Rivista Anarchica Online
L'anarchico defenestrato
di Paolo Finzi
Dall'infanzia nel popolare
quartiere Ticinese alla partecipazione quale giovanissima staffetta
alla Resistenza, l'impegno nel movimento anarchico, il lavoro nelle
ferrovie, la costruzione di una famiglia, l'entusiasmo nella
propaganda anarchica e nella solidarietà con le vittime della
repressione.
Avrebbe 60 anni: era nato nel popolare
quartiere di Porta Ticinese nel 1928. Sarebbe nonno: una delle sue
adorate figlie è già mamma, anche l'altra è già
sposata. Ma la storia, si sa, non si può mai scrivere al
condizionale. Tanto meno con i "se".
Eppure io ho l'intima convinzione -
indimostrabile, certo - che se fosse ancora qui, sarebbe
ancora "nel giro". Sarebbe ancora attivo nel nostro
movimento: a fare che cosa, non importa. Diciannove anni sono tanti,
e in questi 19 anni quanta gente - che pure è stata attiva ed
entusiasta, o almeno lo pareva - è scomparsa alla fine nel
nulla, si è svaccata, sistemata, allontanata. Quante cose sono
successe, quante speranze sono appassite, quante facce sono comparse
e scomparse in questi 19 anni!
Ma chi ha conosciuto Pino difficilmente
potrebbe immaginarselo diverso da quello che era negli ultimi anni
della sua vita - in quegli anni '60 che, ancor prima del '68, avevano
visto una progressiva crescita del movimento anarchico a Milano.
Niente di travolgente, d'accordo. Eppure, affianco dei compagni
vecchi e di mezza età - molti dei quali passati attraverso
l'esperienza della Resistenza e poi ritrovatisi intorno al giornale
Il libertario ed al suo redattore Mario Mantovani - si era
affacciata una manciata di giovani, con i quali Pino - di almeno un
decennio più vecchio di loro - aveva subito legato.
Lui che, finite le elementari, aveva
dovuto andare a lavorare, prima come garzone, poi come magazziniere,
aveva però colmato le lacune della mancata istruzione
scolastica con la lettura di centinaia e centinaia di libri,
ammirevole esempio di autodidatta.
E poi, nel '44/'45, men che
diciottenne, aveva partecipato alla Resistenza come staffetta
partigiana, in uno dei vari raggruppamenti anarchici che operarono
efficacemente dentro e intorno alla metropoli lombarda. Poi la
Liberazione, l'entusiasmo per la ritrovata libertà, il rapido
gonfiarsi delle fila libertarie con l'afflusso di tanti giovani.
Tempo qualche anno e l'euforia del dopoguerra è solo un
ricordo: il riflusso dell'ondata rivoluzionaria post-bellica
"sgonfia" il movimento anarchico. Pino è tra i non
molti giovani a rimanere, convinto ed attivo.
Nel '54, vinto un concorso, entra nelle
Ferrovie come manovratore. L'anno successivo si sposa con Licia
Rognini, incontrata ad un corso di esperanto.
Il circolo seconda casa
Nel '63 si unisce ai giovani anarchici
della gioventù Libertaria, due anni dopo è tra i
fondatori del circolo "Sacco e Vanzetti" - finalmente una
sede anarchica, dopo che per un decennio i compagni erano "costretti"
a chiedere ospitalità ai repubblicani o ad altri. Nel '68,
dopo che lo sfratto costringe alla chiusura il "Sacco e
Vanzetti", il 1° maggio (pochi giorni prima che scoppi... il
Maggio) si inaugura un nuovo circolo, in piazzale Lugano 31, a pochi
metri dal ponte della Ghisolfa.
Il clima sociale è surriscaldato
e tale rimarrà anche per tutto l'anno successivo. Al circolo
si succedono cicli di conferenze, riunioni di studenti, assemblee. Vi
si riuniscono alcuni dei primi comitati unitari di base, i "mitici"
CUB che segnarono la prima ondata, in quegli anni, di sindacalismo di
azione diretta, al di fuori delle organizzazioni sindacali ufficiali.
Pino è tra i promotori della (ri)costituzione della sezione
dell'unione Sindacale Italiana (USI), l'organizzazione di ispirazione
sindacalista-rivoluzionaria e libertaria.
Il circolo diventa per Pino la seconda
casa (a volte la prima, si lamenta Licia, che lo vede sempre meno). È
lui a promuovere l'organizzazione della biblioteca (e poi, dopo tante
arrabbiature, a mettere i lucchetti agli armadi per farla finita con
la "scomparsa" dei libri - tutti con la loro copertina
nera, tutti schedati ed ordinati). Alla domenica mattina, quando nel
circolo si ritrovano i "vecchi" (e qualcuno lo era davvero:
90 anni, ed anche di più), Pino c'era quasi sempre: lui che
era il più vecchio - con Cesare - tra i giovani, ma certamente
un giovane tra quei vecchi spesso attivi prima del fascismo, prima
cioè che lui fosse nato.
Ma questa volta era diverso
Negli ultimi mesi della sua vita, poi,
Pino è particolarmente coinvolto dalle attività
connesse con gli arresti dei vari anarchici accusati delle bombe
esplose il 25 aprile '69 a Milano, alla Stazione Centrale ed alla
Fiera Campionaria. Ai compagni detenuti a San Vittore (saranno poi
assolti nel giugno '71, dopo aver trascorso - alcuni di loro - 26
mesi di carcere) Pinelli assicura l'invio di soldi raccolti tra
compagni ed amici, fa arrivare pacchi di cibo, vestiario e libri che
lui stesso porta alla portineria del carcere. Nell'ambito della
appena costituita Crocenera Anarchica, si impegna nella costruzione
di una rete di solidarietà e di controinformazione, che possa
servire anche in altri casi simili.
Quando, verso le 7 di sera del 12
dicembre, Calabresi e gli altri dell'ufficio politico piombano nella
seconda sede anarchica milanese - in fondo al secondo cortile di via
Scaldasole 5, nel cuore del quartiere Ticinese - Pinelli è
appena arrivato per lavorare un po', con un altro compagno, alla
sistemazione dei locali, in vista della prossima inaugurazione.
Pinelli viene invitato a seguire i
poliziotti in questura, anzi a precederli sul suo motorino. C'era già
stato tante volte, in via Fatebenefratelli: conosceva bene le regole
del gioco, interrogatori, lusinghe e minacce, richieste di nomi,
indirizzi, informazioni. Ma questa volta era diverso.
Tre giorni dopo, il corpo di Pino
veniva scaraventato giù dalla finestra di una stanza
dell'ufficio politico, al quarto piano della questura. Era la fine di
una vita, l'inizio di una tragica farsa, tuttora in corso.
Pino? In prima persona, come al
solito
Nel 1982 il giornalista Piero
Scaramucci ha pubblicato sotto forma di libro (A. Mondadori Editore)
una sua lunga intervista con Licia Rognini, la moglie di Pinelli.
Titolo: "Licia Pinelli. Una storia quasi soltanto mia". Ne
riportiamo un breve stralcio, relativo al periodo '67/'68. Il
congresso svoltosi a Carrara, cui si fa rifermento è il
Congresso dell'Internazionale delle Federazioni Anarchiche (Agosto
'68), al quale parteciparono centinaia di compagni provenienti da
decine di Paesi (tra i più lontani: Giappone, Messico, Svezia,
ecc.).
Licia. Sto pensando al 1967. Gli
anarchici avevano fatto il campeggio, non mi ricordo dove. Io sono
andata invece a Senigallia con bambine, madre, fratelli, cognate e
nipoti. Figurati! il campeggio. C'erano
talmente tante zanzare che persino Pino, che non lo toccavano mai, è
venuto giù tutto tappezzato di punture! Campeggio, figurati... E poi hanno fatto il nudismo. Le
risate quando Pino me l'ha raccontato! Si era divertito moltissimo,
queste cose nuove per un quarantenne. Gli dicevo:" Se ti metti
di profilo hai la pancetta e nudo non puoi stare". Faceva la spola. Ha lavorato tutto
quel periodo: pomeriggio, mattina e notte. Appena libero andava al
campeggio. Poi tornava a Milano: pomeriggio, mattina e notte. Altri
due giorni liberi e veniva a Senigallia. Meno male che non pagava il
treno. Comunque non faceva in tempo ad arrivare che cascava dal
sonno. È stato un anno divertente, con questa storia del nudismo e con la
baraonda di Senigallia,
sono venuti a trovarci tutti i miei parenti. Siamo rimaste al mare
più del solito, un mese e mezzo, eravamo in tanti e si
divideva la spesa della casa. È
stato l'anno che sono diventata nerissima. E poi Pino che veniva giù
e mi raccontava le storie del campeggio, ma non aveva osato dirmi del
nudismo. Poi quando sono arrivati a Milano tutti gli amici è
venuta fuori la faccenda del nudismo, c'è rimasto così
male perché mi sono divertita da morire. Un'educazione
puritana anche la sua non solo la mia. Mi chiedeva se ero gelosa!
Figurati!
Un corpo ne vale un altro, è il resto che conta. E
poi il '68, con il congresso anarchico, tutto un gran daffare. Quell'anno
Pino aveva prestato la casa. Una famiglia francese e lui gli aveva
prestato la mia casa per quindici giorni. Così nel '69 gli ho
detto: adesso ti frego io, non vado in campagna. E siamo rimasti
tutti a Milano. Una
persona che non riusciva a tenere nascosto niente. Il prestito della
casa aveva cercato di nascondermelo in tutti i modi, facendo le
pulizie di fino che non ti dico. Una casa lucida, mai avuta in vita
mia una casa così lucida. Poi una parola via l'altra e gli ho
tirato fuori tutto.
Piero.
Eri
andata anche tu al congresso?
Licia.
Io ero a Marina di Carrara
al mare. A Carrara sono andata a salutare tutti quelli che conoscevo.
Questi vecchi anarchici con una militanza sulle spalle, che hanno
sempre pagato di persona, coerenti con le loro idee
durante il fascismo,
la guerra di Spagna, la Resistenza. E il
trait d'union che faceva Pino tra loro e i giovani, le nuove leve,
insofferenti, convinte di sapere tutto. Che l'esperienza degli altri
non serve. E lui, mezza età, teneva il collegamento. Così
era sempre là. Tant'è vero che siamo tornate a Milano
da sole. E non gliel'ho perdonato per molto tempo, te l'ho detto: una
donna molto viziata pretende di essere viziata sempre. Ma
come mi era piaciuto quell'anno! In tutti i sensi sì, mi era
piaciuto molto. Quell'anno che poi uno riassume sempre nelle vacanze.
Piero.
Ma
l'esplosione nelle scuole, gli studenti, quello che si dice il '68?
Licia.
Io l'ho vissuta sempre
di riflesso, cioè con quegli studenti che venivano per casa,
mi raccontavano, mi spiegavano.
Piero. E
Pino?
Licia.
Lui in prima persona come
al solito.
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