Questo numero è stato stampato prima delle elezioni politiche del 4-5 aprile. L'analisi del nostro
collaboratore Andrea Papi riguarda più in generale il meccanismo-base del sistema democratico
Che cosa assicura immunità e perpetua il complesso del sistema politico
vigente? Possiamo vedere in esso una
specie di autarchia politica che, per il modo in cui è costituito, gli permette praticamente di fare tutto
da sé.
Intendiamoci bene, non ho intenzione di sostenere che l'Italia o l'Europa vivono in un'isola autarchica separati
dal resto del mondo, completamente autosufficienti in tutto e per tutto, nel bene come nel male. Una simile
affermazione, evidentemente e ragionevolmente, sarebbe priva del minimo fondamento e si annullerebbe da
sé.
Oggi sono troppi, continui e strutturali i contatti internazionali a tutti i livelli tra i vari paesi, da quello politico,
a quello economico, a quello militare, per poter anche solo supporre che uno qualsiasi di essi, o anche una vasta
zona geografica quale l'Europa, possa essere in grado di sopravvivere, anche per poco, facendo a meno di
rapporti di ogni tipo con le altre parti del pianeta. Il problema cui faccio riferimento è ben altro e
non si riferisce in alcun modo a parti geografiche prese
separatamente. Mi riferisco invece al rapporto ineludibile tra cittadini e stato, tra governati e governanti, tra
sudditi e potenti. Un rapporto che mi appare tronco perché, seppur definito capillarmente, si ferma a un
dato
punto della sua costituzione che, grosso modo, corrisponde all'abbozzo. Tra queste due componenti
fondamentali della società, praticamente c'è un solo contatto iniziale, il voto, dopodiché
c'è una separazione
netta, in seguito alla quale stato, potenti e governanti si prendono tutto, mentre cittadini governati e sudditi
nulla. Dopo questa separazione rimane soltanto una relazione necessaria, impostata sulla completa sottomissione
dei subordinati.
Mandato in bianco Ma vediamo di capirci meglio. I sistemi politici
occidentali si definiscono su una base innegabilmente
democratica, cioè la costituzione di assemblee parlamentari elette periodicamente da tutti i cittadini
indistintamente, detti altrimenti popolo. A garanzia di democraticità, gli eletti con voto segreto debbono
rinnovare il loro mandato ogniqualvolta scade il termine, stabilito da ogni singola costituzione, con rinnovate
e successive elezioni, in seguito alle quali possono sia essere rieletti, sia no. Con questo meccanismo, semplice
all'atto della definizione, i delegati si trovano costretti ad assicurarsi continuamente il consenso degli elettori
e a mantenere la loro fiducia durante tutto il percorso del loro mandato. Teoricamente, tutto ciò
dovrebbe
garantire un rapporto permanente tra il vertice e la base, anche se, a mio avviso, le cose non stanno esattamente
così. Ci sono infatti almeno due momenti fondamentali che contraddicono e annullano la
democraticità del rapporto
tra eletti ed elettori, su cui si fondano le istituzioni parlamentari. Il votante, qualunque esso sia, dall'uomo
comune della strada all'industriale, fino agli stessi professionisti della politica, può fare un'unica cosa:
esprimere con una crocetta la sua preferenza sulla scheda. Il suo intervento, quindi la sua possibilità di
essere
fattivamente partecipe della grande e complessa rete di intrecci sofisticati di cui è composta la
determinazione
politica, si ferma, secondo costituzione, a questo punto. Altro non può e, se per caso, per un qualsiasi
motivo,
sceglie di non esprimere nessuna preferenza né partitica né nominale, perché per
esempio non si riconosce in
nessuna forza e in nessun candidato, automaticamente viene escluso in modo definitivo fino alla successiva
tornata elettorale. All'interno di questa logica, i due elementi che nei fatti annullano la democraticità
del rapporto tra votanti e
votati sono così individuabili non tanto nel momento in cui si esercita l'atto della scelta, bensì
durante tutto il
periodo che separa il votante dalla successiva elezione. Per prima cosa, dal momento che l'unico e reale
intervento diretto dell'elettore si formalizza e si ferma al suo
voto su una scheda anonima, egli non fa altro che attribuire un mandato in bianco a un componente di partito,
quindi al partito stesso. Non sa, né può sapere veramente, che cosa verrà fatto del suo
mandato; bensì può
soltanto supporlo. Baserà questa sua supposizione o sulle cose sentite durante la campagna elettorale,
o
sull'informazione costruitasi nel tempo attraverso ciò che propinano quotidianamente i mass-media, o
ancora
perché vive un rapporto di fiducia, in alcuni casi addirittura religioso, col partito di appartenenza. Sta
di fatto
che, una volta posta segretamente nell'urna la fatidica crocetta sul simbolo prescelto, accompagnandola, se
vuole, col nome di uno dei candidati in lista, non potrà più far nient'altro che guardare cosa
succederà durante
tutti gli anni che lo separano dalla successiva elezione. Potrà poi anche imprecare se, come succede
quasi
sempre, coloro su cui ha posto la sua fiducia faranno cose a lui poco gradite, se non addirittura contrarie alle
sue aspettative. Il secondo momento, collegato direttamente al primo, ma che merita una piccola riflessione
a parte, si riferisce
a tutto l'arco di tempo che separa l'elettore dalla votazione successiva. Fino ad allora, il cittadino non eletto non
avrà la benché minima possibilità di intervenire in qualche modo all'interno dei
complicati meccanismi
burocratici di decisione, che compongono la fattiva vita politica da cui i cittadini stessi dipendono. Non
potrà
né esercitare un controllo reale, né porre un veto, né tantomeno esprimere un'opinione
con una qualche
possibilità di incidenza istituzionale. Non può, semplicemente perché tutto ciò
non è previsto dall'assetto
strutturale di cui è composta la macchina politica. Anzi! guardando bene le strutture preposte al
funzionamento
della macchina statale, comprendenti i poteri legislativo ed esecutivo con tutte le loro branche e le loro
affiliazioni, si può a ragione sostenere che al contrario è prevista la più completa
assenza dell'intervento diretto
dei cittadini ad un livello in qualche modo decisionale. Dunque non sono previste strutture atte all'esercizio
popolare. Da cui si induce che le istituzioni vigenti si fondano sul mandato di delega popolare, ma al contempo
prevedono l'assenza di una vera decisionalità popolare.
Impenetrabile barriera Questa impostazione costituzionale del rapporto tra
il popolo e le istituzioni che dovrebbero rappresentarlo,
comporta una conseguenza in particolare che, ai miei occhi, è di estrema gravità. Cioè
che tutto l'esercizio e
il controllo del potere istituito si svolge esclusivamente all'interno degli apparati preposti al potere stesso.
All'uopo è stata eretta una impenetrabile barriera istituzionale in grado di non subire infiltrazioni di
nessun tipo,
men che meno di carattere popolare. Non solo quindi tutto viene deciso da strutture separate ma, soprattutto,
ogni forma di controllo e di intervento sul fattivo, ma anche di verifica sulle ipotesi, viene svolta da enti
specifici. E' un macchinoso impianto di interrelazioni istituzionali spesso estremamente complesse e, cosa non
sottovalutabile, molto costose, che esclude ogni intervento popolare diretto. Non ci sono commissioni o
organismi di cittadini, diretti esclusivamente dai cittadini stessi, che in qualche
modo abbiano il potere di interferire, controllare, vietare o, al limite, proporre. No! Una simile
possibilità è
accuratamente esclusa sia dai fatti, sia anche teoricamente dall'istituito e dall'istituente. Se un assessore, o un
dirigente, o al limite un ministro, o un qualsiasi altro che abbia responsabilità all'interno dell'apparato
pubblico,
commette errori, fa illeciti, è inadempiente, o inefficiente, o ancora assente, ecc., può essere
stabilito e giudicato
soltanto dagli organi istituzionali, fra l'altro, preposti dagli organismi decisionali governativi. Il potere si svolge
e si definisce tutto solo all'interno degli apparati di potere, strutturalmente e istituzionalmente separati dal
contesto della società la quale, secondo la costituzione e la teoria più generale che giustifica
le democrazie
contemporanee, dovrebbe essere la vera depositaria del potere e ne avrebbe la sovranità. La
sovranità, si sa, non
può appartenere che al sovrano, il quale logicamente la esercita. Checché se ne possa dire, in
questo caso il
sovrano è identificabile solo negli apparati che detengono il potere, non certamente nella
società. Questa non
ha altro compito che di esprimere un mandato a un certo numero di delegati al fine di costituire il parlamento;
mentre non può esprimere mandati su quello che dovrebbero fare. In definitiva vengono solo mandati
lassù, per
poi, lassù, fare ciò che più loro aggrada. In conclusione, mi sembra di poter
tranquillamente affermare che l'istituto vigente non è altro che un assoluto
dominio autarchico del potere delegato.