Rivista Anarchica Online
Corrosivo e visionario
di Cristina Valenti
"Come un bambino in rivolta"
è il titolo dell'ultimo spettacolo rappresentato dal Teatro
Due Mondi di Faenza.
"Un teatro eversivo o
diseducativo, in un panorama di preoccupante omologazione. Compito
non facile, quello che si chiede agli attori: di raccontare con le
parole di altri una loro ansia di libertà - libertà
relativa, tutta quella possibile - creativa, di vita, di pensiero". Con queste parole si apre Come un
bambino in rivolta, ovvero Il libro di Ubu, del Teatro Due
Mondi di Faenza.
Eversione, diseducazione e libertà
sono le tre parole chiave, attorno alle quali è possibile
organizzare i fili dell'esperienza del Teatro Due Mondi.
Eversione nel senso letterale di
rovesciare e abolire lavorando in profondità ossia,
trattandosi di teatro, di sovvertire gli statuti formali per ricreare
a partire dai fondamenti relazionali e culturali più
autentici: il gruppo, l'attore, la necessità sociale, le
motivazioni personali (e la politica, quindi). Poi la diseducazione,
nella duplice accezione di teatro "non educato" e "non
educativo": che fa a meno dell'apprendistato accademico e non si
disciplina secondo i paradigmi del sistema teatrale, ma anche che
rifiuta di farsi specchio dorato del mondo, che nel piccolo della
propria scena non ospita un'illusione consolatoria, ma si propone di
rovesciare, piuttosto, le immagini facilmente edificanti con le quali
la società dello spettacolo tende solitamente ad
auto-rappresentarsi. Un teatro che non sperimenta la norma, ma
l'impertinenza, non l'omologazione ma la libertà, se
possibile: e sceglie come propria metafora quella di Ubu, re abnorme
e visionario, che fa strage di nobili e magistrati e sogna di
costruire il suo teatro: "Con una grande e comoda platea, sì,
ma con un palcoscenico molto più grande..." per farci
entrare "solo i teatranti veri, quelli che si divertono ancora
nel teatro, e quelli che ancora credono che il teatro serve a
cambiare attore e spettatore, a cambiare lo stato delle cose".
Una piccola grande realtà
Il senso delle tre parole lo si ritrova
nei materiali che compongono il libro, che è infatti il libro
dell'Ubu Re, ma è anche il libro dei Due Mondi, ossia
di un gruppo teatrale che si connota in relazione alla propria
storia: la cui identità è il risultato di un percorso
costruito attraverso spettacoli, lavoro auto-pedagogico,
organizzazione teatrale e attraverso un ambiente fatto di amicizie e
pulsioni ideali, e all'interno di una rete di interessi e relazioni
che non sono solo teatrali, ma che al teatro contribuiscono
costruendone e ricercandone il senso. Così il libro oltre al
testo dell'Ubu re (di Gigi Bertoni, da A. Jarry) presenta la
Teatrografia del gruppo, l'Album degli spettacoli più
recenti (Viaggio nelle geografie del cuore, tratto dal
Risveglio di primavera di Wedekind, e Nora Helmer, o
della delimitazione dell'acqua, da Casa di bambola di
Ibsen); e accoglie inoltre gli interventi di alcuni ospiti,
una sezione che è significativamente aperta da una citazione
di Eugenio Barba: "Per comprendere il valore sociale del teatro
non bisogna solo guardare alle merci, agli spettacoli prodotti, ma
anche alle relazioni che gli uomini stabiliscono producendo
spettacoli".
Le relazioni del Teatro Due Mondi,
testimoniate in queste pagine, sono quelle con altri teatranti non
omologati - Marco Martinelli Gabrieli delle Albe (sul quale si veda
"A" 163, aprile 1989), Alessandro Gentili, attore e
regista che è anche compagno di strada e collaboratore stretto
dei Due Mondi, Lorenzo Minelli di Cenacolo l'impossibile - ma sono
anche le relazioni costruite con una realtà strettamente
politica quale il Movimento Nonviolento di Faenza, che fornisce, in
margine a Ubu, un proprio contributo sulla teoria e pratica
della nonviolenza gandhiana.
È
una piccola grande realtà, quella di Faenza: piccola perché
può contare numericamente su poche persone (il regista,
Alberto Grilli, il drammaturgo, Gigi Bertoni, gli attori, che sono
due, al momento, impegnati nello spettacolo (Angela Pezzi e Renato
Valmori) e perché ha povertà di mezzi e di spazi: una
piccola sala nella quale provare e un piccolo teatro storico, a
Brisighella, nel quale montare gli spettacoli: un luogo delizioso che
non gode però del requisito fondamentale dell'agibilità.
Ma è anche una realtà grande perché, oltre
all'organico più stretto, raccoglie e aggrega attorno alle
proprie attività tutta una serie di persone disponibili a
contribuire con spirito "militante" alle varie iniziative.
È
il risvolto positivo dell'incertezza istituzionale, il fatto cioè
di radicalizzare le motivazioni personali e di realizzare una
struttura organizzata aperta e tendenzialmente portata a non
giudicare alcun progetto inattuabile in partenza. Così è
stato il Teatro Due Mondi ad ospitare quest'anno la giornata Dedicata
a Julian Beck, con il Convegno Internazionale sull'Obiezione di
Coscienza nel mondo , organizzato in collaborazione con la Fondazione
Julian Beck e il Movimento Nonviolento (v. "A"168, novembre
1989); e il progetto si è inserito in una programmazione
estiva tutta incentrata sui temi del pacifismo e della nonviolenza,
con gli spettacoli del Teatro Tascabile di Bergamo (su Gandhi),
dell'Akademia Ruchu polacca e di Santagata Morganti (su
Donchisciotte), e inoltre con un seminario di teatro di strada tenuto
da Serena Urbani del Living Theatre.
E l'attività organizzativa del
Teatro Due Mondi continua con iniziative sempre mirate, che tendono
ad esplorare ed avvicinare le ragioni profonde del fare teatro (i
laboratori di autopedagogia teatrale, le conferenze storiche e, di
recente, gli spettacoli e i seminari tenuti dagli ospiti orientali,
Kathakali e Bharata Natyam). Ma va soprattutto detto che l'ultimo
spettacolo dei Due Mondi, Ubu re è davvero bello: una
prova straordinaria sul piano della drammaturgia registica , attorica
e testuale. Lo spessore ideologico in questo caso non ha contrastato
l'arte, ma l'ha incontrata e favorita.
È un Ubu corrosivo e
visionario, col tocco delicato del fiabesco e il graffio amaro del
politico, con la magia artigianale delle macchine e la freschezza
antiretorica della recitazione.
Impegno e passione ideologica
È uno spettacolo-mondo: il micro
mondo teatrale di un gruppo che si è abituato a ripensare alla
propria storia attraverso le diverse metafore dei propri spettacoli;
o meglio è uno spettacolo-satellite, che gravita impazzito
attorno al pianeta del sistema teatrale avendo attirato nella sua
orbita oggetti, storie, sensi. Gli oggetti degli attori artigiani,
che costruiscono e azionano personalmente sulla scena le macchine, le
armature, i manichini, i cavalli di legno, le luci, le piantane, i
tapis roulant, la torre mobile, l'esercito di giacche, i
lenzuoli-vele, e che sulla scena portano il bagaglio di cose che fa
parte del loro patrimonio di "arte, fatica, sudore, metodo,
disciplina, fantasia" e della loro dotazione di attrezzi,
maschere, reperti di spettacoli precedenti; la storia dei componenti
del teatro Due Mondi, ma anche di una generazione, quella che ha
raccolto l'eredità di impegno, passione ideologica e
radicalità dei teatri di base degli anni settanta evitando che
il nuovo teatro la dissipasse; i sensi di irriducibilità, di
autenticità dei propri temi, a costo di un'inattualità
cercata nell'universo "leggero" dello spettacolo dominante:
la pace, la violenza, l'utopia. "Sono solo un attore" dice
Ubu nella scena dell'ultima battaglia "che arranca tra ricordi
improbabili e teatrali, autobiografia di un re-ubu che la storia non
può tollerare, come il teatro. (...) E d'altra parte, io non
sono qui per davvero, e mi sono premunito e porto assieme tutto il
necessario teatrale per potervi far credere (...)
E domani si replica, attori e
commercianti, per un pubblico nuovo. Quanto tempo ho, prima della
prossima scena? Ora ho ripreso fiato, e mi ripresento stizzoso a
spazzare gli eserciti del palcoscenico.
Buon pro mi faccia, e mi aiuti a
cogliere il senso di un gesto di conquista che la nebbia padana, o la
miopia, o la lettura di gazzette e gazzettieri, mi nasconde alla
vista". Così, anche questo spettacolo
antinaturalistico, grottesco, patafisico e visionario è, come
quelli che l'hanno preceduto, fortemente autobiografico del gruppo.
Ubu Re / È eversivo perché
(…)
La riscrittura del testo, faziosamente, si prefiggeva di costruire
una storia di eversione. In fondo, questo novello Macbeth che è
Ubu, sobillato dalla sua Lady, altro non deve fare che ripetere lo
steso omicidio che mille altre volte in teatro e nella vita è
stato raccontato. Un re uccide un re, ne prende il posto, ne replica
valori e gerarchia, e si prepara ad essere ucciso da un nuovo re.Ma
questa volta qualcosa non funziona. Ed è Ubu che non funziona
come re. Perché antepone la propria visione del mondo ai suoi
doveri verso la storia. Ubu
non è un re di pace, anzi. È
un massacratore di nobili, finanzieri, magistrati, contadini, nemici.
Un guerrafondaio, ma nel teatro. E teatrale è la sua guerra di
cannoni di polistirolo, dove i soldati colpiti si rialzano alla fine
di una scena – così come lo spettatore alla fine dello
spettacolo. Allora
Ubu è eversivo proprio perché, seguendo la sua logica,
massacra per difendere se stesso e la sua teatralità,
azzerando una struttura di potere (la gerarchia polacca e i valori
consolidati) e chiamandoci alla sua guerra. Noi
aderiamo, e tentando di combatterla con lui, coi nostri fucili a
tappi, e sporchi di sangue di pomodoro. Con la gioia che può
dare un massacro di politici... (…)
Ed è stato lì, mischiandoci con Ubu, che abbiamo
scoperto delle strane contiguità, tra la nostra storia e
quella del burattino francese: anche noi volevamo vivere senza
riconoscere le leggi, quelle del mercato, quelle del salario, quelle
guerrafondaie dello stato. Alberto e Angela combattono la loro
battaglia per "sopravvivere" come gruppo in un contesto
assolutamente contrario, e sanno che per farlo devono riuscire ad
imporre un proprio punto di vista al mondo. Anche Ubu vive in un suo
punto di vista, con valori diversi da quelli di Venceslao, Bordure,
Bugrelao e Madre Ubu. Anche
Ubu ha bisogno di un suo teatro per esistere. (…)
Ancora lo spettacolo. La storia poi si riprende la storia, e come in
ogni favola che si rispetti, e come del resto nella realtà,
arriverà un terzo re a ripristinare l'ordine costituito, la
gerarchia, i valori. Ubu
fuggirà, non troppo sconvolto né dai fiumi di sangue
fatti scorrere, né dal fatto di aver perso un regno, verso
nuove terre-avventure. Egli altro non è che un personaggio
teatrale, alieno dalle preoccupazioni degli uomini. Ci
stiamo giocando molto, su questo "Ubu distratto" dalla
patafisica, e che ci siamo ricuciti addosso. Per
la ricostruzione di un mondo pata-politico, a difesa del quale ci
schieriamo, contro il mondo massacrabile della politica.
Gigi
Bertoni (dalla
Presentazione
di Come un bambino in
rivolta. Il
libro di Ubu.
Faenza,
Teatro Due Mondi,1989).
La
scena 7
Scena
7: La replica della ragione (2): lo Stato. Padre
Ubu si sveglia. Madre Ubu lo guarda: M.U.:
Ah, Padre Ubu, è la guerra, è la guerra! Padre
Ubu fa scoppiare i petardi. M.U.:
Corriamo ad organizzare l'esercito (sì), a raccogliere i
viveri (sì), a preparare l'artiglieria e le fortezze (sì),
a prendere il denaro per le truppe. P.U.:
eh no, questo poi no! Non voglio dar denaro per fare la guerra. Ah
bravi, prima mi pagavano per fare la guerra ed ora io devo pagare per
farla. No, per la mia candela verde, fate la guerra se è
proprio necessario, ma senza farmi sborsare nulla. Soldati. Soldati
ed eserciti. Qui la cavalleria che viene, i fanti pronti per
l'attacco. Ecco gli eserciti. Quel
territorio polacco mi è necessario, e storicamente,
storicamente mi appartiene. Lo compro! Ti
do trenta soldati del sud, quindici omosessuali, e qualche civile che
cadrà vittima di un bombardamento su qualche villaggio
normale, periferico, costiero. Lasciamo stare le capitali, per
favore, potremmo far qualche grosso danno davvero. È
così che si parlano nei tavoli internazionali, sui telefoni
dei servizi, ai cocktail, i generali? E
con una canna di fiume si fa un po' di pulizia, si combatte con
valore, eroicamente, e intanto si incrementa l'industria e si
riassetta bilancio ed economia. Ma
bisogna pur muoversi, e quindi ci occorre un cavallo. E coriandoli
per la parata, e le guardie schierate, e tamburi, e proclami... che
voglia o no, lo spettacolo è questo. Questa è la mia
guerra, quella che ho provata. E semino il campo di poveri morti, ma
qui non ci sono famiglie che piangono i morti, qui la morte è
indolore. Uno cade e si rialza. Il tempo di una rincorsa, una
canzone, un …Un re è caduto, ma è per finta. E
allora, che cosa ha provocato quell'eco, come qualcosa caduta
davvero. Forse il rumore di una guerra combattuta, reale, in oriente. Bisogna
chiudere bene le imposte, e ridere, ridere, ridere forte, forte
parlare. Bisogna soprattutto saper rispettare, presidenti, direttori,
cardinali, rispettare tutti. E noi? Il rispetto per noi? Manca il
tempo per produrre rispetto per noi, e per riflettere a fondo su di
noi. Proviamo almeno a mandare segnali decifrabili per una
conversazione...
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