Rivista Anarchica Online
Cinema e rock
di Pino Bertelli
Nato nero nei campi di cotone, il
rock ha mantenuto, in alcuni suoi filoni, una forte carica
trasgressiva. Pino Bertelli ne analizza qui l'intreccio ed i rapporti con il cinema, dall'epoca del "muto"
ad oggi.
Nascita dell'eresia
Il rock'n'roll non è solo un
fenomeno musicale, ma anche un fatto di costume, l'esplosione di una
ribellione generazionale che alla metà degli anni '50 ha
superato i confini dell'America per radicare ovunque i semi della
trasgressione, della rivolta senza bandiere di milioni di ragazzi,
stanchi ormai di tutte le ipocrisie familiari e più ancora,
delle regole di comportamento della società convenzionale.
Il rock nasce nero, nei campi di
cotone, ad Harlem; i prestiti dal blues e dal country sono copiosi;
il blues è una "musica incredibilmente affascinante... si
tratta del simbolo dell'oppressione di una minoranza razziale"(1).
Nella memoria della storia americana è insomma la musica degli
schiavi.
Negli anni '20, le canzoni di un
vagabondo cieco, "Blind" Lemon Jefferson e di un
ergastolano, Huddie Leadbetter detto "Leadbelly" (omicidio
e rapina a mano armata), interpretano le grida dell'emarginazione del
popolo nero e scaricano nel quotidiano dei bianchi la forza eversiva
di una cultura di sopravvivenza. Così un passo di "Tin
cup blues" di Jefferson: "Me ne stavo ritto nell'angolo e
la testa quasi mi scoppiava/ non riuscivo a guadagnare abbastanza per
comprarmi una fetta di pane/ la sfortuna mi ha colpito e i topi
dormono nel mio cappello"(2).
Negli anni '30, i testi sulla
condizione sociale dei neri vengono smussati, le voci di Ma Rainey,
Bessie Smith, Ida Cox ecc., addolcivano l'ossessività del
ritmo, la durezza dell'armonia, la ripetitività della frase,
seminavano nel mondo la musica inquietante, delle piantagioni di
cotone del delta del Mississipi.
La fusione tra musica nera e attualità
si chiamava rhythm'n'blues.
Le radici del rock trovano nel country
l'altra anima, quella nomade, sradicata o contadina, tutta spostata
verso il contenuto di testi, il rifiuto della chitarra elettrica e
degli untori della "modernità". Il country è
il canto della terra che lega l'ultima frontiera americana con la
quotidianità degli oppressi, dei fuori gioco di tutte le
razze.
Ogni esibizione era un originale, ogni
concerto un avvenimento. Negli accampamenti dei mezzadri, nei
postriboli, nei ghetti neri, sotto i manganelli della polizia,
ovunque qualcuno avesse bisogno di speranza o di libertà, lì
arrivava un blues singer.
La musica di Brownie McGhee, Sonny
Terry o Bukka While (3), riesce ad esprimere gli odori, il mistero
della cultura afroamericana e insieme i significati profondi di
liberazione dell'intero popolo nero.
Più tardi, anche i sostenitori
del Black Power sembrano non capire la forza eversiva che sta al
fondo dei country blues, "ma quando la guardia nazionale si sarà
ritirata e i poliziotti avranno messo via i loro manganelli una volta
per tutte, quando i ghetti saranno puliti, e delle case decenti
avranno preso il loro posto, quando le opportunità di lavorare
saranno veramente uguali, e non vi sarà più
segregazione, i negri americani potranno ricordare con orgoglio la
creazione di una delle arti popolari più ricche e
gratificanti, e forse l'ultima grande musica folk che il mondo
occidentale abbia prodotto" (4). Il rock è al tempo
stesso, un prodotto della società dello spettacolo e il
rifiuto delle sue mitologie.
Ribelli senza causa
Il rock è uno stile di vita, o
meglio, è una vita senza stili. La provocazione, la
sessualità, la radicalità audiovisuale di questa musica
hanno influenzato tutti i linguaggi della comunicazione di massa.
Il rock'n'roll non è una scuola
ma un'officina senza regole dove fondere diverse tonalità; un
intreccio di tecniche, di forme, di itinerari musicali che vanno
oltre le tensioni e i mutamenti generazionali.
Il rock'n'roll esplode nel cinema e nel
mondo nel 1955, quando Richard Brooks inserisce nella colonna sonora
del suo film, "IL SEME DELLA VIOLENZA" (THE BLACKBOARD
JUNGLE, 1955), la canzone di Bill Haley and his Comets, "Rock
around the clock"'. Il film di Brooks è solido,
diretto e fotografato secondo gli stilemi sperimentati del film nero
americano. C'è tutto. La riforma della scuola, la ragazza
profanata, la feccia suburbana newyorkese sconfitta, la conversione
razziale; Glenn Ford è l'insegnante che con i nuovi metodi
pedagogici e l'aiuto dei suoi allievi, estirpa dalla scuola il seme
della violenza, cioè il capo dei teppisti.
Il successo del film di Brooks fu
grande ma quello di "Rock around the clock" fu enorme. "IL
SEME DELLA VIOLENZA", selezionato per la Mostra di Venezia,
dietro le insistenze dell'ambasciatore americano, venne ritirato
perché in molti stati del "grande paese" era
ritenuto osceno e immorale. I buoni americani avvertivano nella
canzone di Haley qualcosa che stava cambiando e che non volevano
accettare.
I dannati del rockmovie
Il rockmovie diviene subito un genere
di largo consumo. Fino agli anni '60 il rock attanaglia l'immaginario
giovanile che trova sullo schermo mitologie a buon mercato e momenti
di reale contestazione (solo musicale) del "sogno americano".
"I FRENETICI" (DON'T KNOCK
THE ROCK, 1956) di Fred F. Sears, "GANGSTER CERCA MOGLIE"
(THE GIRL CAN'T HELP IT, 1956) di Frank Tashlin. "SENZA TREGUA
IL ROCK'N'ROLL" (ROCK AROUND THE CLOCK, 1956) di Fred F. Sears,
"GLI ANNI PERICOLOSI" (THESE DANGEROUS YEARS, 1957) di
Herbert Wilcox, "MISTER ROCK'N'ROLL" (1957) di Charles
Dublin, "IL RE DEL ROCK'N'ROLL' (ROCK, ROCK, ROCK, 1957) di Will
Price sono confezioni mirate alla restaurazione di ogni autorità
nel "cimitero delle buone intenzioni" (Guy Debord). "I FRENETICI" promette
all'America che il rock non è pericoloso e questa musica è
un affare come un altro; da ricordare Bill Haley and his Comets e la
sua "Don't knock the rock", più ancora lo scatenato
Little Richard che canta "Tutti i frutti" e "Long tall
Sally". "Tutti i frutti" è un pezzo dirompente,
ossessivo, che esprime il massimo della banalità. Venderà
sette milioni di copie. Ed è proprio la riscoperta del ludico,
della bestemmia, dell'iconoclastia musicale del rock che fanno di
questo cinema-pattumiera un contenitore di sapori devianti.
I film non c'entrano. Quello che conta
è quanto deborda il rock fuori dallo schermo. E non ci sono
santi né produttori che possono ingabbiare la gioia che Bill
Haley trasmette alle platee con "Rock around the clock" o
"See you later Alligator" in "SENZA TREGUA IL ROCK'N'ROLL".
Certo, tutto quanto viene filtrato dai media e trasformato in moda;
intanto sono stati seminati i veleni sotterranei della disobbedienza.
Al rancore di classe si sostituisce l'universalità del rock
che cementa l'immediato e il presente nell'utopia scandalosa di
un'umanità senza frontiere.
Nello splendore finto del cinemascope,
in un technicolor risciacquato nelle tinte della pubblicità
stradale e attraversato dal suono stereo (fruibile solo in poche sale
di prima visione delle grandi città), "GANGSTER CERCA
MOGLIE" si lascia vedere solo per l'inserimento dei primi
rockers all'interno dell'affabulazione filmica.
Il rock di Gene Vincet ("Be bop a
Lula"), Little Richard ("The girl can't help it"),
Fats Domino ("Blue monday"), Eddie Cochran ("Twenty
flight rock") fa tabula rasa del basso scopo commerciale del
film e va a scatenare inquietudini vere e false coscienze.
"GLI ANNI PERICOLOSI", "IL
RE DEL ROCK'N'ROLL" sono pellicole inondate di musica rock ma
quello che più emerge dallo schermo, è il recupero
dell'insoddisfazione adolescenziale che dopo qualche sbandamento (non
solo musicale), ritrova la via maestra dell'integrazione nella
società costituita.
"MISTER ROCK'N'ROLL" è
una specie di compilation che gira intorno al solito Alan Freed,
abile conduttore di programmi radiofonici destinati ad infiammare
larghi strati della laboriosa America.
Ci sono canzoni memorabili, come
"Lucille" di Little Richard, "Oh Baby Doll" di
Chuck Berry ma tra una battuta stanca di Fred e incredibili sonni del
tessuto filmico, il rock domenicale di Teddy Randazzo, "I was
the last to know" e "I'll stop anything I'm doing"
pacifica figli e genitori intorno a una torta di mele. Una curiosità,
c'è anche l'ex campione dei pesi medi Rocky Graziano che canta
"Rocky's love song". Modo d'uso: un brutto sogno.
Elvis Presley, l'idolo del rock
Il rock di Elvis Presley scuote
l'America puritana degli anni '50. Insieme a Little Richard, Chuck
Berry, Jerry Lee Lewis, Presley contribuisce a cambiare i percorsi
musicali e il costume di intere generazioni.
I loro concerti erano una festa
collettiva dove l'irriverenza della musica sfondava le porte dello
spettacolo e inondava le smagliature dell'acerbità.
Fino agli anni '60, Presley incarnava
l'oltraggio e la provocazione. Il suo modo di interpretare il rock
era sensuale, arrogante e narcisista; il New York Times scrisse che
"la maniera in cui muoveva la lingua e il suo abbandonarsi a un
mugolio senza parole erano particolarmente disgustosi" (6). La
carica trasgressiva del rock primitivo di Presley, rimane un
terribile rovesciamento delle regole sociali.
"Hound dog", "Heartbreak
hotel", "Love me tender", "All shook up",
"Jailhouse rock", "Heard headed woman" segnano
momenti di scollatura del popolo giovanile e vanno a sommuovere il
sottobosco dei compromessi esistenziali. Il diavolo era apparso sulla
terra con la musica del rock'n'roll.
Quando il mito di Elvis diventerà
la sua gabbia, tutta la portata ribellistica della sua musica sarà
confezionata secondo schemi manageriali più vicini al gusto
del mercato. Il rock di Presley ha comunque segnato un'etica della
spaccatura, dove la libertà è dappertutto e la predica
culturale/politica in nessun luogo.
Sullo schermo l'idolo del rock ha
interpretato 31 film. Tutti da dimenticare. Il sentiero della gloria
di celluloide di Presley passa per "FRATELLI RIVALI" (LOVE
ME TENDER, 1956) di Roberta D. Web, "AMAMI TENERAMENTE"
(LOVING YOU , 1957) di Al Antera, "IL DELINQUENTE DEL
ROCK',N'ROLL" (JAILHOUSE ROCK, 1957) di Richard Torpore, "LA
VIA DEL MALE" (KING CREOLE, 1958) di Michael Curiazi, "CAFFÈ
EUROPA" (G.I. BLUES, 1960) di Norman Tauro, "BLUE HAWAII"
(1961) di Norman Tauro, "L'IDOLO DI ACAPULCO" (FUN IN
ACAPULCO, 1963) di Richard Torpedo e fino a "UN UOMO CHIAMATO
CHARRO" (CHARRO, 1963) di Charles Marquis Warren (7), la
mediocrità è di rigore.
Il melodramma western, il musical
truccato e l'high-school movie sono i generi imbarazzanti
attraversati dall'immobilità facciale di Presley. Pilota di
auto da corsa, pugile, bagnino, pistolero, galeotto, scrittore di
provincia ecc., Presley rifà sempre se stesso.
Le avventure sono imbastite sullo stile
dei fumetti. L'eroe è ingenuo, selvaggio, forte; le donne sono
sedotte dai suoi sguardi, dal suo coraggio, dalle sue canzoni ma il
suo amore è sovente appoggiato alle grazie materne di figure
femminili che pesano sul futuro della sua vita. Lizabeth Scott,
Carolyn Jones, Dolores Del Rio, Hope Lange, Barbara Stanwyck o
Johan Blondell sono infatti i punti di
aggancio e di ritorno ai valori prestabiliti dell'ordinario.
L'incontenibile insolenza del rock abbatteva frontiere e tabù,
lasciava emergere scenari collettivi, sradicava antiche violenze
sessuali e razziali. Paradosso: l'elogio più profondo
all'avvento di questa musica eversiva l'ha fatto Asa Carter,
segretario del North Alabama White Citizens Council (Consiglio dei
cittadini bianchi dell'Alabama e del Nord): "L'effetto del
rock'n'roll trasforma i giovani in altrettanti adoratori di Satana,
li incita, con la leva del sesso, a liberare i propri istinti... Il
rock'n'roll degrada l'uomo bianco al livello inferiore del negro.
Esso è parte di una cospirazione tendente a minare la morale
dei giovani del nostro paese. È sessuale, immorale e il
miglior mezzo per mescolare le due razze" (8). Il rock'n'roll si
situava oltre la fascia dello spettacolo, diveniva anche uno
strumento di crescita e superamento di tutte le barriere etniche.
Il tempio delle meraviglie
Gli anni '60 segnarono il tempo dello
stupore e delle meraviglie. Bruciati gli oracoli Dio, Patria e
Famiglia, le masse giovanili si scelsero altri miti, nuove tentazioni
da trasgredire. Le pagine ribelli di Jack Kerouac, "Sulla
strada" (On the road), William Burroughs, "Il pasto nudo"
(Naked lunch) o Alan Ginsberg, "Howl"' (Urlo)
accompagnarono la marea montante della contestazione che nel 1968
esploderà ovunque per andare a mutare il tessuto sociale
dell'intera umanità.
Il linguaggio universale del rock
radicalizzava umori e devianze, accompagnava le giovani generazioni
di tutto il mondo a superare la propria infanzia. Al cinema l'irrazionalità
liberatoria del rock viene decapitata e il desiderio di un quotidiano
inedito affogato nella "bottega dei sogni" hollywoodiana.
"THE BEAT GENERATION" (1959)
di Charles Haas, "I CAVALLONI" (GIDGET, 1959) di Paul
Wendkos, "DAI, JOHNNY, DAI!" (GO, JOHNNY, GO!, 1959) di
Paul Landres, "LA SPIAGGIA DEL DESIDERIO" (WHERE THE BOYS
ARE, 1960) di Henry Levin, "TORNA A SETTEMBRE" (COME
SEPTEMBER, 1961) di Robert Mulligan sono sbiadite operazioni
mercantili dove Louis Armstrong, i Four Preps, Connie Francis
recitano il compitino musicale, mentre Eddie Cochran ("Teenage
heaven", "Come on everybody"), Ritchie Valens ("La
bamba", "Donna") o Chuck Berry ("Maybellene")
agitano sulla tela nuove favole per i "Franti" della
marginalità.
In Italia l'insurrezione culturale del
rock viene filtrata in una catenaria di film mediocri, destinati alle
sale provinciali. Adriano Celentano, Mina, Little Tony, Bobby Solo,
Caterina Caselli, Rita Pavone, Gianni Morandi, Peppino Di Capri
furono smerciati sotto i più bassi profili estetico/musicali.
Anche Federico Fellini, "LA DOLCE VITA" (1960),
Michelangelo Antonioni, "L'ECLISSE" (1962) o Valerio
Zurlini, "LA RAGAZZA CON LA VALIGIA" (1961) sistemano la
ventata dissacratoria del rock tra i cadaveri del mondano.
Intanto negli USA il rock'n'roll si
stemperava nei divertissement seriali come "VACANZE SULLA
SPIAGGIA" (BEACH PARTY, 1963) di William Asher, "SURF
PARTY" (1964) di Maury Dexter, "BIKINI BEACH" (1964)
di William Asher e affini; con la fine dell'estate trionfava l'amore
e i "cattivi pensieri" svanivano nello spazio di un 45
giri.
Pat Boone, Neil Sedaka, Johnny
Restivo, Bobby Vinton o Frankie Avalon "tolgono al rock le sue
connotazioni più irriverenti. Una volta addomesticato il rock,
anche la televisione si può permettere di mostrarlo alle
famiglie" (9). Su altre coste, Joan Baez e Bob Dylan
interpretavano la richiesta di libertà che fuoriusciva dalla
rabbia giovanile; la speranza di un mondo nuovo ribolliva ovunque e
l'avventura di scoprirlo in molti era l'utopia possibile. Al cinema,
l'ondata eversiva di questa musica si configura in qualcos'altro e
l'industria fa della cultura rock un'agenzia di viaggi immaginari
destinati a soffocare l'allargarsi della protesta, della
contestazione generalizzata che esploderà nel maggio '68 a
Parigi e poi in tutto il mondo. Con "TUTTI PER UNO" (A HARD
DAY'S NIGHT, 1964) e "AIUTO!" (HELP! 1966) di Richard
Tester, i Beatles mostrano di non avere l'ironia citata dei Marx
Brothers e più ancora, molte delle loro canzoni, sono
notevoli segnali di morigerato qualunquismo. Se ne accorge anche la
regina e conferisce ai quattro scarafaggi di Liverpool, l'MBE,
l'Ordine dell'impero britannico.
"CHAPPAQUA" (1967) di Conrad
Rooks, "I SELVAGGI" (THE WILD ANGELS, 1966) di Roger
Corman, "LA SCUOLA DELLA VIOLENZA" (TO SIR WITH LOVE, 1966)
di James Clavell, "IL SERPENTE DI FUOCO" (THE TRIP, 1967)
di Roger Corman, "PSYCH-OUT IL VELO SUL VENTRE" (PSYCH-OUT,
1968) di Richard Rush, "VIOLENCE STORY" (THE SAVAGE SEVEN,
1968) di Richard Rush, "EASY RIDER - LIBERTÀ
E PAURA" (EASY RIDER, 1969) di Dennis Hopper, "ZABRISKIE
POINT" (1970) di Michelangelo Antonioni sono un campionario dove
il rock viene utilizzato come supporto a inquietudini irrisolte di
una parte rilevante della comunità.
Le notazioni sono sempre le stesse.
Droga, violenza, paura e libertà a buon mercato. Il
ribaltamento di prospettiva di una società ingiusta resta
nelle speranze di una generazione inedita. La realtà si
impadroniva dell'immaginazione, il rock perdeva l'amarezza della
lucidità eversiva, acquistava il consenso dell'ovvio e della
liquidazione delle idee.
Da "WEST SIDE STORY" (1961)
di Robert Wise, passando per "BALLIAMO INSIEME IL TWIST"
(HEY, LET'S TWIST, 1961) di Greg Garrison, "GIRANDO INTORNO AL
CESPUGLIO DI MORE" (HERE WE GO ROUND THE MULBERRY BUSH, 1968) di
Clive Donner, "SULLE ALI DELL'ARCOBALENO" (FINIAN's
RAINBOW, 1968) di Francis Ford Coppola, la dissimulazione di
un'umanità senza ferocia viene contrapposta agli squilibri di
un quotidiano affondato nella miseria, nella separazione razziale,
nella discriminazione economica ecc.; qui si invita a sognare
un'America che non c'è.
A cogliere alle radici la realtà
di un quotidiano terrorizzato dalle burocrazie/ideologie della
società opulenta, sono un pugno di film coraggiosi che
disvelano ciò che passa per annunciare quanto ritorna sugli
scenari dell'osceno. "Così il sollevarsi dal velo può
considerarsi come l'espressione ultima dell'osceno. Il voler violare"
(Henry Miller) i movimenti segreti dell'universo mercantile.
"UNA STORIA AMERICANA" (MADE
IN U.S.A., 1966) di Jean-Luc Godard, "POOR COW" (1967) di Kenneth
Loach, "ALICE'S RESTAURANT" (1969) di Arthur Penn, "UN
UOMO DA MARCIAPIEDE" (MIDNIGTH COWBOY, 1969) di John
Schlesinger, "DIARIO DI UNA CASALINGA INQUIETA" (DIARY OF A
MAD HOUSEWIFE, 1970) di Frank Perry, "SACCO E VANZETTI"
(1970) di Giuliano Montaldo, "FRAGOLE E SANGUE" (THE
STRAWBERRY STATEMENT, 1970) di Stuart Hagman si staccano dalla
mediocrità generale e riescono a descrivere i conflitti tra
libertà e potere.
Qui cinema e musica rock affrontano il
risveglio incontenibile della realtà e il tempo delle
riflessioni viene abolito per far posto al tempo delle impazienze.
Ma sono due documentari rock ad aprire
gli anni '70 a mitologie facili e nuove primavere di protesta.
"MONTEREY POP", (1969) di
D.A. Pennebaker e "WOODSTOCK" (1970) di Michael Wadleigh
rappresentano l'oltraggio della musica rock che diviene spettacolo.
Affermazione dell'effimero e glorificazione della banalità.
"MONTEREY POP" è molto
di più della fotografia di un festival rock. La vena
documentarista di Pennebaker si accosta agli artisti senza forzature
spettacolari né inutili virtuosismi tecnici e i pezzi di Janis
Joplin, "Ball and chain" e "Combination of the who",
Jimi Hendrix, "Wild thing", gli Who con la profetica "My
generation" ecc., resteranno pagine cinematografiche
indimenticabili.
"WOODSTOCK" segna invece la
cementazione della cultura rock con i mass-media. Il punto più
alto di aggregazione sociale della musica rock coincide con il
declino della sua portata eversiva. Il film di Wadleigh è un
melodramma patetico che mescola una realtà artificiata a tre
giorni di pace, amore e musica; non bastano le canzoni di Richie
Havens, "Freedom", Arlo Guthrie, "Coming into Los
Angeles", Joan Baez, "Joe Hill", Joe Cocker, "With
a Little help from my friends", Jimi Hendrix, "Star
spangled banner" ecc., per giustificare tanta presunzione
tecnologica e incredibili sciocchezze moralistiche.
Fragole, sangue e...
Negli anni '70 droga, pasticche e
alcool uccidono i semidei della rivolta permessa e la scomparsa dal
firmamento musicale di Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin o Jim
Morrison consolida la cattività del rock nell'immaginario
collettivo.
Con i morti sul campo, l'industria del
rock diviene sempre più smaliziata, domestica; il mito è
sorretto dall'ingerenza televisiva e la sua funzione assume
l'importanza che viene ad avere uno shampoo o una qualsiasi
pubblicità, all'interno del sistema universale dei media. "Il
divo è in cielo, in terra e in ogni luogo'' (10). I gerarchi
della pubblica opinione sanno bene che il culto iconografico è
fondato sulla capacità di sedurre e organizzare i sogni verso
la genuflessione all'oggetto desiderato.
La domesticazione del rock si coglie in
alcuni film destinati al grosso pubblico e "PINK FLOYD A POMPEI"
(LES PINKFLOYD A POMPEI, 1971) di Michele Arnaud, "LA SIGNORA
DEL BLUES" (LADY SINGS THE BLUES, 1972) di Sidney J. Furie,
"AMERICAN GRAFFITI" (1973) di George Lucas, "JESUS
CHRIST SUPERSTAR" (1973) di Norman Jewison, "NASHVILLE"
(1975) di Robert Altman, "IL FANTASMA DEL PALCOSCENICO"
(PHANTOM OF THE PARADISE ,1974) di Brian De Palma, "TOMMY"
(1975) di Ken Russell, "UN MERCOLEDI DA LEONI" (BIG
WEDNESDAY, 1978) di John Milius, "GREASE", (1978) di
Randal-Kleiser, "LA FEBBRE DEL SABATO SERA" (SATURDAY NIGTH
FEVER, 1977) di John Badhan, "LA CITTA DELLE DONNE" (1980)
di Federico Fellini, "CRUISING" (1980) di William Friedkin
sono uno spaccato dove il rock climatizza l'insoddisfazione
conviviale nella spettacolarità del marketing.
L'industria organizza l'immagine e i
canali audiovisuali di massa (cinema, televisione, fotografia, radio,
carta stampata) riciclano mitologie e simulacri, il vero si nasconde
nelle truccherie dei padroni dell'informazione.
Ciò che viene rappresentato come
la vita reale è soltanto la vita apparente spettacolarizzata.
L'epifania dell'icona tradizionale viene accolta come magia della
civiltà telematica e i mangiatori di audience trasmettono un
mondo fittizio dove anche la trasgressione (non solo) musicale è
una merce.
I filamenti aggressivi della musica
rock attraversano il grande schermo con alcune opere singolari.
"PUNTO ZERO" (VANISHING
POINT, 1971) di Richard C. Sarafian, "LA RAGAZZA DEL BAGNO
PUBBLICO" (DEEP END , 1970) di Jerzy Skolimowski, "O LUCKY
MAN!" (1973) di Lindsay Anderson , "ALICE NELLE CITTA"
(ALICE IN DEN STADTEN, 1974) di Wim Wenders, "THE ROCKY HORROR
PICTURE SHOW" (1975) di Jim Sharman, "CAR WASH"
(1976) di Michael Schultz, "FUGA DI MEZZANOTTE" (MIDNIGTH
EXPRESS, 1978) di Alan Parker, "QUADROPHENIA" (1979) di
Franc Roddam, "SARANNO FAMOSI" (FAME, 1980) di Alan Parker,
"KOYAANISQATSI" (1984) di Godfrey Reggio descrivono con
efficacia, anomalie e smagliature della gabbia sociale.
"You gotta believe" di
Delaney and Bonnie, "O Lucky man!" di Price, "Menphis
Tennessee" di Chuck Berry, "Slow train" di James Brown
o l'insieme dei pezzi di "THE ROCKY HORROR PICTURE SHOW",
non sono il sottofondo di una maladolescenza spettacolarizzata ma
costituiscono una spaccatura all'interno della macchina/cinema. Anche
quando si tratta di B-musical accattivanti come "CAR WASH"
o "SARANNO FAMOSI", il rock travalica la dimensione ludica
e accomuna il popolo giovanile oltre il colore della pelle.
Sotto molti tagli, il rock sfugge alle
regole e ai percorsi obbligati costruiti dall'industria. Ritmi urbani
scatenati, atteggiamenti delinquenziali, abusi e contaminazioni
espressive di ogni specie, proiettano il rock in paesaggi della
sopravvivenza o sul boccascena del successo.
La radicalità musicale del rock
invita a rompere con le banalità dell'ordinario e a bruciare
pericolosamente tutti gli schemi precostituiti della società
dell'apparenza.
Il rock è un linguaggio senza
frontiere. Qualcosa che fa sudare, amare, piangere milioni di
persone; lo scandalo è il segno che lascia nella cultura di
un'epoca (11). Più di trent'anni di rock nel mondo hanno
scatenato fanatismi e vessazioni, nessuno è riuscito a fermare
l'ondata di libertà che questa musica ha disseminato in ogni
angolo della terra.
Rock-drugstore
Ovunque il rock "rimane una
terribile arma battagliera e un giustiziere nervoso, continuando a
giocare il ruolo di rivoluzionario impenitente, ancora oggi,
nonostante sia definitivamente caduto tra le braccia della
discografia internazionale, di manager, discografici, legali e
banchieri" (12). E non rappresenta soltanto un pezzo di vita
reale, più semplicemente, rivela il lato nascosto, censurato o
scellerato della realtà accomodata.
Le sciropperie del rock traboccano
sugli schermi degli anni '80. "STRADE VIOLENTE" (THIEF,
1981) di Michael Mann, "STRADE DI FUOCO" (STREETS OF FIRE,
1984) di Walter Hill, "UN SOGNO LUNGO UN GIORNO" (ONE FROM
THE HEART, 1982) di Francis Ford Coppola, "ALL'ULTIMO RESPIRO"
(BREATHLESS, 1983) di Jim McBride, "FLASHDANCE" (1983) di
Adrian Lyne, "FOOTLOOSE" (1984) di Herbert Ross, "STAYING
ALIVE" (1983) di Sylvester Stallone, "BREAKDANCE"
(1984) di Joel Silberg sono prodotti che vanno a coprire nuovi
mercati, a riempire altre tendenze musicali.
Il punk, l'heavy-metal, il reggae, la
new-wave, il funky sono mescolati alla disco-music, al
rhythm'n'blues, al rock-spettacolo, al rock impegnato in battaglie
per i diritti umani; tutto questo ribollire di idee musicali viene
stemperato in un cinema domestico, mirato ad un'educazione
dell'immagine sempre più vicina agli spot pubblicitari. I
segni della civiltà televisiva sono profondi. Dentro gli
entusiasmi collettivi la conoscibilità reale del quotidiano è
sempre più lontana. I bagni di celebrità, come quelli
di sangue, idealizzano un mondo inesistente.
Anche film più ambiziosi,
scodellati nella loro apparente goliardia metropolitana, come "THE
BLUES BROTHERS" (1980) di John Landis, "AMERICAN GIGOLO"
(1980) di Paul Schrader, "RUSTY IL SELVAGGIO" (RUMBLE FISH,
1983) di Francis Ford Coppola, "ABSOLUTE BEGINNERS" (1986)
di Julien Temple fino a "BIRD" (1988) di Clint Eastwood,
non restituiscono appieno la carica dissacratoria del rock. Si passa
dalle biografie intimiste allo shool-musical, dal recupero della
cattività suburbana a uno stile di vita dissipata firmato
Armani.
Il principe viola
Il rock oltraggioso, iconoclasta,
perverso di Prince esplode nel cinema con "PURPLE RAIN"
(1984) di Albert Magnoli. Alla fallocrazia del rock da garage, Prince
oppone una mescolanza di bisessualità, androginia, misticismo;
arriva perfino a recitare il "Padre Nostro" e dal più
sfacciato dei cieli al neon, sottolinea devianze, incesti, ecc., in
un sound che gronda sensualità e ricchezza innovativa.
Alcune venature autobiografiche
sconfinano nel patetico e solo la genialità dei pezzi musicali
impediscono di guadagnare l'uscita del cinema.
"PURPLE RAIN" incassa
comunque "settanta milioni di dollari (sette milioni di dollari
la cifra investita per realizzarlo). L'album estratto vende nove
milioni di copie solamente negli Stati Uniti e oltre due milioni di
copie nel resto del mondo"(13).
"Purple Rain", "The
Beautiful Ones", "Let's Go Crazy" o "Computer
Blue" restano musica che va oltre ogni tempo e ogni scuola.
Seminano ovunque l'irriverenza maledetta del pop nero.
Nel 1986 Prince ci riprova con "UNDER
THE CHERRY MOON". Fa tutto da solo e sforna una commedia
musicale anni '40. Il film, girato in uno stucchevole bianco e nero,
non trova mai una vera affabulazione creativa. La camera da presa è
una vetrina promozionale sulla grandezza musicale di Prince. "Cristopher Tracy's Parade",
"I Wonder You", "Girls and Boys", "Kiss",
o "Under the Cherry Moon" sbordano dalla cornice
cinematografica e rappresentano il sale dell'inedito e della
simbologia sessuale del pop (già tracciata da Little Richard,
James Brown, Jimi Hendrix, Sly Stone). Prince, dopo avere saccheggiato
i bassifondi del rock ed essersi spinto oltre l'orlo del dicibile, è
divenuto star/interprete di una musica che è mistero,
tentazione e pericolo. Proprio come dice lui: "Bisogna vivere
una vita per capire la vita. I turisti ci passano solo attraverso"
(14). Solo ciò che è impossibile cogliere
nell'immediato attenta a tutto quanto è già marchiato
sulle sponde della storia.
Rock e cinema-spazzatura
I sentieri accidentati del rock, sono
catalizzati nel cinema-spazzatura (trash-movie) che chiude gli anni
'80. Buttando nel mucchio generi diversi, vilipesi dalla critica
cortigiana (Ciak, Cinema Nuovo, Cinemasessanta...) o celebrati da
quella musicofila (Mucchio Selvaggio, Rockerilla, Rockstar...),
possiamo vedere che "CRAZY MAMA" (1975) e "CITIZEN'S
BANDS" (1977) di Jonathan Demme, "BORDER RADIO" (1988)
di Allison Anders, Kurt Voss e Dean Lent, "ATHENS, GEORGIA"
(1988) di Tony Gayton, "OUT OF THE BLUE" (1980) di Dennis
Hopper, "HAIRSPRAY" (1988) di John Waters; "RAISING
ARIZONA" (1987) di Joel e Ethan Coen, "DOGS IN SPACE"'
(1987) di Richard Lowenstein, "SID E NANCY" (1986) di Alex
Cox, "TRUE STORIES" (1987) di David Byrne ecc., rispondono
ad una estetica della ribellione dove la "diversità"
si stempera nell'apologia dell'effimero e scivola sullo schermo come
"business" (affare) mirato al pubblico underground. Qui tutti i rituali su una "buona
umanità" sono popolati di spettri dell'anomalia e nel
rovesciamento edonistico di tutta la segnaletica hollywoodiana, si
vengono a ristabilire i parametri di "legge e ordine"
rigettati prima. L'evidenza è qualcosa che sommuove in
superficie, ciò che va distrutto alla radice.
Il tempo dell'enfasi è anche il
tempo dell'innocuo.
Si tratta di insorgere contro i
forsennati della civiltà di sopravvivenza. Agire per
l'appuntamento più grande: rovesciare la società.
Negli USA il rock è ormai
entrato all'università (15) e il fuoco eretico di questa
musica popolare rischia il definitivo seppellimento. Il rock ha
assunto dappertutto un ruolo crescente di "normalizzatore"
delle turbolenze generazionali e da "strumento di sovversione è
diventato anche un singolare mezzo di addomesticamento" (16)
dell'immaginario giovanile.
Il rock è contenitore di
"derive" eversive o non è niente. Il petrolio della
critica radicale induce a riflettere su un'urgenza: la
riappropriazione di una musica che risponda all'inumanità del
profitto con le passioni creative della quotidianità liberata.
(1) Paul Oliver: La grande storia
del blues, Antrophos 1986, pag. 9.
(2) Vedi La grande storia del rock
di AA.VV., vol. 1, Curcio 1975, pag. 63.
(3) Tra le contaminazioni del rock,
un'altra profanazione è quella del country bianco che da Jimmie
Rodgers, Hank Williams, Jonny Cash si coniuga al rockabilly, cioe
"blues con un po' di country beat" (Carl Perkins) ed è
appunto l'infanzia del rock che aveva trovato in Buddy Holly il suo
profeta. Holly rimase ucciso in un incidente aereo il 3 febbraio
1959, aveva 23 anni; con lui morirono altre due star del rock acerbo,
J.P. Richardson (Big Popper) 27 anni e Ritchie Valens, 18 anni.
Interprete di un 45 giri indimenticabile, " Donna/La Bamba".
(4) Paul Oliver: pag. 182, op. cit.
(5) Vedi La società detto
spettacolo, di Guy Debord, più precisamente il II
Capitolo, tesi 53.
(6) Vedi La grande storia
del rock, pag. 21, op. cit.
(7)Film di Presley inediti in Italia:
"STAY AWAY, JOE" (1968) di Peter Tewksbury, "LIVE A
LITTLE, LOVE A LITTLE" (1968) di Norman Taurog, "THE
TROUBLE WITH GIRLS" (1969) di Peter Tewksbury, "CHANGE OF
HABIT" (1970) di Williams Graham. I documentari: "ELVIS
PRESLEY SHOW" (ELVIS-THAT'S THE WAY IT IS, 1970) di Denis
Sanders, "ELVIS ON TOUR" (1973) di Pierre Adidge e Robert
Abel, "ELVIS IL RE DEL ROCK" (ELVIS!, 1979) di John
Carpenter, "THIS IS ELVIS" (1981) di Malcom Leo e Andrew
Solt
(8)Vedi Guida alla musica pop,
di Rolf-Ulrich Kalser, Mondadori 1978, pag. 17.
(9) Paolo Belluso:Flavio Merkel:
Rock-film, Gammalibri 1984, pag.11
(10) Carlo Sartori: La
fabbrica delle stelle/divismo mercato e mass media negli
anni '80, Mondadori 1983, in modo particolare vedi la parte
terza, pagg. 279/315.
(11) Il libro del sovietico Artemy
Troitsky, Compagno rock, Vallardi 1988, mostra i cambiamenti
del costume che la musica rock ha portato in Unione Sovietica e
traccia un profilo veloce dei gruppi che seminano questa cultura
delle differenze nel paese del "comunismo reale".
Testi come questi sono universali :
"Sono seduto sul water / leggendo rolling Stone / Venya è
in cucina / a versareil samogon (liquore distillato in casa) / Vera
dorme nell'attico / sebbene il registratore urli / avremmo dovuto
svegliarla molto tempo fa / ma sarebbero stati "mauvais temps"
(pag.54).
(12) Vedi: La grande storia del
rock, vol. l, pag. 25, op. cit.
13) Paolo Pollo: Prince,
Gammalibri 1987, pag. 34
(14) ibidem, pag. 64
(15) La prima laurea in rock è
nata alla Browling Green State University dell'Ohio. Gli iscritti
sono circa 2.000. Le lezioni di cultura e musica popolare sono tenute
dai proff. Brown e Cagle. Si studiano il rock, la televisione, i
fumetti, il cinema, ecc.; il piano dei lavori prevede quattro anni di
college e due livelli di specializzazione, il Master Degree (una
specie di dottorato) e il Phd (il massimo grado di laurea). Per
queste notizie, vedi l'articolo di Franco Carratori, "Il
Tirreno", 28 settembre 1988.
(16) Alberto Campo-Guido Chiesa:
Rockin'USA, Arcana 1986, pag. 326
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