Rivista Anarchica Online
"Una sicura matrice anarchica"
di Sergio Ardau
Fermato con Pinelli nel circolo
anarchico di via Scaldasole poche ore dopo l'attentato di piazza
Fontana, Sergio Ardau venne subito informato da Calabresi che la
colpa era sicuramente degli anarchici. E si sentì porre molte
domande su "quel pazzo di Valpreda". Poi, una volta arrivati in
Questura...
Verso le ore 16.30, di venerdì
12 dicembre, l'interno della Banca dell'Agricoltura di Piazza
Fontana, a Milano, viene sconvolto da una spaventosa esplosione. Agli
occhi di coloro che accorrono, si presenta uno spettacolo
terrificante: brani di corpi umani straziati, sparsi un po'
dappertutto, in un lago di sangue, fra cumuli di macerie. Il primo
bilancio è di 14 morti ed un numero impressionante di feriti,
più o meno gravi. Mentre le autoambulanze vanno e vengono,
senza sosta, si fanno le prime congetture sulla sciagura: in un primo
momento, circola la voce che siano esplose le caldaie del
riscaldamento, poi subito dopo si manifesta, senza più ombra
di dubbio, l'atroce realtà: si è trattato di un
attentato, una bomba collocata all'interno della banca ha provocato
la strage, seminando la morte, fra quanti ignari della terribile
minaccia in agguato, si trovavano sul posto.
Poche ore dopo, polizia e carabinieri
si scatenano in una forsennata caccia all'anarchico. Il sottoscritto,
quel giorno, si trovava all'interno del nuovo circolo anarchico di
via Scaldasole 5, recentemente aperto, quando, verso le 19 circa,
irrompe nel medesimo la squadra politica al completo, che si mette
immediatamente "al lavoro", buttando tutto all'aria,
frugando mobili e rovesciando cassetti, senza come al solito trovare
alcunché, salvo ciclostilati, giornali, manifestini ed altri
stampati, dei quali in mancanza d'altro, viene fatto abbondante
saccheggio. Alle proposte del sottoscritto, circa la mancata
esibizione di un regolare mandato di perquisizione, si risponde, con
seccata sufficienza, che "non è necessario, stato di
emergenza"(?). Il sottoscritto viene "cortesemente"
invitato "a favorire in questura" al seguito dei succitati
messeri, onde fare una chiacchierata con il "dottore". Sono
presenti il Dr. Calabresi, il Dr. Zagari, il brig. Panessa ed altri
ancora di cui non conosco il nome. In quel momento, mentre il
sottoscritto si accinge a chiudere il locale, giunge il compagno
Pinelli, al quale viene immediatamente esteso l'invito a "favorire"
anche lui al solito posto.
Ci assicurano che non credono
assolutamente che noi due si possa essere implicati in qual si voglia
maniera negli attentati di poche ore fa, sanno benissimo che siamo
due brave persone, non hanno intenzione alcuna di fermarci, né
tantomeno di arrestarci, vogliono solamente avere con noi "un
amichevole e leale scambio di vedute". Stranamente mi trovo
sottobraccio (sarà una dimostrazione d'affetto?), piuttosto
saldamente direi, da due poliziotti, che mi "aiutano" a
salire su una 850 Fiat blu, dove mi ritrovo ben stretto fra il brig.
Panessa ed il dr. Zagari, mentre il dr. Calabresi prende posto
accanto all'autista. Gli altri poliziotti rimangono appostati nei
pressi, in speranzosa attesa di qualche altro incauto pellegrino.
"Quel pazzo di Valpreda"
Pinelli che è venuto con il suo
motociclo, segue a bordo dello stesso, noialtri in macchina, alla
volta della questura centrale. Durante il tragitto, sia il dr.
Calabresi, che il brig. Panessa, suo solerte scudiero (novelli
Donchisciotte e Sancho Panza!), mi parlano indignati di "una
sicura matrice anarchica negli attentati", "di certi pazzi
criminali che si sono infiltrati tra noi, tra cui il Valpreda"(?);
a proposito del Valpreda mi chiedono se ultimamente l'ho visto e se
frequenta il circolo. Tornano a ripetere "voialtri siete due
bravi ragazzi (Pino ed io), ma dovete riconoscere che tipi loschi
come quel pazzo di Valpreda, con il suo codazzo di ragazzini (Aniello
D'Errico, Leonardo Claps, conosciuti come Cap e Steven, più gli
altri), con la loro esaltazione criminale (?) ci costringono a
prendere seri provvedimenti che si ritorcono anche contro di voi,
poiché ora non possiamo più tollerare ciò che in
passato abbiamo fin troppo tollerato (?!), dovete rendervi conto che
ora ci sono stati quattordici morti e non venitemi a raccontare, tu o
altri, che sono stati i fascisti, questa è roba da anarchici,
non c'è ombra di dubbio (beato lui!) e voi dovete aiutarci a
trovarli e fermarli prima che possano uccidere ancora, perché
sono delle belve assetate di sangue. La vostra propaganda anarchica,
anche se voi di una certa età, la fate in buona fede, da
filosofi idealisti, come te e Pinelli (???!!!) può generare in
mani esaltate, l'odio e la violenza ed ecco quanto è successo,
il frutto inumano di quello che avete seminato e di cui siete anche
voi (Pino ed io), se non forse materialmente, credo però che
non c'entriate (bontà sua), sicuramente moralmente
responsabili, a meno che non collaboriate con noi per assicurare alla
giustizia quei mostri!".
Alla mia domanda sul chi è o chi
sono, a suo parere " i mostri", mi risponde che ancora non
sono del tutto sicuri, comunque di certo c'è che sono stati
gli anarchici e che sarebbero "ben curiosi di sapere dove si è
cacciato il Valpreda, che nelle dimostrazioni gridava bombe, sangue,
anarchia!".
Finalmente arriviamo in questura e,
giunti al quarto piano (sez. politica) abbiamo la sorpresa di
ritrovarci noi due soli, in uno stanzone pieno di poliziotti, ci
fanno sedere uno di fronte all'altro, ad una certa distanza, con un
agente seduto fra noi. Calabresi comunica a Pino che è stata
fatta una perquisizione a casa sua, Pino risponde sorridendo che come
al solito non hanno trovato nulla. Calabresi e gli altri, fra cui
Panessa, si rivolgono a me, chiamandomi sarcasticamente con il solito
titolo: "il malfattore" e sia io che Pino, ci mettiamo a
ridere.
Dottori e brigadieri si ritirano nei
loro covi a cogitare, dato che per il momento, dicono, non hanno
tempo di occuparsi di noi. Freneticamente il folto nugolo di agenti,
a gruppetti di quattro, cinque per volta, dopo essere entrati ed
usciti dall'ufficio di Calabresi, con un foglio in mano e dopo aver
consultato la carta topografica della città, appena alle mie
spalle, escono di volata, dallo stanzone, chiamando a gran voce gli
autisti.
Sento fare un sacco di nomi, ogni tanto
sento il nome di questo o quel compagno e posso immaginare che stanno
andando ad "invitare" anche loro a "favorire". Lo
stanzone si svuota, restiamo solo noi due, oltre al nostro angelo
custode. Pino mi strizza l'occhio e dice: "mi sa che si tratta
di un invito piuttosto lungo, peccato che siamo solo noi due se no,
si potrebbe fare un po' di baldoria", rispondo che presto saremo
in folta compagnia; il poliziotto protesta e si agita, dicendo che
non possiamo comunicare tra di noi.
Colloqui confidenziali
Passano delle ore, lunghe e monotone,
Pino ogni tanto alza la testa (sta facendo dei disegni su dei
foglietti di carta che arraffa sui tavoli vicini) e mi strizza
l'occhio sorridendo. Arriva un altro poliziotto, molto meno
"formale", che dà il cambio all'altro e si mette
dapprima a chiacchierare con me, sulla Sardegna e poi con Pino, sul
modo di cucinare le anitre selvatiche, le lepri e la selvaggina in
genere. Pino discute molto interessato e altre ore passano più
in fretta. È quasi mezzanotte, cominciano ad arrivare i primi
scaglioni di fermati. I compagni anarchici arrivano a frotte, giovani
e vecchi assieme agli m.l. (marxisti-leninisti) di tutte le linee e
gruppi. Lo stanzone è ben presto pieno, non tutti possono
accomodarsi, le altre stanze sono piene anch'esse. Ci scambiamo, fra
compagni, le prime impressioni.
Viene interrogato Pino, a lungo, poi è
la mia volta, seguito a ruota dagli altri. Ci richiamano più
volte, Pino ed io, per interrogarci di nuovo e, cosa molto strana, a
seguito degli interrogatori, sia miei che di Pino, stendono un sacco
di verbali molto generici, circa i nostri movimenti del pomeriggio e
ogni volta non si curano di farceli firmare (e fino a sabato mattina,
sia io che Pino, non abbiamo firmato, non essendone stati richiesti,
alcun verbale).
Nei "colloqui confidenziali"
(così hanno definito gli interrogatori) Panessa e Zagari
continuano a dirci che non credono assolutamente che Pino ed io
abbiamo a che fare con gli attentati, ma che "fra noi" ci
sono dei "pazzi criminali" (e dagli !) e dobbiamo aiutarli
a fermarli, prima che colpiscano ancora, mi chiedono con petulante
insistenza, notizie sul "pazzo" Valpreda (se ho idea di
dove si trovi, che rapporti ho avuto con lui e che rapporti penso
intercorrano tra lui e Pino). Mi chiedono inoltre di G..., F..., di
un certo C... "pazzo" anche lui e di un certo U... R...,
che non ho mai sentito nominare prima (mi fanno capire che gli
attribuiscono molta importanza, poi verrò a sapere che si
trova a S. Vittore, non so bene perché). Alludono anche ad Ivo
Della Savia e ad una centrale del terrorismo anarchico a Bruxelles,
dove è a loro conoscenza che il suddetto si sia rifugiato.
Hanno accanto alla scrivania, una borsa di pelle o similpelle, nera,
il Dr. Zagari la apre e ne tira fuori un sacchettino di cellophane,
contenente dei frammenti metallici di colore argenteo ed un
dischetto, che mi fa vedere invitandomi a prenderlo in mano, al che
io decisamente rifiuto (boh??!); un po' seccato, il funzionario
rimette il tutto nella borsa e riporta la stessa al suo posto.
Finito l'interrogatorio, mi ritrovo in
mezzo alla babele del famigerato stanzone. Domando a Pino come è
andata per lui e scopriamo che ci hanno chiesto le medesime cose,
ovvero notizie sul "pazzo" Valpreda e Pino pensa che fra
poco, dovrebbero mandarci a casa.
Ride e scherza
Viene introdotto uno sparuto drappello
di "estremisti di destra", visibilmente spaesato in mezzo a
tanti "sinistri". Qualcuno di loro protesta per "l'inaudito
affronto", di confondere dei "galantuomini" come loro
con "certa gente": segue risata generale.
Un vecchietto, il compagno D.L., del
"Sacco e Vanzetti", mostra agli agenti un foglio attestante
il bisogno di ricovero urgente in ospedale: gli viene risposto in
malo modo di stare zitto. Si sono fatte le nove di mattina, il salone
si è quasi completamente svuotato e ci ritroviamo accanto io e
Pino, e ci scambiamo qualche facezia.
Pino, sempre del solito umore, ride e
scherza, dice che ora dovrebbero lasciarci andare e che non vede
l'ora di farsi una bella dormita, poiché sono due giorni che
non dorme. Alle dieci circa, le nostre strade si dividono: arriva un
agente e mi dice di andare giù con lui, mentre Pino viene
nuovamente chiamato, per un ennesimo interrogatorio. Ci salutiamo e
mi dice, credendo che io venga rimesso in libertà, di
aspettarlo giù nella strada, fuori dalla questura, che
dovrebbero mandare fuori anche lui.
Purtroppo, quella è stata
l'ultima volta che ci siamo visti, perché io, giunto dabbasso,
mi sono ritrovato assieme ad altri compagni, in camera di sicurezza
(il compagno D.L., invitato anche lui, che reclamava per il mancato
ricovero in ospedale, ad accomodarsi per cinque minuti in camera di
sicurezza, rispose che l'ultima volta che lo fecero entrare in cella,
dicendogli trattarsi di cinque minuti, ci vollero degli anni, per
venirne fuori!), dalla quale sono uscito la notte di sabato, per
prendere la strada di S. Vittore, mentre Pino si è trovato a
dovere prendere, non so fino a che punto di sua volontà (ho i
miei dubbi), la strada di una finestra al quarto piano, che lo ha
portato a schiantarsi, nel pieno vigore della sua vita, nel
sottostante squallido cortile della questura centrale.
Basse e ignobili accuse
Certa gente che troppo bene conosciamo,
non contenta di avere, col suo comportamento ed i suoi metodi, fin
troppo noti anch'essi, stroncato la vita serena e laboriosa del
nostro compagno, cerca ora di infierire su di lui, anche dopo la sua
misteriosa morte, mettendo in opera tutte le insinuazioni e gli
artifici di cui è capace, uniche arti in cui ha una non certo
invidiabile bravura, al fine di infangare anche il nome onesto e
intemerato di Giuseppe Pinelli.
Chi, come me, ha avuto modo di
conoscerlo personalmente ed ha potuto constatare ed apprezzare la sua
modestia, la sua generosità verso chiunque avesse bisogno di
lui, il suo carattere franco e leale, alieno da ogni animosità
e da ogni forma di violenza, foss'anche verbale, sente il dovere di
difenderlo dalle basse ed ignobili accuse di quanti approfittano del
fatto che egli non può più parlare in sua difesa, per
lanciare contro di lui insulti bavosi, il cui scopo, probabilmente, è
quello di coprire la propria finta o reale incapacità, a
scoprire i veri responsabili della mostruosa strage di Piazza
Fontana, dei quali egli è, assieme alle altre, una vittima
innocente, poiché tali belve sono ancora in circolazione, a
dispetto di tanti roboanti e trionfanti comunicati, di certi
autorevoli personaggi, con relativo vociante e schiamazzante codazzo
di certa stampa di "informazione".
Gli sputi, gettati in alto, come dice
il noto proverbio, finiscono sempre per ricadere addosso a chi li ha
lanciati.
(Pubblicata
nel volume Le bombe dei Padroni, a cura di
Crocenera Anarchica.
Biblioteca
delle collane "Anteo" e "La Rivolta" n. 3. Ragusa
1970)
|