Rivista Anarchica Online
La loro Europa e la nostra
di Andrea Papi
La spinta propulsiva verso "l'unità
europea" non nasce dai movimenti di base e non procede verso una nuova
fratellanza tra etnie e popoli diversi. Il futuro governo europeo
amplificherà così la distanza tra i detentori del
potere ed i cittadini, privati di reali strumenti di controllo e di
partecipazione
Quando questo numero di "A"
sarà in distribuzione, mancherà pochissimo allo
svolgimento del rituale delle elezioni, questa volta per eleggere il
parlamento europeo. Allora tutti i giochi preelettorali saranno stati
fatti, i vari partiti e le varie coalizioni in lizza si saranno
pienamente espressi e, in un clima da vigilia, si vivrà
nell'attesa, per qualcuno ansiosa, dei risultati in cifre sui quali
poi, come ogni volta, i vari esponenti di turno diranno la loro. I
vincenti più che mai trionfanti, gli sconfitti cercando di
apparire meno perdenti di quello che in realtà saranno stati.
Uno scenario di comportamenti
televisivi e da rotocalco, più che mai prevedibile e scontato
fino alla nausea.
Nel frattempo, fino a quella vigilia,
tra i concorrenti della gara elettorale ci sarà stata
un'animazione frenetica, come se assistessimo alla competizione di
una giostra medioevale il cui ambito premio, invece di essere la
delicata manina della bellissima principessa, sarà il consenso
degli elettori, che si tenterà di estorcere col fascino della
teatralità. Una ridda di insulti più o meno velati, di
alleanze che sorgono improvvise e di altre che si rompono, magari per
motivi poco comprensibili come il disaccordo su un nome,
dichiarazioni forti accompagnate da promesse, interviste e confronti
pubblici in cui ogni cavallo di razza cerca di apparire come il
leader più accreditato per lealtà, senso di giustizia,
onestà, acume politico, ecc... Alla vigilia, forse come
sempre, quest'equipe eterogenea di imbonitori politici del palazzo
sarà riuscita a convincere la maggioranza degli aventi diritto
al voto che è indispensabile continuare a votarli, perché
senza quel voto la cosa pubblica correrebbe seri pericoli e ci
troveremmo tutti di fronte a tempi molto bui.
Una nuova superpotenza
I giochi, i metodi e i fini, anche se
aggiornati alle nuove tecnologie dell'immagine, sono gli stessi da
quando ci sono le elezioni. Ma questa volta l'obiettivo ha una
valenza diversa, perché non si vota per qualcosa di italiano,
bensì per eleggere i deputati di un parlamento sovranazionale,
quello europeo. La posta in gioco viene presentata come più
alta, sia perché si deve cominciare a costruire quell'Europa
politica, commerciale e industriale che viene proposta come un
processo storico appartenente all'ordine naturale delle cose, sia
perché il voto del 18 giugno avrà inevitabili effetti
sulle scelte e le tensioni politiche interne. Da una parte si procede
verso una strutturazione che supera e tende a rendere obsoleti gli
acquartieramenti nostalgici all'interno del suolo nazionale definito
dal risorgimento ottocentesco, dall'altra i professionisti dei
partiti nostrani continuano a rimanere abbarbicati alle loro beghe e
sembrano vivere il momento di definizione della nuova Europa come
un'altra occasione per mettere a punto i conti in casa propria,
fregandosene della sovranazionalità.
Ma che cos'è quest'Europa
politica di cui ci stanno sistematicamente riempiendo la testa con
tutti i mezzi di imbonimento a loro disposizione? Corrisponde
effettivamente a una nuova idealità al passo coi tempi, come
qualcuno mostra di credere fermamente? Rimanendo a quello che abbiamo
di fronte, senza voler fare balzi improbabili nel futuro, anche
perché a questa tanto sbandierata nuova idealità ci
crediamo poco, ci appare soprattutto come una nuova coalizione tra
stati che hanno confini vicini in una determinata parte del mondo. Un
tentativo di determinare una solida alleanza in grado di mettere in
piedi una nuova superpotenza sia economica, che politica, che
militare. Se questo si avvererà, come sembra stia succedendo a
ritmo sempre più veloce, ovviamente se ne troveranno
avvantaggiati anche i singoli stati, come l'Italia, che fanno parte
di questo nuovo blocco planetario.
Ma dove si trova la tanto conclamata
nuova fratellanza tra popoli, culture ed etnie diverse? A ben vedere
la spinta propulsiva di questa nuova alleanza non proviene dal basso,
cioè dalle popolazioni coinvolte; non è il frutto e la
risultante di un movimento di base che si è andato imponendo e
che vuole il superamento, innanzitutto mentale e culturale, dei
confini che sono stati eretti nel tempo dall'evoluzione degli stati
nazionali. Niente di tutto questo. Questa volta le barriere e i
confini vengono abbattuti dagli stati stessi. Non tanto perché
non vi credano più o perché, come si diceva una volta,
sono diventati internazionalisti. Ma perché quei confini non
sono più confacenti agli interessi economici, militari e
politici che si stanno vieppiù determinando. La vecchia
Europa degli stati nazionali, usciti prima dal congresso di Vienna
del 1814 poi dai vari movimenti risorgimentali che l'avevano scossa,
dopo la sconfitta del nazifascismo nella seconda guerra mondiale e il
conseguente patto di Yalta, ha cominciato a scricchiolare e i suoi
acciacchi di centro millenario del mondo si stanno facendo sentire.
Il mondo ora è diviso in aree di influenza gestite da
superpotenze commerciali e militari. La concorrenza tra stati europei
non solo non serve più, ma sta diventando altamente
improduttiva, anzi dannosa. Si impone dunque l'alleanza, pena la
decadenza verso un baratro da cui rischierebbe di non rialzarsi più.
Meglio stare uniti in una comune potenza, che continuare a restare
divisi e in concorrenza in una comune decadenza incontrollabile. Ecco
la nuova presunta idealità, che più che altro dà
l'idea che si tratti di nuovi strumenti utili a un'antica
restaurazione per tornare ad essere al centro del mondo.
Accentramento progressivo
Da tutto ciò emerge un dato per
noi preoccupante. La politica per l'Europa unita è un
progressivo e ulteriore passo verso la centralizzazione. Il futuro
governo europeo, che in tempi brevi sembra destinato a diventare un
vero e proprio momento decisionale, è di fatto un
accentramento enorme di poteri nelle mani di una ristretta élite
politica, la quale sarà sempre più incontrollabile da
parte dei rappresentanti, i cittadini dei singoli stati. Avrà
collegamenti, in realtà già attivi, con l'alta finanza
internazionale, con le multinazionali, con il militarismo delle
superpotenze e farà così parte dei centri vitali di
decisione dal cui dominio dipendono le sorti del mondo. Questo
processo non rappresenta un bene che per coloro che detengono questo
enorme potere che come sempre, sarà a discapito dell'enorme
maggioranza delle genti sottoposte.
L'Occidente, di cui l'Europa è
uno dei simboli pregnanti, vanta di essere il portabandiera della
libertà. Soprattutto ora, che i regimi assolutisti a
cosiddetto socialismo realizzato sempre più velocemente stanno
dichiarando il proprio fallimento, si autolegittima a punto di
riferimento per la democrazia, il libero mercato, il presunto
benessere delle sue masse. Ma c'è un'altra faccia della
medaglia che è preoccupante: l'enorme disparità tra il
nord e il sud del mondo, la disoccupazione endemica che appare ormai
a lunga scadenza, l'industrialismo imperante fondamentale fattore di
un inquinamento selvaggio ed esteso, comportamenti e manifestazioni
razziste che riaffiorano con forza, l'aumento costante di una
violenza indiscriminata e generalizzata. L'elenco potrebbe
continuare, ma è già un quadro realistico
sufficientemente inquietante.
L'accentramento progressivo della
decisionalità politica, che genera un aumento della distanza
tra chi detiene il potere e chi lo subisce e può agire
indisturbato perché i cittadini sono privati di reali
strumenti di controllo e di partecipazione, non contribuisce in alcun
modo alla soluzione degli enormi problemi che stanno travagliando il
pianeta. Al contrario in un certo senso contribuisce a coltivarli e a
renderli costanti. Essendo basato sul principio del dominio li
amplifica e ne genera di nuovi, forse peggiori.
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