E' uscito recentemente, per i tipi di Piero Lacaita Editore, il volume del nostro
collaboratore Furio Biagini "Il
Risveglio" (1900-1922) - Storia di un giornale anarchico dall'attentato di Bresci all'avvento del fascismo.
La prefazione al volume (pagg. 187, lire 15.000) è dello storico Maurizio Antonioli.
Eccola.
"Il Risveglio" di Ginevra non può vantare nell'ambito della pubblicistica anarchica di lingua italiana
il primato
della longevità. Pur trascurando l'attuale "Umanità nova", i suoi quarant'anni sono superati dal
cinquantennio
scarso dell'"Adunata dei refrattari". Ma certamente nessun'altra pubblicazione libertaria riuscì, e riesce
ancor
oggi, all'occhio del ricercatore, a rappresentare meglio il percorso storico dell'anarchismo lungo il quarantennio
che, grosso modo, va dall'attentato di Bresci all'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale. Un lungo
arco cronologico che racchiude l'età giolittiana, la prima guerra mondiale, il biennio rosso, il fascismo,
la guerra
civile spagnola, e così via, e nel quale il movimento anarchico italiano si trovò ad affrontare
un dibattito
politico, interno ed esterno, attorno a temi come l' organizzazione specifica, il sindacalismo rivoluzionario,
l'interventismo e l'internazionalismo, la rivoluzione russa, il bolscevismo, il fascismo e l'antifascismo,
l'esperimento rivoluzionario in Spagna. Le pagine del "Risveglio" seguono le tappe della vicenda di un
movimento antagonista, o almeno di una parte importante di esso, che proprio nel suo porsi come alternativa
radicale al dato politico esistente trovo la propria ragione di essere, pur sfiorando a volte, nella sua rigida
coerenza, le rarefatte atmosfere della astoricità o, per usare un'espressione di Marianne Enckell, della
"antistoricità". Come è noto "Il Risveglio" visse sempre, dal primo all'ultimo numero, in
coabitazione con un'edizione
francese, che come ben chiarisce Biagini non costituì una semplice versione delle pagine italiane, ma
una voce
diversa, destinata ad altro pubblico e ad altri interlocutori, un ponte verso la Francia come "Il Risveglio" lo era
verso l'Italia. Lo si vide chiaramente nel 1907-08 quando in coincidenza e dopo il congresso di Amsterdam "Le
Reveil" ospitò articoli di Dunois d'impronta fortemente sindacalista, nei quali si polemizzava con
l'anarchismo
"puro" di Malatesta. Con questo non si vuol dire che esistessero dissonanze di fondo tra l'edizione italiana e
quella francese. Nel caso specifico la posizione di Jean Wintsch, che curava l'edizione francese, o quella di
Luigi Bertoni, factotum di quella italiana, erano sulla medesima linea, una linea intermedia tra i francesi e
Malatesta, aperta alle sollecitazioni sindacaliste ma tesa comunque a salvare la specificità
dell'anarchismo.
Questa consonanza di vedute si esplicitò ancora chiaramente tra la fine del 1913 e gli inizi del 1914.
Di fronte
al tentativo dei sindacalisti francesi, sorretti da James Guillame, il vecchio internazionalista amico di Bakunin
e animatore della Jurassienne, di sostituire ad un "ideale" anarchico, considerato ormai fuori dalla storia, la
realtà viva e dinamica del sindacalismo rivoluzionario, di vedere nella CGT francese l'erede della
vecchia
lnternazionale antiautoritaria, furono proprio Wintsch e Bertoni, questa volta accanto a Malatesta, ad insorgere
polemicamente in difesa dell'"ideale". Solo lo scoppio della guerra incrinava questa compattezza. Mentre
Wintsch accoglieva le sollecitazioni pro-Intesa di Kropotkin e di Guillaume, Bertoni, che si accollava il compito
anche delle pagine di lingua francese
(anzi per un certo periodo "Il Risveglio" italiano non uscì neppure), rimaneva a difendere l'originario
nucleo
internazionalista dell'anarchismo. Questi brevi cenni ci permettono di capire da un lato il ruolo di Luigi Bertoni,
a cui Biagini dedica pagine significative, nella vita del giornale, dall'altro il senso dell'affermazione
sull'antistoricità del "Risveglio". Dire "Risveglio" voleva dire allora, ma vuol dire anche oggi per gli
storici,
Luigi Bertoni. Una storia del periodico ginevrino non può prescindere dalla vicenda personale
dell'anarchico
ticinese. Se infatti Bertoni non fu l'unico e, agli inizi, neppure il principale promotore del "Risveglio" ben presto
ne diventò non solo il redattore, ma anche il compositore, l'amministratore, lo spedizioniere, ecc. E
questo per
quarant'anni. Tanto che a volte viene da pensare se avrebbe senso una biografia di Bertoni che non fosse, come
ha fatto in parte Biagini, una biografia del giornale. La figura di Bertoni sembra quasi annullarsi, perdersi nelle
colonne del "suo" Risveglio. La dimensione pubblica sembra assorbire totalmente quella privata. Una vita per
la propaganda anarchica, regolata dal ritmo quindicinale (salvo pochi anni di cadenza settimanale) del periodico.
Qualche pausa estiva, dedicata a giri di conferenze, un impegno totale che non sembra avere uguali nella sua
metodicità esemplare. Il tutto, come detto, senza soste, senza particolari ripensamenti, senza vistose
correzioni
di rotta e senza apparenti crisi. Difficile trovare, anche tra gli anarchici più noti, un personaggio che
gli
rassomigli. Malatesta ebbe, o talvolta espresse, crisi di ripensamento tattico, visse in modo forse più
drammatico
di quanto siamo soliti pensare il dramma della prima guerra mondiale. Fabbri dimostrò più di
una volta la sua
difficoltà ad accettare la violenza anarchica, gli atti individuali. Borghi oscillò non poco, nel
1920, nei confronti
della Russia bolscevica, ora attirato, ora respinto dalla soluzione comunista. Proprio per questo le loro figure
hanno una consistenza umana che va al di là di ciò che scrissero. Di Bertoni, della sua vita di
"asceta"
rivoluzionario, ci rimangono, almeno per ora, solo gli scritti. Tanto e poco nello stesso tempo. E ci rimane
soprattutto il senso della "purezza" ideologica, della tenace conservazione di una tradizione che finì,
in Bertoni,
per vivere di vita autonoma, al di là di coloro che l'avevano formata, fossero i Proudhon, i Bakunin, i
Kropotkin.
Pur sensibile alle novità e sempre pronto a percepire i mutamenti storici, Bertoni non ebbe mai la
tentazione
di "rinnovare" in qualche modo l'anarchismo né sotto il profilo della tattica né tanto meno sotto
quello della
teoria. E questo non certo per feticismo nei confronti della dottrina né tanto meno di un uomo.
L'anarchismo
infatti ha avuto molti padri fondatori, ma non si è identificato (e potremmo dire: per fortuna) nel
pensiero di un
unico filosofo e neppure in un'unica corrente. Non è mai esistito un proudhonismo, un bakuninismo,
un
kropotkinismo, od un malatestismo. Piuttosto la convergenza dei personaggi citati attorno ad un nucleo di idee
-
le idee forza dell'anarchismo - finì per creare quel nocciolo duro a cui Bertoni si attenne sempre,
indipendentemente dal variare delle condizioni concrete. Certo, questa caratteristica non è tipica del
solo
Bertoni, ma di tutto l'anarchismo nel suo complesso. Ma in Bertoni e nel "Risveglio" ha connotati più
rigidi,
più marcati. Il tarlo del dubbio non sembra aver intaccato l'edificio bertoniano. E ciò spiega
perché da un lato
Bertoni fu così importante all'interno dell'anarchismo elvetico, ma probabilmente anche perché
dopo la sua
morte quest'ultimo si disgregò abbastanza facilmente in quanto non più sorretto dal suo tenace
attivismo.
Naturalmente "Il Risveglio" non fu il solo Bertoni, anche se soltanto dopo l'avvento del fascismo, del nazismo,
ecc. il giornale diventò una autentica palestra internazionale di dibattito anarchico. E cioè nel
periodo non
propriamente considerato, se non con brevi notazioni, da Biagini. Nella fase precedente, nonostante le
collaborazioni soprattutto italiane, "Il Risveglio" rappresentò un interlocutore importante, ma non
centrale, per
i movimenti dei paesi limitrofi. E' significativo comunque (forse proprio per questo motivo) che il periodico
ginevrino si sia sempre mosso non solo con grande autonomia, ma spesso con notevole anticipo rispetto ai suoi
omologhi italiani, tanto per rimanere all'edizione nella nostra lingua. Forse perché attento alle vicende
francesi
"Il Risveglio" fu uno dei primi a denunciare quella che, nel 1913, venne definita la "rectification du tir" della
CGT francese, cioè il presunto ammorbidimento della sua linea rivoluzionaria ed il suo avvicinamento
alla
SFIO. Sempre nel 1913, mentre molti anarchici italiani preferivano tacere per non incrinare il fronte comune
con i sindacalisti nell'Unione Sindacale Italiana, Bertoni attaccava Alceste De Ambris, eletto candidato-protesta
in parlamento, paragonandolo, un po' ingiustamente, a Briand. Nel 1917, mentre il Comitato d'Azione
lnternazionalista Anarchica, costituito a Firenze, Borghi e l'USI si pronunciavano a favore di un intervento alla
"3a Zimmerwald", cioè alla prospettata conferenza di Stoccolma, "Il Risveglio" assumeva una
posizione
decisamente contraria. Anche nei confronti del bolscevismo Bertoni e il suo giornale furono tra i primi ad
assumere un atteggiamento intransigentemente critico. E si potrebbe continuare. Preveggente in molti casi,
eccessivamente rigido in altri, "Il Risveglio", o meglio Bertoni, rappresentarono la via maestra di
quell'anarchismo che teneva soprattutto, come già detto in apertura, a impedire che l'ideale tradizionale
fosse
sottoposto a revisioni. Dottrinarismo? Forse. Ma più che altro una coerenza, anche operativa, assoluta,
ai limiti
appunto dell'antistoria o forse, come ama dire spesso, Nico Berti, "contro la storia". Il lavoro di Biagini, che
si articola in particolare attorno a tre tematiche: l'antimilitarismo e la prima guerra mondiale; la rivoluzione
russa; l'Italia tra rivoluzione e reazione, ripercorre la storia del giornale dalle origini all'avvento del fascismo,
con un'attenzione selettiva che forse trascura eccessivamente le problematiche relative all'organizzazione
anarchica e al suo rapporto con il movimento operaio, ma che pone certamente le basi per una più
completa
conoscenza del movimento anarchico nel suo complesso. Un altro tassello insomma di quella storia, forse
minore (ma poi esiste una storia minore?), certo a lungo trascurata, di cui gli anarchici furono protagonisti.