Rivista Anarchica Online
Ma quale protezione civile?
di Marco Cerutti
Con questo stesso titolo ("Ma
quale protezione civile?") abbiamo pubblicato un anno e mezzo fa
("A" 148, agosto/settembre 1987) la dichiarazione con la
quale l'anarchico Marco "Bak" Cerutti, di Bellinzona
(Canton Ticino), motivava il suo rifiuto di partecipare ai corsi
(obbligatori) di protezione civile, denunciandone l'inquadramento in
un'ottica militare. Per questo suo rifiuto, Bak trascorse in galera
16 giorni, durante i quali effettuò per protesta, uno sciopero
della fame (perdendo 7 chili). La lunga guerra tra Bak ed il
militarismo elvetico data dal '74, quando scontò i suoi primi
4 mesi di carcere per il suo rifiuto di fare il servizio militare.
Nel '77, stesso rifiuto, stessa condanna, stesso periodo di
detenzione. Quindi, finalmente, l'espulsione dall'esercito. Tra tasse militari (che Bak rifiuta
sistematicamente di pagare) e corsi di partecipazione civile (ai
quali, appunto, rifiuta di partecipare), Bak ha tenuto aperto il
contenzioso con le autorità elvetiche. Nell'87, infatti, dopo i giorni di
carcere di cui si è detto prima, Bak ne ha trascorsi altri 14
per il suo rifiuto di pagare la tassa di esenzione dal servizio
militare: nella pacifica e neutrale Confederazione Elvetica, chiunque
per qualsiasi ragione non faccia il servizio militare (invalidi e
ciechi compresi) deve pagare una tassa specifica. Ora si prospetta un nuovo capitolo. Bak
ha presentato ricorso contro la condanna relativa alla protezione
civile. Ed ha scritto questa lettera che, sotto il titolo "Mi
sento colpevole, però...", è apparsa su Il
quotidiano del 31 dicembre scorso.
Non è mia abitudine, se non
con amici intimi, parlare di fatti che mi riguardano ma, in questo
caso, mi sembra che la situazione nella quale sono coinvolto possa
concernere tutti. Sono stato condannato a 15 giorni di
detenzione, col beneficio della sospensione condizionale e a 300
franchi di multa (più 200 di spese di giustizia) per essermi
rifiutato di prestare servizio di protezione civile (già avevo
scontato 22 giorni di carcere – multe tramutate in arresto per
lo stesso reato). Ma non era mia intenzione usufruire
della possibilità di ricorso, in quanto questa opposizione
avrebbe in qualche modo potuto costituire una legittimazione
dell'autorità che non riconosco: ritengo infatti che nessuno,
sia pur democraticamente investito, abbia il diritto di giudicare e
condannare delle idee che un altro essere umano manifesta e
concretizza nel corso della sua vita sociale. Un mio carissimo amico,
particolarmente zelante, e la circostanza della quasi coincidenza fra
questa condanna e la celebrazione del quarantesimo anniversario della
Dichiarazione dei diritti dell'uomo mi hanno però spinto in
tale direzione. Non che io creda alle dichiarazioni di qualsiasi
specie esse siano (alla mia prima dichiarazione d'amore, che risale
all'incirca al '68, ad esempio, non fu per niente dato seguito), ma
mi dà sempre un certo fastidio l'opportunistico accordarsi a
campagne "For Human Rights", quando, nel proprio piccolo,
gli stessi proclamati "diritti umani" non sono rispettati
(il diritto di manifestare, in piena libertà, le proprie
opinioni è inalienabile). A scanso di equivoci, voglio
precisare che io mi dichiaro colpevole, pienamente, di questo reato;
non sono una vittima: godo del privilegio di aver ricevuto
un'educazione (non certo esclusivamente scolastica – ai miei
tempi, benché se ne celebrasse il ventennale, nessuno fra i
miei professori aveva accennato all'esistenza della Carta dei diritti
dell'uomo e, del resto, dai pochi riscontri che ho, mi sembra che la
situazione non sia cambiata) che mi permette di orientarmi
razionalmente ed eticamente fra le mostruosità, più o
meno evidenti, delle istituzioni autoritarie (e lo stato, di
qualunque tipo esso sia, ne è la concentrazione più
funesta) del nostro mondo. La mia risposta è stata (ed
è) no: no all'esercito; no all'ideologia guerresca propugnata
dalla protezione civile, col suo indirizzarsi verso ipotesi di vita
da sottosuolo (quanto è stato speso per questi bunker?) e con
la sua imbelle ignavia in occasione delle vere guerre che dobbiamo
affrontare: quelle dei disastri ambientali provocati dalla spietata,
disumana e anti-ecologica corsa al profitto.
P.S. - Il mio ricorso contro la
sentenza in questione non vuole in alcun modo essere di tipo tecnico
(l'entità della condanna mi interessa sicuramente poco), bensì
di principio: il solo fatto di esser stato convocato dal procuratore
pubblico in qualità di imputato per aver manifestato
pubblicamente delle idee ed aver operato sulla base delle stesse
costituisce una violenza che considero inammissibile alla mia libertà
e dignità di essere umano.
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