Rivista Anarchica Online
Paternalismo/repressione
di Andrea Papi
L'inasprimento legislativo proposto
da Craxi e sostenuto da un vasto schieramento repressivo è
utile soltanto all'espandersi del mercato clandestino e dei lauti
guadagni mafiosi. Più la legge è severa
e più i mercanti di morte, invece di scoraggiarsi, si
organizzano e riescono ad imporsi con maggior efficacia.
Il problema droga, scatenatosi
all'improvviso, sta drogando l'opinione pubblica del bel paese.
Intendiamoci, non è sorto ora. Da almeno un ventennio o giù
di lì, da consumo trasgressivo di un'élite, collocabile
in termini vaghi nel mondo dello spettacolo, degli artisti,
dell'aristocrazia abbiente, della cultura dei salotti alla moda,
ecc., dapprima lentamente poi sempre più velocemente, è
passato ad aree socialmente molto più vaste, fino ad
abbracciare l'intera gamma delle categorie sociali. Ma questo dura da
un bel po' d'anni.
Ha però conquistato da poco le
prime pagine dei quotidiani e i servizi dei telegiornali di regime.
Da quando cioè il solito sprinter Bettino, con la solita
spettacolare veemenza, ha fatto la sua ultima scappata, appena
tornato dal suo viaggio amichevole negli USA, avvenuto subito dopo,
quasi in concorrenza, di quello di De Mita in URSS. Le affermazioni
sulla droga dei suoi amici reaganiani in qualche modo lo hanno
sconvolto, o perlomeno devono avergli messo la fatidica pulce
nell'orecchio. Al punto che, appena tornato dal quel viaggio, ha
deciso che era diventato urgente risolvere il "cancro"
sociale della droga. E lo ha fatto da par suo, sciorinando
un'aggressiva lamentela contro questo governo, non più suo,
per essere incapace, se non rimedia al più presto, di por
freno al superpotere di mafia e camorra nello smercio della droga.
Fin qui, direi, nulla di nuovo. Il fatto è che pensa di aver
identificato il peccato originale, l'abominevole legge del '75 che,
con l'ormai famosa "modica quantità", rende lecito a
chiunque di drogarsi.
Come una classica reazione a catena, è
iniziata una ridda di colte considerazioni e di autorevoli
dichiarazioni che sembra non finire più. Si è quasi
formato un risibile steccato tra i sostenitori della punibilità
del drogato e quelli che, al contrario, sostengono l'assurdità
di questo principio. Occhetto, segretario del PCI, dopo una visita
commovente ai centri di riabilitazione, ha denunciato che i drogati
sono in parlamento, luogo di frequentazione da lui ben conosciuto. Il
radicale Teodori, con una proposta tra il serio e l'ironico, ha
chiesto l'antidoping per i suoi colleghi parlamentari. Compatto, il
PLI è arrivato a proporre per i drogati il ricovero coatto nei
centri addetti alla disintossicazione. Il capogruppo DC Martinazzoli,
prendendo le distanze dal suo capo De Mita, ha detto che le multe ai
drogati lo fanno solo ridere. Il vice di Craxi Martelli, forse
facendo una gaffe, non si è capito bene se condivida fino in
fondo il pensiero del suo diretto superiore nel tentare di separare
le droghe pesanti da quelle leggere. Insomma il mondo dei big della
politica è in tumulto.
Il fatto è che è sempre
più difficile conciliare l'apparenza di un atteggiamento
democratico-paternalistico, che vorrebbe riuscire ad essere
permissivo e comprensivo coi drogati e nel contempo severo e
repressivo con chi fa affari attraverso il commercio illegale della
droga, con una cultura e una logica squisitamente repressive che
ritiene di risolvere ogni problema con scelte decisamente
proibizioniste. Ma vediamo di riuscire a districare quest'intricata
matassa, alla ricerca dell'identificazione del senso che sorregge
tutto questo bailamme.
L'etica dello stato
Mi sembra che il nodo di tutta la
matassa sia collocabile nel bisogno sempre più emergente di
affermare e definire un nuovo principio etico, di una nuova
legittimazione delle strutture del dominio.
Nuovo, s'intende, nel senso di essere
approntato giuridicamente ed accettato al livello dell'immaginario
collettivo, quale senso comune nell'affrontare le possibilità
di soluzione dei problemi che eventualmente sorgano e possano
divenire pressanti. È il passaggio da un'etica improntata
sulla responsabilità individuale a un'etica che ha come
riferimento la scelta istituzionale, cioè un'etica dello
stato, capace di diventare il vero e unico legittimato referente di
ciò che si può o non si può fare. Il giudizio
sul bene e sul male delle scelte individuali in questo modo si sposta
da un'etica universale dell'uomo a un'etica universale delle
istituzioni, indicate come uniche e vere addette a stabilire cosa va
e cosa non va. Non a caso il punto fondamentale su cui tiene duro il
cast dirigenziale socialista è il principio di liceità,
che dev'essere definito in modo categorico. Lo sostiene lo stesso
Martelli nell'intervista al Manifesto di venerdì 11 novembre:
"Drogarsi non è lecito, non è permesso, non è
consentito. La legge esistente va cambiata soprattutto in
termini di principio". Il problema di fondo diventa dunque
cosa lo stato decida che sia lecito o meno. A questa posizione fa eco
l'osservatore Romano, organo ufficiale del Vaticano, che a chiare
lettere afferma: "Prevenzione e repressione devono procedere
insieme, e con il medesimo rigore severo". Ma quella papalina è
una posizione più sfumata, senz'altro più sottile. Se
infatti alla gerarchia ecclesiastica, istituzione altamente
gerarchica addetta proprio alla definizione dei confini tra il bene e
il male, va bene la logica dell'etica istituzionale, forse non può
condividere che ad esser legittimato in tal senso sia proprio lo
stato, istituzione laica. Forse è qui l'origine del dissenso,
finora appena sfiorato, tra la chiesa di Roma e la chiesa militante,
quella dei don Ciotti per intenderci, impegnata da anni nelle
comunità di recupero per tossicodipendenti. Per i cattolici
militanti la liceità stabilita dall'istituzione ecclesiastica
dev'essere l'interprete dell'etica universale dell'uomo, basata sulla
responsabilità individuale. Mentre per i gerarchi ufficiali
conta soprattutto la decisione istituzionale.
Libertà di scelta
Il mio punto di vista, ovviamente, è
al di fuori di questo dibattito vissuto come insana "filantropia".
Proprio in questi giorni ho
rispolverato un articolo scritto dal nostro Malatesta nel '22 su
Umanità Nova allora quotidiano. In poche righe affronta un
problema che allora in Francia cominciava ad essere grosso: il
consumo di cocaina. In quelle poche righe, che ritengo di una
sorprendente attualità, riesce a delineare i presupposti
fondanti di un'etica e di un agire in grado di affrontare il problema
alla radice e, possibilmente, di risolverlo. Personalmente mi
riconosco pienamente in quei principi proposti 66 anni fa, quando
ancora non si poteva sospettare nemmeno l'entità del problema
che abbiamo oggi.
L'inasprimento legislativo, all'insegna
della repressione protezionistica, è utile soltanto
all'espandersi del mercato clandestino e dei lauti guadagni mafiosi.
Più la legge è severa e più i mercanti di morte,
invece che scoraggiarsi, si organizzano e riescono ad imporsi con
maggior efficacia. Va salvaguardata la libertà e la
responsabilità personale di scegliere della propria vita,
qualunque sia questa scelta, anche quando ai nostri occhi può
apparire suicida o masochista. Chi, nonostante sia al corrente dei
danni che procura, vuole ugualmente intossicarsi l'esistenza con la
droga, deve poterlo fare senza subire il ricatto odioso delle leggi o
della criminalità, che gli fanno pagare, dall'una e dall'altra
parte, dei costi insopportabili. Solo accettando questi presupposti e
cercando di renderli operativi nel modo più confacente, sarà
possibile mettere in campo qualcosa di veramente utile per cominciare
a risolvere il problema droga .
1922 / Malatesta e la cocaina
Sul quotidiano anarchico Umanità
Nova (uscito tra il febbraio 1920 e la fine del 1922),
Errico Malatesta pubblicava questo articolo dal titolo "Cocaina"
sul numero del 30 agosto 1922.
In Francia esistono leggi severe contro
chi usa e chi smercia la cocaina. E, come consueto, il flagello si
estende e s'intensifica malgrado le leggi e forse a causa delle
leggi. Così pure nel resto dell'Europa e dell'America. Il dottor Courtois Suffit,
dell'Accademia di medicina francese, che già l'anno scorso
aveva gettato un grido d'allarme contro il pericolo della cocaina,
constatato l'insuccesso della legislazione penale, domanda... nuove e
più severe leggi. È
il vecchio errore dei legislatori, malgrado che l'esperienza abbia
sempre invariabilmente mostrato che mai la legge, per barbara che
sia, è valsa a sopprimere un vizio, o a scoraggiare il
delitto. Più severe saranno le pene
inflitte ai consumatori ed ai negozianti di cocaina, e più
aumenterà nei consumatori l'attrazione del frutto proibito ed
il fascino del pericolo affrontato, e negli speculatori l'avidità
del guadagno, che già è ingente e crescerà col
crescere della legge. Inutile sperare nella legge. Noi proponiamo un altro rimedio. Dichiarare libero l'uso ed il commercio
della cocaina, ed aprire gli spacci in cui la cocaina fosse venduta a
prezzo di costo, o anche sotto costo. E poi fare propaganda per
ispiegare al pubblico e far toccare con mano i danni della cocaina;
nessun farebbe propaganda contraria perché nessuno potrebbe
guadagnare sul male dei cocainomani. Certo con questo non sparirebbe
completamente l'uso dannoso della cocaina, perché
persisterebbero le cause sociali che creano i disgraziati e li
spingono all'uso degli stupefacenti. Ma in ogni modo il male diminuirebbe,
perché nessuno potrebbe guadagnare sulla vendita della droga,
e nessuno potrebbe speculare sulla caccia agli speculatori. E per questo la nostra proposta o non
sarà presa in considerazione, o sarà trattata da
chimerica e folle. Però la gente intelligente e
disinteressata potrebbe dirsi: "Poiché le leggi penali si
sono mostrate impotenti, non sarebbe bene, almeno a titolo di
esperimento, provare il metodo anarchico?"
Errico Malatesta
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