Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 169
dicembre 1989 - gennaio 1990


Rivista Anarchica Online

Corrosivo e visionario
di Cristina Valenti

"Come un bambino in rivolta" è il titolo dell'ultimo spettacolo rappresentato dal Teatro Due Mondi di Faenza.

"Un teatro eversivo o diseducativo, in un panorama di preoccupante omologazione. Compito non facile, quello che si chiede agli attori: di raccontare con le parole di altri una loro ansia di libertà - libertà relativa, tutta quella possibile - creativa, di vita, di pensiero".
Con queste parole si apre Come un bambino in rivolta, ovvero Il libro di Ubu, del Teatro Due Mondi di Faenza.
Eversione, diseducazione e libertà sono le tre parole chiave, attorno alle quali è possibile organizzare i fili dell'esperienza del Teatro Due Mondi.
Eversione nel senso letterale di rovesciare e abolire lavorando in profondità ossia, trattandosi di teatro, di sovvertire gli statuti formali per ricreare a partire dai fondamenti relazionali e culturali più autentici: il gruppo, l'attore, la necessità sociale, le motivazioni personali (e la politica, quindi). Poi la diseducazione, nella duplice accezione di teatro "non educato" e "non educativo": che fa a meno dell'apprendistato accademico e non si disciplina secondo i paradigmi del sistema teatrale, ma anche che rifiuta di farsi specchio dorato del mondo, che nel piccolo della propria scena non ospita un'illusione consolatoria, ma si propone di rovesciare, piuttosto, le immagini facilmente edificanti con le quali la società dello spettacolo tende solitamente ad auto-rappresentarsi. Un teatro che non sperimenta la norma, ma l'impertinenza, non l'omologazione ma la libertà, se possibile: e sceglie come propria metafora quella di Ubu, re abnorme e visionario, che fa strage di nobili e magistrati e sogna di costruire il suo teatro: "Con una grande e comoda platea, sì, ma con un palcoscenico molto più grande..." per farci entrare "solo i teatranti veri, quelli che si divertono ancora nel teatro, e quelli che ancora credono che il teatro serve a cambiare attore e spettatore, a cambiare lo stato delle cose".

Una piccola grande realtà
Il senso delle tre parole lo si ritrova nei materiali che compongono il libro, che è infatti il libro dell'Ubu Re, ma è anche il libro dei Due Mondi, ossia di un gruppo teatrale che si connota in relazione alla propria storia: la cui identità è il risultato di un percorso costruito attraverso spettacoli, lavoro auto-pedagogico, organizzazione teatrale e attraverso un ambiente fatto di amicizie e pulsioni ideali, e all'interno di una rete di interessi e relazioni che non sono solo teatrali, ma che al teatro contribuiscono costruendone e ricercandone il senso. Così il libro oltre al testo dell'Ubu re (di Gigi Bertoni, da A. Jarry) presenta la Teatrografia del gruppo, l'Album degli spettacoli più recenti (Viaggio nelle geografie del cuore, tratto dal Risveglio di primavera di Wedekind, e Nora Helmer, o della delimitazione dell'acqua, da Casa di bambola di Ibsen); e accoglie inoltre gli interventi di alcuni ospiti, una sezione che è significativamente aperta da una citazione di Eugenio Barba: "Per comprendere il valore sociale del teatro non bisogna solo guardare alle merci, agli spettacoli prodotti, ma anche alle relazioni che gli uomini stabiliscono producendo spettacoli".
Le relazioni del Teatro Due Mondi, testimoniate in queste pagine, sono quelle con altri teatranti non omologati - Marco Martinelli Gabrieli delle Albe (sul quale si veda "A" 163, aprile 1989), Alessandro Gentili, attore e regista che è anche compagno di strada e collaboratore stretto dei Due Mondi, Lorenzo Minelli di Cenacolo l'impossibile - ma sono anche le relazioni costruite con una realtà strettamente politica quale il Movimento Nonviolento di Faenza, che fornisce, in margine a Ubu, un proprio contributo sulla teoria e pratica della nonviolenza gandhiana.
È
una piccola grande realtà, quella di Faenza: piccola perché può contare numericamente su poche persone (il regista, Alberto Grilli, il drammaturgo, Gigi Bertoni, gli attori, che sono due, al momento, impegnati nello spettacolo (Angela Pezzi e Renato Valmori) e perché ha povertà di mezzi e di spazi: una piccola sala nella quale provare e un piccolo teatro storico, a Brisighella, nel quale montare gli spettacoli: un luogo delizioso che non gode però del requisito fondamentale dell'agibilità. Ma è anche una realtà grande perché, oltre all'organico più stretto, raccoglie e aggrega attorno alle proprie attività tutta una serie di persone disponibili a contribuire con spirito "militante" alle varie iniziative.
È il risvolto positivo dell'incertezza istituzionale, il fatto cioè di radicalizzare le motivazioni personali e di realizzare una struttura organizzata aperta e tendenzialmente portata a non giudicare alcun progetto inattuabile in partenza. Così è stato il Teatro Due Mondi ad ospitare quest'anno la giornata Dedicata a Julian Beck, con il Convegno Internazionale sull'Obiezione di Coscienza nel mondo , organizzato in collaborazione con la Fondazione Julian Beck e il Movimento Nonviolento (v. "A"168, novembre 1989); e il progetto si è inserito in una programmazione estiva tutta incentrata sui temi del pacifismo e della nonviolenza, con gli spettacoli del Teatro Tascabile di Bergamo (su Gandhi), dell'Akademia Ruchu polacca e di Santagata Morganti (su Donchisciotte), e inoltre con un seminario di teatro di strada tenuto da Serena Urbani del Living Theatre.
E l'attività organizzativa del Teatro Due Mondi continua con iniziative sempre mirate, che tendono ad esplorare ed avvicinare le ragioni profonde del fare teatro (i laboratori di autopedagogia teatrale, le conferenze storiche e, di recente, gli spettacoli e i seminari tenuti dagli ospiti orientali, Kathakali e Bharata Natyam).
Ma va soprattutto detto che l'ultimo spettacolo dei Due Mondi, Ubu re è davvero bello: una prova straordinaria sul piano della drammaturgia registica , attorica e testuale. Lo spessore ideologico in questo caso non ha contrastato l'arte, ma l'ha incontrata e favorita.
È un Ubu corrosivo e visionario, col tocco delicato del fiabesco e il graffio amaro del politico, con la magia artigianale delle macchine e la freschezza antiretorica della recitazione.

Impegno e passione ideologica
È uno spettacolo-mondo: il micro mondo teatrale di un gruppo che si è abituato a ripensare alla propria storia attraverso le diverse metafore dei propri spettacoli; o meglio è uno spettacolo-satellite, che gravita impazzito attorno al pianeta del sistema teatrale avendo attirato nella sua orbita oggetti, storie, sensi. Gli oggetti degli attori artigiani, che costruiscono e azionano personalmente sulla scena le macchine, le armature, i manichini, i cavalli di legno, le luci, le piantane, i tapis roulant, la torre mobile, l'esercito di giacche, i lenzuoli-vele, e che sulla scena portano il bagaglio di cose che fa parte del loro patrimonio di "arte, fatica, sudore, metodo, disciplina, fantasia" e della loro dotazione di attrezzi, maschere, reperti di spettacoli precedenti; la storia dei componenti del teatro Due Mondi, ma anche di una generazione, quella che ha raccolto l'eredità di impegno, passione ideologica e radicalità dei teatri di base degli anni settanta evitando che il nuovo teatro la dissipasse; i sensi di irriducibilità, di autenticità dei propri temi, a costo di un'inattualità cercata nell'universo "leggero" dello spettacolo dominante: la pace, la violenza, l'utopia.
"Sono solo un attore" dice Ubu nella scena dell'ultima battaglia "che arranca tra ricordi improbabili e teatrali, autobiografia di un re-ubu che la storia non può tollerare, come il teatro. (...) E d'altra parte, io non sono qui per davvero, e mi sono premunito e porto assieme tutto il necessario teatrale per potervi far credere (...)
E domani si replica, attori e commercianti, per un pubblico nuovo. Quanto tempo ho, prima della prossima scena? Ora ho ripreso fiato, e mi ripresento stizzoso a spazzare gli eserciti del palcoscenico.
Buon pro mi faccia, e mi aiuti a cogliere il senso di un gesto di conquista che la nebbia padana, o la miopia, o la lettura di gazzette e gazzettieri, mi nasconde alla vista".
Così, anche questo spettacolo antinaturalistico, grottesco, patafisico e visionario è, come quelli che l'hanno preceduto, fortemente autobiografico del gruppo.




Ubu Re / È eversivo perché

(…) La riscrittura del testo, faziosamente, si prefiggeva di costruire una storia di eversione. In fondo, questo novello Macbeth che è Ubu, sobillato dalla sua Lady, altro non deve fare che ripetere lo steso omicidio che mille altre volte in teatro e nella vita è stato raccontato. Un re uccide un re, ne prende il posto, ne replica valori e gerarchia, e si prepara ad essere ucciso da un nuovo re.Ma questa volta qualcosa non funziona. Ed è Ubu che non funziona come re. Perché antepone la propria visione del mondo ai suoi doveri verso la storia.
Ubu non è un re di pace, anzi. È un massacratore di nobili, finanzieri, magistrati, contadini, nemici. Un guerrafondaio, ma nel teatro. E teatrale è la sua guerra di cannoni di polistirolo, dove i soldati colpiti si rialzano alla fine di una scena – così come lo spettatore alla fine dello spettacolo.
Allora Ubu è eversivo proprio perché, seguendo la sua logica, massacra per difendere se stesso e la sua teatralità, azzerando una struttura di potere (la gerarchia polacca e i valori consolidati) e chiamandoci alla sua guerra.
Noi aderiamo, e tentando di combatterla con lui, coi nostri fucili a tappi, e sporchi di sangue di pomodoro. Con la gioia che può dare un massacro di politici...
(…) Ed è stato lì, mischiandoci con Ubu, che abbiamo scoperto delle strane contiguità, tra la nostra storia e quella del burattino francese: anche noi volevamo vivere senza riconoscere le leggi, quelle del mercato, quelle del salario, quelle guerrafondaie dello stato. Alberto e Angela combattono la loro battaglia per "sopravvivere" come gruppo in un contesto assolutamente contrario, e sanno che per farlo devono riuscire ad imporre un proprio punto di vista al mondo. Anche Ubu vive in un suo punto di vista, con valori diversi da quelli di Venceslao, Bordure, Bugrelao e Madre Ubu.
Anche Ubu ha bisogno di un suo teatro per esistere.
(…) Ancora lo spettacolo. La storia poi si riprende la storia, e come in ogni favola che si rispetti, e come del resto nella realtà, arriverà un terzo re a ripristinare l'ordine costituito, la gerarchia, i valori.
Ubu fuggirà, non troppo sconvolto né dai fiumi di sangue fatti scorrere, né dal fatto di aver perso un regno, verso nuove terre-avventure. Egli altro non è che un personaggio teatrale, alieno dalle preoccupazioni degli uomini.
Ci stiamo giocando molto, su questo "Ubu distratto" dalla patafisica, e che ci siamo ricuciti addosso.
Per la ricostruzione di un mondo pata-politico, a difesa del quale ci schieriamo, contro il mondo massacrabile della politica.

Gigi Bertoni
(dalla Presentazione di Come un bambino in rivolta. Il libro di Ubu.
Faenza, Teatro Due Mondi,1989).


La scena 7

Scena 7: La replica della ragione (2): lo Stato.
Padre Ubu si sveglia. Madre Ubu lo guarda:
M.U.: Ah, Padre Ubu, è la guerra, è la guerra!
Padre Ubu fa scoppiare i petardi.
M.U.: Corriamo ad organizzare l'esercito (sì), a raccogliere i viveri (sì), a preparare l'artiglieria e le fortezze (sì), a prendere il denaro per le truppe.
P.U.: eh no, questo poi no! Non voglio dar denaro per fare la guerra. Ah bravi, prima mi pagavano per fare la guerra ed ora io devo pagare per farla. No, per la mia candela verde, fate la guerra se è proprio necessario, ma senza farmi sborsare nulla. Soldati. Soldati ed eserciti. Qui la cavalleria che viene, i fanti pronti per l'attacco. Ecco gli eserciti.
Quel territorio polacco mi è necessario, e storicamente, storicamente mi appartiene. Lo compro!
Ti do trenta soldati del sud, quindici omosessuali, e qualche civile che cadrà vittima di un bombardamento su qualche villaggio normale, periferico, costiero. Lasciamo stare le capitali, per favore, potremmo far qualche grosso danno davvero.
È così che si parlano nei tavoli internazionali, sui telefoni dei servizi, ai cocktail, i generali?
E con una canna di fiume si fa un po' di pulizia, si combatte con valore, eroicamente, e intanto si incrementa l'industria e si riassetta bilancio ed economia.
Ma bisogna pur muoversi, e quindi ci occorre un cavallo. E coriandoli per la parata, e le guardie schierate, e tamburi, e proclami... che voglia o no, lo spettacolo è questo. Questa è la mia guerra, quella che ho provata. E semino il campo di poveri morti, ma qui non ci sono famiglie che piangono i morti, qui la morte è indolore. Uno cade e si rialza. Il tempo di una rincorsa, una canzone, un …Un re è caduto, ma è per finta. E allora, che cosa ha provocato quell'eco, come qualcosa caduta davvero. Forse il rumore di una guerra combattuta, reale, in oriente.
Bisogna chiudere bene le imposte, e ridere, ridere, ridere forte, forte parlare. Bisogna soprattutto saper rispettare, presidenti, direttori, cardinali, rispettare tutti. E noi? Il rispetto per noi? Manca il tempo per produrre rispetto per noi, e per riflettere a fondo su di noi. Proviamo almeno a mandare segnali decifrabili per una conversazione...