Rivista Anarchica Online
Occhio ai trabocchetti
Gentile redazione,
ho letto con grande interesse la
lettera di Salvo Vaccaro sull'ultimo numero si "A", una
lettera ricca di punti stimolanti che tuttavia mi permetto di non
condividere. Propongo allora alcune considerazioni, seguendo per
chiarezza l'ordine di quelle esposte da Vaccaro sulla questione
mediorientale.
È
vero che la questione non è una semplice contrapposizione tra
lo Stato di Israele e quello futuro dell'OLP: è infatti un
problema che riguarda, più radicalmente, lo scontro tra una
concezione ed una pratica di democrazia (formale, borghese quanto si
vuole), rispettosa del pluralismo e delle più elementari
libertà del cittadino, nonostante momenti di involuzione
dettati da circostanze del tutto particolari (come quelle odierne),
ed una concezione ed una pratica totalitaria, come i paesi arabi e la
stessa OLP hanno manifestato e manifestano con chiarezza che può
sfuggire solo ai faziosi e ai totalitari di ogni colore. È
un problema essenziale soprattutto per gli anarchici, molti dei quali
infatti non abboccano al trabocchetto del terzomondismo superficiale
e provinciale che invece sembra aver conquistato gran parte della
sinistra europea, soprattutto quella marxista.
Le istanze libertarie crescono e si
radicano là dove c'è un tessuto democratico; la storia
lo ha insegnato e qui valgono le affermazioni di Bookchin: nonostante
tutto, gli Stati Uniti (per fare l'esempio più significativo)
sono ancor oggi il paese più libero del mondo e per questo il
background storico e sociale più favorevole alle
esperienze libertarie. Per fare l'esempio inverso, possiamo
dimenticare la fine che hanno fatto gli anarchici nel contesto
totalitario creato dalla "rivoluzione" bolscevica? A questo
proposito la lezione della Arendt in Sulla rivoluzione appare
fondamentale.
Ecco perché la condanna della
politica e dello Stato di Israele appare francamente rispondente più
ad una formula, secondo la quale lo Stato è sempre negativo,
frutto della violenza e della prepotenza perpetrata sulle
popolazioni, che alla libera volontà dei popoli e alla
dinamica storica rivolta alla liberazione. Anche qui qualche esempio
è indispensabile: la rivoluzione americana che fondò
gli Stati Uniti non fu un atto popolare di liberazione dalla tirannia
inglese? Lo stesso Stato di Israele non fu il risultato della volontà
delle masse ebraiche dell'Europa orientale che abbracciarono il
sionismo ed imposero allo stesso Herzl la soluzione della Palestina
come patria nazionale ebraica? Certo si potrebbe obiettare che
quest'ultima soluzione si risolse nella diaspora palestinese, ma, se
si riconsidera la storia, non furono preponderanti le responsabilità
dei dirigenti arabi che, sulla pelle dei palestinesi, rifiutarono
qualsiasi compromesso con il sionismo per un puro e semplice odio
antiebraico e antioccidentale? Cioè, non furono preponderanti
concezioni fanatiche, totalitarie, fondamentalmente razziste che si
sono perpetuate fino ad oggi e che rappresentano l'ideologia di fondo
dei regimi arabi dittatoriali, feudali, medievali?
Se questo ragionamento ha un
fondamento, per quale motivo dobbiamo semplicisticamente concludere
che l'assenza di democrazia (per non dire di istanze libertarie) nel
mondo arabo, nella sua storia, non può che giustificare in fin
dei conti la violenza, il terrorismo, il razzismo antiebraico, e così
via? Non si possono sottacere le immense responsabilità
storiche delle classi dirigenti arabe nell'alimentare, diffondere e
radicare fino al parossismo l'antisemitismo (che storicamente vuol
dire antiebraismo) dei propri sudditi. Forse è il caso di
ricordare come, alla fine della guerra, il fior fiore dei criminali
di guerra nazisti furono ospitati ed utilizzati nei paesi arabi in
funzione antiisraeliana.
Lo sforzo degli anarchici deve essere,
dunque, quello di riconsiderare la funzione dello Stato storicamente,
quasi caso per caso, non per giustificare ma per comprendere, per
stabilire i necessari raffronti; altrimenti le formule, gli odiosi e
terribili dogmatismi finiranno per obnubilare la ragione: il passo
per giungere al totalitarismo è breve.
È
probabile che io abbia in odio le ideologie e finisca per essere un
pragmatico, ma, se pragmatismo vuol dire considerazione della storia,
che non ha mai risposte a formule preconfezionate ed ha sempre rotto
tutte le gabbie interpretative semplicistiche e schematiche (e perciò
enormemente pericoloso), allora il pragmatismo (cioè una
concezione "libertaria" del processo storico) può
far fare passi da gigante all'anarchismo. Così, se uno Stato
difende la vita dei suoi cittadini dalle costanti minacce di
distruzione (come nel caso di Israele da parte dei paesi arabi da 40
anni a questa parte), se cioè difende un diritto di libertà
elementare (la sopravvivenza), perché ce ne scandalizziamo?
Può essere considerato un pretesto per l'espansionismo,
l'imperialismo e tutte gli altri "ismi" che abbondano nella
culinaria marxista?
Ancora, affermare che la nascita di
Israele non fu frutto di un processo storico ma di un artificio mi
sembra francamente grottesco. Certo, la decisione dell'ONU creò
giuridicamente Israele nel novembre del 1947, ma l'impulso storico
nacque con il sionismo alla fine dell'800, si alimentò degli
inenarrabili sacrifici di grandi masse di ebrei dell'Europa orientale
che colonizzarono nel tempo grandi plaghe improduttive della
Palestina e lì si radicarono, creando istituzioni,
un'economia, una società civile, un tessuto democratico ed
egualitario (proprio così, egualitario) in una regione immersa
nel medioevo più tetro, nello sfruttamento più abietto,
nella miseria più disumana.
Fu questo un processo storico o no? E
se no, quali sono i veri processi storici, quelli che portano alla
sconfitta ed al disfacimento invece che al successo? A ben vedere,
forse è proprio questa la vera "colpa" che non si
riesce a perdonare agli ebrei: di avere avuto successo nel costruire
uno Stato dopo venti secoli appena di persecuzioni.
La nostra suscettibilità è
stata ferita da questo evento così inusuale, noi che eravamo
abituati a considerare il popolo ebraico come un popolo sotto tutela
perché "minore". Poi il nostro orgoglio è
stato mortalmente colpito dagli eventi della guerra del '67: gli
israeliani, provocati, minacciati accerchiati, hanno reagito,
dimostrando straordinarie capacità belliche, annichilendo in
poche ore un avversario armato in modo sofisticato dall'Unione
Sovietica. Pazzesco! Come hanno osato? E qui è scattata nella
sinistra italiana la reazione acriticamente terzomondista, una
reazione che prescindeva da qualsiasi considerazione di merito: il
confronto tra democrazie e dittature medievali, l'appoggio della
patria del radioso socialismo a regimi feudali ed abietti, i metodi
terroristici dell'OLP, sempre blandamente denunciati e nella sostanza
accettati e giustificati come sistemi di lotta disperati di un popolo
disperato: e si dava giustificazione così alle atrocità
più vergognose, all'antisemitismo più rozzo e volgare
degli arabi, alla volontà di sterminio da parte degli arabi.
Qual è la soluzione del problema
mediorientale?
Vaccaro diffida delle soluzioni
diplomatiche, chiudendo ancora una volta gli occhi di fronte ad una
realtà storica. Eppure, storicamente la diplomazia, gli
accordi diplomatici sono stati una realtà spesso efficace,
comunque ineludibile. Guai a non tenerne conto. Il problema, semmai,
è un altro, ben più radicale: è possibile un
accordo stabile e duraturo tra una democrazia e regimi dittatoriali,
militaristi, razzisti come quelli arabi? Dubito.
Anche a prescindere dalla possibilità
di creazione di uno staterello palestinese in Cisgiordania (che per
me è un nonsense storico e geografico, data l'esiguità
del territorio e l'assenza di risorse), quanto potrebbe durare un
accordo tra un parlamento ed un governo, come quelli israeliani, ed i
dittatori arabi? E poi: quanto interesse hanno i dittatori arabi a
creare veramente uno Stato palestinese? La creazione di questo Stato
farebbe cessare la ragione del contendere: è questo
l'obiettivo dei dittatori arabi? Credo proprio di no: il loro
obiettivo è la distruzione di Israele. Ne volete una prova? Ecco quanto ha
affermato il presidente siriano Assad l'8 marzo 1988: "Le
attuali proposte per una soluzione politica sono identiche nella
lettera e nello spirito a quelle di molti anni fa. La cosa
importante è che la guerra continui: una volta con i
fucili e una volta con le pietre, una volta con le manifestazioni e
una volta con un confronto militare totale, a seconda delle
circostanze. Dobbiamo usare tutte le forze di guerra e non ci è
consentito essere stanchi... Qualunque via che non prepari gli
arabi ad un confronto totale è futile...". Le affermazioni di Assad, che è
il più grande latifondista siriano, oltre che il presidente,
ci illuminano sugli strumenti ed i passaggi reali per la
pacificazione del Medio Oriente: l'abbattimento dei regimi
dittatoriali, feudali, militaristi, razzisti che spadroneggiano nel
mondo arabo. Passaggio lungo, ma, a mio avviso, obbligato.
Con le più vive cordialità
e con il più grande apprezzamento.
Antonio Donno (Lecce)
|