Rivista Anarchica Online
Utopia?
no!
Il disagio palesato nel mio intervento
sul n. 156 di "A" per via di un'ipotesi di lettura
libertaria non confortata da condizioni reali favorevoli, intendeva
evocare uno spazio possibile di riflessione che mantenesse le
caratteristiche anarchiche dell'altrove, senza pertanto cadere
nei trabocchetti storici del "prendere partito" o subire
l'ingiunzione del ricatto politico del "fino ad oggi",
svilimento di ogni tensione, appunto, utopica, alla ricerca non
pregiudiziale dei riscontri pratici senza deprezzamenti
etico-politici.
La lettura delle tristi vicende
medio-orientali, con la "guerra perpetua" tra israeliani e
palestinesi, tra mondo ebraico e mondo arabo quale rappresentato
dalle rispettive dirigenze governative (il che non è una
precisazione ridondante e tautologica, anzi), si presta, a mio
avviso, a questo tentativo, a patto di non accettare, come fa Donno,
il terreno tutto interno alla logica medio statuale della
Real-Politik. Su questo piano discorsivo, le pacate
argomentazioni di Donno (a parte qualche eccesso di speculare
"razzismo" antiarabo di ritorno) possono sembrare
realistiche e pragmatiche, convincendo probabilmente chi si limita a
pensare il mondo "così come esso è", direbbe
Adorno; ma proviamo a ribaltare l'ottica della cinica rassegnazione
indotta dal trionfo della violenza del potere dello stato, qualunque
regime esso crei. L'ovvia distinzione storica tra stato
democratico e stato totalitario resta per gli anarchici un dato di
fatto che non traduciamo affatto in una legittimazione sul piano del
valore; l'istanza anarchica sorge dovunque esiste un anelito alla
libertà, anche nelle dittature, che infatti ne stroncano le
potenzialità organizzative concrete, mentre la legalità
democratica tenta di vanificarla nella processione di modelli
simulacrali gli uni uguali agli altri, e concorrenziali, consentendo
momenti di esperienze circoscritte ma impedendo diffusione ed
estensione concentrica. Bookchin qui mi convince solo a metà. L'astatualità centrale nella
critica libertaria e anarchica della politica non è solo
dovuta a coerenza logica di principio, ma anche ad una attenta
lettura della filosofia politica a partire dalla solidarietà
verso i dominati e gli sfruttati; è questo risvolto che oggi
ci fa essere vicini al popolo palestinese, sottoposto ad uno
stillicidio pianificato e perpetrato dallo stato israeliano, come
ieri ci vide vicino agli ebrei massacrati nell'olocausto nazista. Mai
vicini alle élite statuali che disinvoltamente giocano i
destini di vite umane sui tavoli della diplomazia, che stabilizza in
un equilibrio precario e difficile un primato della forza fisica
presente nella politica che si prolunga nella guerra (von Clausewitz)
e nella guerra che si prolunga nella politica (Foucault). Il problema se scegliere una forma
statuale piuttosto che un'altra è una falsa opzione, un
tranello in cui il pensiero anarchico e libertario non può né
deve cadere. Chi edifica stati (razza di predoni barbari, li
disprezzava Nietzsche) non può meritarsi, da parte nostra,
alcun elogio o consenso né etico né politico né
simpatico, e la comprensione della storia non può accecarsi di
fronte alla violenza statuale qualunque forma essa inveri. L'unica soluzione reale, e
paradossalmente praticabile, sarebbe l'emergenza di processi di
destatalizzazione (dal basso, e non manu militari, come auspica Donno
ribadendo il primato della forza statuale) che spiazzino le trame
degli strateghi di morte in favore di convivenze pacifiche tra popoli
culturalmente diversi (e non tra stati, il che non ci riguarda). Utopia? No, bensì consapevolezza
di una promessa non mantenuta per la quale val la pena vivere e
lottare giorno dopo giorno.
Salvo Vaccaro (Palermo)
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