Scrivendo di Orwell nel 1975, Julian Simmons cercò di spiegarsi la
continua popolarità, specialmente tra i
giovani, delle opere di George Orwell. Simmons concluse che "Orwell era un eccellente, e qualche volta grande,
scrittore ma il suo genio era pervaso da una scomoda schiettezza". Queste stesse conclusioni, più o
meno, trae
Michel Shelden, Orwell, an Authorised Biography, Heinemann, 1991 , 564 pagine,
18.50 Sterline, nella sua biografia dello scrittore. (...) Nel commentare le sue fonti Shelden fa luce su diversi
archivi che conservano
materiale inedito di Orwell, in primo luogo il George Orwell Archive presso l'University College di Londra e
la Lilly Library dell'lndiana University. Shelden riesce comunque ad aggiungere qualche piccolo tassello alla
nostra conoscenza dello scrittore inglese. Il contributo più importante di Shelden a questa conoscenza
prende
la forma di frammenti, raccolti da interviste con diverse persone che conobbero Orwell. Tuttavia, malgrado
l'ampiezza delle sue ricerche, Shelden è stato costretto ad utilizzare in gran parte "The
Collected Essays, Journalism and Letters of George Orwell". Ritengo che, dettagli a parte, Sonia Orwell sia stata
sostanzialmente chiara quando ha affermato che con la pubblicazione dei "Collected Essays" il quadro
"è
completo quanto può esserlo". Tuttavia le ricerche di Michel Shelden sono di gran valore, grazie a
quell'esauriente frugare accademico tra i documenti d'archivio che hanno aggiunto qualcosa in più alla
nostra
immagine di Orwell come scrittore e come uomo. Come molti uomini forgiati dalla Public School (il sistema
scolastico pubblico, n.d.r.), Orwell sapeva come tenere la bocca chiusa riguardo alla propria vita privata e ai
propri sentimenti e le sue congetture sono buone quanto i se di Michel Shelden (...). Michel Shelden,
comunque, ci fa dono di una coerente visione della vita di Orwell, che appare libera da quel criticismo letterario
che ci si potrebbe aspettare da un professore di inglese. Inoltre Shelden difende più volte
la reputazione di Orwell, ad esempio rispetto al disprezzo con il quale Bob Edwards ha parlato dell'esperienza
dello scrittore nella guerra di Spagna. Edwards era il leader del contingente dell'ILP che lottò in
Spagna sul fronte aragonese all'interno del POUM (Partido Obrero de Unificacion Marxista, di tendenza
trotzkista, n.d.r.). Shelden, con un'accurata analisi,
dimostra come sia falsa la tesi di Edwards che indica in Orwell solo un "osservatore giornalistico". Secondo
Shelden, "Egli (Orwell) era là a combattere il fascismo, e lo fece coraggiosamente, cosa di cui Edwards
era a conoscenza, Edwards non si mise in mostra al fronte, scrisse solo qualche articolo e si congedò
dopo sei
settimane". Dopo il ritorno di Edwards in Gran Bretagna Orwell continuò a combattere (per un totale
di 115
giorni al fronte, fino al suo coinvolgimento nelle giornate di maggio), e divenne capo del suo contingente.
Orwell aveva appena iniziato il suo secondo periodo al fronte quando venne ferito. Victor Gollanz non doveva
essere rimasto molto colpito dalle vicende di Orwell al fronte, se potè affermare, al momento in cui
Orwell
presentò "Omaggio alla Catalogna", che il libro poteva "nuocere alla lotta contro il Fascismo". Il
rifiuto di
Gollanz verso "Omaggio alla Catalogna" non fu il primo e neppure l'ultimo delle battaglie di Orwell contro la
censura. Il punto di vista di Orwell era che le verità più importanti spesso cadono sui sordi.
La verità rispetto al Burma
imperiale, la verità sugli eventi della repubblica spagnola, la verità circa gli anni della guerra
era spesso troppo
per gli avversari di Orwell. Come la maggior parte della gente che combatte per far emergere un certo aspetto
della verità, piuttosto che seguire una linea di parte, Orwell è difficilmente incasellabile in un
ambito particolare.
Ci sono tensioni in abbondanza sia nei suoi scritti sia nella sua vita, ma ciò che non può essere
preteso, sono
garanzie circa l'integrità dell'uomo. Alcuni potrebbero obiettare che Orwell era un rivoluzionario e che
il suo
obiettivo era il "socialismo democratico". Si può discutere molto circa il significato di quella frase,
ma la visione che aveva Orwell della rivoluzione è resa
chiara da un'importante lettera a Dwight Macdonald, che Shelden rende nota a pag. 407 del suo libro. Scrivendo
in merito al significato della "Fattoria degli Animali" Orwell concludeva: "Ciò che era difficile da dire
era che
'tu non puoi fare una rivoluzione a meno che non la faccia per te stesso'; non c'è miglior esempio che
quello
di una benevola dittatura." Qualcuno potrebbe commentare "ma questo è anarchismo!". Nonostante
si collochi in un ambito che odora di accademia penso che questo libro abbia fondamentalmente
colto nel segno. Questo perché al momento della conclusione del libro di Shelden mi è venuta
voglia di rileggere
Orwell e... di tanto in tanto, un fatto nuovo aggiunge qualcosa alla lettura. Uno degli articoli di Orwell che
preferisco è il suo scritto apparso sul "Tribune" nel 1946 intitolato ""Una buona parola per il vicario
di Bray".
ln questo pezzo Orwell parla dell'importanza del giardinaggio (cosa per la quale fu stigmatizzato da un lettore
del "Tribune" che considerava le rose come borghesi), Orwell indugia nel suo scritto nella descrizione delle rose
e degli alberi da frutto che aveva piantato dieci anni prima "in un cottage dove vivevo". Avendo letto il libro
di Shelden ora so che le rose e gli alberi furono piantati nel primo anno di matrimonio di Orwell con Eileen
O'Shaughnessy e che "le piante sono fiorite nonostante le speranze siano morte". Non vi è nulla
nell'articolo che trasmetta il dolore personale di Orwell, tuttavia esso ci dice molto riguardo
all'uomo, e grazie a Michael Shelden, ora ha ancora più significato.
(traduzione di Daniela Tucci dal periodico britannico Freedom)