Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 169
dicembre 1989 - gennaio 1990


Rivista Anarchica Online

Malgrado noi

È ormai qualche mese - quasi un anno - che si è aperto all'interno della Federazione Anarchica Italiana un dibattito il quale se ancora non si è formalizzato è comunque denso di importanti conseguenze per essa e per l'intero movimento anarchico della penisola.
Tale informalismo nel dibattito è contemporaneamente causa ed effetto della fase di discussione. L'oggetto del contendere è il ruolo, le forme e le prospettive dell'anarchismo militante oggi in Italia. Non è certo la prima volta che questo argomento viene affrontato nel nostro movimento e nella nostra federazione. Proprio sulle colonne di questa rivista eminenti compagni hanno enunciato la fine di un ruolo, di una forma e di una prospettiva per l'anarchismo politico e rivoluzionario. Il contesto del presente discorso non è pero la polemica con queste tesi, rispettabili ma che, evidentemente, non ci hanno ancora convinto.
Il primo impulso a scrivere queste righe mi viene dalla necessità di dare forma pubblica al dibattito di cui sopra e, nel contempo, di farlo al di fuori delle "sedi deputate". La seconda motivazione, più riflessiva, è quella di coinvolgere tutto il nostro movimento in questa discussione che se affrontata può essere foriera di positive soluzioni.

Rimettiamo la palla al centro
È da tempo che in quanto militanti della Federazione Anarchica Italiana cogliamo la sproporzione fra le necessità e le possibilità del nostro agire. Se abbiamo superato le secche degli anni '80 facendo appello a tutto il nostro pragmatismo e volontarismo, non possiamo immaginare, d'altra parte, di affrontare con gli stessi strumenti gli anni che abbiamo di fronte, delle cui implicazioni abbiamo avuto un piccolo assaggio nei due anni recenti.
Lo scenario nel quale ci muoviamo va sempre più acquisendo fisionomia chiara e definita nel superamento di quel contesto che in una battuta potremmo definire secondo dopoguerra. Già questa analisi necessiterebbe di più approfondite dissertazioni, del resto, buona parte delle colonne della pubblicistica anarchica sono dedicate a questo. Assumiamo quindi il dibattito presente nelle sue linee essenziali.
Lo spazio sociale e politico per l'agire anarchico è enorme; il nostro movimento è attestato, intelligentemente, su più campi d'iniziativa e la nostra azione si mostra influente (si potrebbe anche dire non ininfluente).
Contemporaneamente la possibilità di concertare le iniziative e quindi di dare prospettiva e progettualità all'agire dei singoli e dei gruppi stenta pesantemente ad emergere. Qui, badiamo bene, vedo il problema a prescindere dalla crisi/ presenza della Federazione Anarchica Italiana: è comunque un dato di movimento indipendente dalle sue componenti organizzate.
In un idealistico schematismo si potrebbe pure cogliere nella FAI e nelle altre componenti organizzate del movimento la sede di questa concertazione e propositività/progettualità.

Qui casca l'asino
La crisi non è nel ruolo e nelle prospettive ma proprio nelle forme dell'agire anarchico. Su questo pesa senza dubbio la nostra storia recente e passata. Mi interessa però localizzare la discussione relativamente all'attuale "generazione" anarchica. La nostra è quindi storia recente, degli ultimi 20 anni. Di fronte a quegli anni straordinari che vanno sotto il nome di sessantotto il nostro movimento ha messo in campo una serie di ipotesi di lavoro che hanno prodotto differenti moduli organizzativi e prospettive politiche. Tutti comunque riferentisi ad una comune matrice comunista, federalista ed organizzatrice. Tanto che non si definivano delle organizzazioni di per sé ma in quanto "componenti" del movimento anarchico della penisola. Non voglio qui sottacere la presenza dei compagni individualisti e degli anti-organizzatori ma con questi il terreno di confronto è altro. Mi riferisco, evidentemente, a quelle esperienze che si rifanno al filone "organizzato" del movimento e si ispirano al pensiero di Kropotkin, Bakunin e del nostro Malatesta.
Dicevo quindi di queste esperienze che si sono consumate in questo ventennio e che, tutte, hanno mostrato limiti indiscutibili tanto che alcuni ne hanno tratto le debite conseguenze nell'autoscioglimento. In questo contesto anche la FAI che era il prodotto di una sintesi unitaria del movimento anarchico di lingua italiana si è andata via via configurando come componente. Se ancora oggi, soggettivamente, ci rifacciamo a quel postulato unitario e sintetico non possiamo pretendere di rappresentarlo a dispetto dell'evidenza. È forse in questo semplice passaggio il fondamento della crisi della Federazione Anarchica Italiana.
È quindi terminata anche l'esperienza della FAI?.
Soggettivamente ritengo senza ombra di dubbio di si!
Collettivamente ci stiamo interrogando sulla questione.
Ma una domanda sorge spontanea: perché?
È forse esaurita la necessità di una organizzazione specifica anarchica? Ritengo di no!
È forse esaurita la necessità per gli anarchici di condurre la lotta politica rivoluzionaria? Ritengo di no!
É forse esaurita la necessita che il pluralismo e lo sperimentalismo dell'agire anarchico trovino una comune sede di confronto, di accordo e di iniziativa? Ritengo di no!
Può oggi, l'attuale forma della Federazione Anarchica Italiana rappresentare questa necessita? Ritengo di no!
Soggettivamente posso quindi trarre tutte le conclusioni del caso ma in una dimensione collettiva ho il dovere di dare risposte a questi quesiti.
Malgrado noi, non possiamo, collettivamente, adottare altra soluzione che quella della rifondazione. Un termine un po' brutto ma che esprime con molta chiarezza l'ambiguità della situazione e la contraddizione che ci troviamo ad assumere.
Il puro e semplice autoscioglimento evidenzierebbe i problemi ma non farebbe un passo verso le possibili soluzioni.
Non sono date altre forme organizzative di specifico che possano rappresentare le necessita di cui sopra.
Il continuismo, comunque mascherato, non farebbe altro che esasperare la sproporzione fra necessità/desideri e possibilità/realtà.
L'unica strada percorribile è, a mio avviso (beninteso), quella della rifondazione.
Un'altra domanda.
Può essere, questa, un'operazione predeterminata? Evidentemente no! Se rifondazione significasse un semplice maquillage non sarebbe nemmeno il caso di spendere tanto inchiostro. Se rifondazione significasse cambio degli accordi politici nel contesto esistente basterebbe un serrato dibattito sul Bollettino Interno. Se rifondazione significasse un semplice allargamento della militanza faista non sarebbero questi i termini per affrontare la questione.
Immagino che a questo punto i compagni che hanno avuto la bontà di leggere queste righe comincino ad intuire il tono ed il senso dell'intervento.
La rifondazione della Federazione Anarchica Italiana passa attraverso un dibattito che non può coinvolgere solo l'attuale militanza faista ma che deve investire gioco forza (pena la sua inconsistenza) tutto l'anarchismo federalista e rivoluzionario. Malatestiano potrei dire, rischiando la retorica. Segnando in questo un forte elemento di discontinuità con il nostro recente passato, ponendo le basi per adottare positive soluzioni.
Rilanciando anche in questo la propositività e la progettualità anarchica che già trova significativa presenza nei settori di iniziativa dei compagni: dall'antimilitarismo al sindacalismo, dall'ecologia al comunitarismo, dall'internazionalismo alla solidarietà umana e politica, dall'alternativa alle metropoli a quella alle produzioni di morte.
A rileggerci.

Walter Siri (Bologna)