica) al Festival di Cultura Ebraica del Teatro Pierlombardo di Milano; e, nel maggio scorso, la messa in scena di Living Retrospettacolo (di cui riferiamo a parte), risultato del lavoro seminariale di Judith Malina e di alcuni attori del Living con un gruppo di studenti dell'Università di Bologna nel contesto delle iniziative per il festival "Teatro e Università".