Rivista Anarchica Online
L'Europa, la lira e altre metafore
di Carlo Oliva
La difesa della lira, il risanamento del bilancio, la costruzione dell'Europa,
l'allargamento della maggioranza,la
riforma dei partiti, la lotta alla criminalità... è da un po' che gli imperativi categorici della
salvezza nazionale
tendono a presentarsi all'opinione pubblica sotto forma di metafore. E se è vero che questa è
un'annosa
tradizione del linguaggio politico, è anche vero che chi si avventura, in questi giorni grami, nella lettura
dei
quotidiani non riesce a sfuggire all'impressione che la politica italiana si stia avvitando in una dimensione di
pura astrattezza metaforica.
I problemi, naturalmente, ci sono, e concreti, concretissimi. Il fatto è che ormai se ne parla solo per
slogan,
secondo un codice che lascia poco spazio alla comprensione dei termini effettivi del dibattito. Certo, alcune di
queste metafore si direbbero tali da potersi ridurre senza troppa difficoltà a indicazioni o progetti: tutti,
più o
meno, capiscono cosa s'intende per risanamento della vita pubblica e tutti gli spiriti dabbene concordano sulla
necessità di costruire l'Europa, senza lasciarsi sviare dall'impiego di termini che rimandano all'ambito
semantico
della sanità o a quello dell'edilizia. In realtà, la sanità e l'edilizia sono da sempre, con
le attività militari, un
repertorio privilegiato di metafore politiche di ampio consumo e di facile utilizzazione. Niente di male, non
fosse il fatto che le metafore, quando si scende nei particolari, possono risultare - a volte - meno chiare di quanto
si supponeva. Cosa s'intende quando si parla di risanare la vita pubblica? Sulla necessità di farlo
vige una confortante
unanimità, ma sulle procedure ovviamente no. Così un Craxi, un Forlani, un Occhetto o chi per
essi ci
assicureranno che i partiti esistenti hanno il merito d'aver costruito la democrazia nel paese (metafora edilizia)
e sono strumento indispensabile del suo mantenimento, per cui mal ce ne verrebbe se provassimo a farne a
meno, essendo la corruzione solo l'equivalente politico di una malattia stagionale. che affligge un organismo
senza pregiudicare le sue possibilità di sopravvivenza (metafora sanitaria). Altri potranno avere in
merito
opinioni diverse, ma il dibattito sarà impossibile difficile, perché tutti, nelle loro dichiarazioni
pubbliche e
semipubbliche, ricorreranno alla stessa formula metaforica. Analogamente, per anni siamo stati tutti d'accordo
sulla necessità di "costruire l'Europa", o, con metafora geo-spaziale, di raggiungerla, o di restarci, e
questo dato
di consenso è stato a lungo quasi un assioma nel dibattito politico generale (la tal cosa andava fatta, o
non
andava fatta, perché facendola o non facendola saremmo restati in Europa), ci sono voluti il voto
francese e lo
sconquasso monetario perché scoprissimo, in merito, qualche salutare perplessità e ci
accorgessimo comunque
di avere, sul tema delle prescrizioni del trattato di Maastricht (che è poi il vero argomento del
contendere), delle
idee piuttosto confuse e comunque differenziate. Ma il governo continua a usare la necessità di restare
in Europa
per giustificare certe sue mosse con la stessa tenacia con cui i sindacati giustificano i loro cedimenti con
l'esigenza di salvaguardare l'unità dei lavoratori.
Difendere la lira? Quanto alla lira, sappiamo tutti che non c'è nulla
di meno metaforico, soprattutto in questa fase in cui se ne
prelevano quantità sempre maggiori dalle nostre tasche. Difficile trovare qualcuno che non aderisca
toto corde
all'invito a difenderla (metafora militare). Ma visto che non si difende la lira armandosi di moschetto o
esercitandosi al karate, ma impostando e accettando certe (complesse) politiche fiscali, economiche e monetarie,
l'invito in questione significa ben poco. Dire che il governo invita i cittadini alla difesa della lira, non significa
altro che "il governo invita i cittadini ad appoggiare il governo che è un'ovvietà a valore zero,
visto che è
difficile pensare a un governo che non rivolga ai governati un invito del genere. D'altronde, da che cosa
bisogna difendere la povera lira? Beh, naturalmente dalla speculazione Cosa sia
esattamente la speculazione e condizioni, non si dice e - in fondo - non interessa: è la Speculazione,
una specie
di presenza ineluttabile e indiscutibile, un po' come la forza di gravità (dalla quale, nel linguaggio
comune, non
ci si difende, ma certo nulla vieterebbe di formulare il consiglio a non sporgersi troppo dal poggiolo del
dodicesimo plano come un esortazione a difendersi, appunto, dalla forza di gravità). Della variante,
diciamo
così, "di sinistra", per cui la lira va difesa dagli speculatori non è nemmeno il caso di parlare,
perché questi
speculatori, a loro volta, restano tanto mal definiti, così spogli di caratteristiche socio-individuali che
non si
capisce a che pro tirarli in ballo. Se non si è disposti a fare nomi e cognomi, tanto vale restare
all'astratto: è più sicuro. Non per niente le autorità
di pubblica sicurezza preferiscono parlare di lotta alla criminalità che di cattura dei criminali. Anche
loro, per
vari motivi, preferiscono non fare nomi.
La legge del mercato Ma non divaghiamo, la speculazione, di qualsiasi cosa
si tratti, mette la lira in grave difficoltà (di solito gli
esegeti ricorrono alla meteorologia, parlando di "lira nella tempesta", o alla geologia, che fornisce l'utile
immagine del "terremoto valutario") costringendo l'accorto governante ad approntare gli opportuni rimedi. Il
più delle volte costui ci esorterà a fare la nostra parte di sacrifici, che fuor di metafora non
sarebbe un consiglio
peggiore di tanti altri, perché il sacrificio tecnicamente è un'invocazione alla divinità
e a invocare la divinità
quando si è nei guai non ci si perde niente, ma in pratica oggi sacrificio vuol dire "rinuncia" (se per
propiziarmi
gli dei gli offro qualcosa, io poi non ce l'ho più) e quindi, provenendo da chi si considera. se non proprio
Dio,
almeno un suo indispensabile sacerdote, può suonare un invito un po' interessato. Ma nemmeno Amato,
che non
manca di fiducia in se stesso, avrebbe il coraggio di affermare esplicitamente che, essendo lui e i suoi
collaboratori dotati di poteri e capacità particolari, basta affidargli i nostri soldi e ci penseranno loro
a sistemare
le cose. Che pure è esattamente quanto s'intende parlando della necessità di fare dei sacrifici
per contribuire al
risanamento dell'economia. Il gioco potrebbe continuare. È ovvio che le metafore di questo tipo
non hanno una funzione stilistica, ma
servono a introdurre nel discorso politico dei valori surrettizi a sostegno di proposte che, se formulate in forma
non metaforica, sarebbero percepite in modo meno favorevole. Ma stiamoci attenti. Se leggiamo che, "sotto
l'attacco della speculazione" la lira, o la Borsa, o l'economia nazionale hanno avuto una "giornata nera nel corso
della quale sono stati "bruciati" chissà quanti mila miliardi, le tre metafore consecutive (ma in quella
breve
espressione se ne potrebbero individuare almeno altre due, formalmente più complicate) non devono
farci
dimenticare che la ricchezza non si brucia, se non forse quando scoppia un incendio in un deposito di carta
moneta. Con quell'espressione si intende che cospicue quantità di merci, azioni, obbligazioni e riserve
valutarie
sono state vendute sottocosto, con grave nocumento di chi le detiene, ma ciò significa di
necessità che qualcun
altro sottocosto le ha acquistate, facendo o apprestandosi a fare sulle perdite altrui un ottimo affare. Una
volta, a sinistra, di cose del genere ci si scandalizzava anche più del necessario. Oggi no. È la
legge del
mercato, si dice, che a sua volta è una caratteristica imprescindibile del capitalismo. Ma appunto. Anche
il
mercato, ahimè, è una metafora, e nulla, salvo la volontà di farlo, obbliga a vedervi.
quella specie di divinità
imparziale, usa a premiare i meritevoli (economicamente) e a punire gli iniqui, che l'ideologia corrente ci
suggerisce di riconoscervi. In fondo, se è vero che in conseguenza dell'attacco della speculazione
qualcuno
finisce col fare un ottimo affare sulle perdite altrui (che è appunto una speculazione), si dovrebbe
inferirne che
a essere premiati sono più gli iniqui che i meritevoli. Cosa che non si può dire, rappresentando
un'assegnazione
di valore morale altrettanto arbitraria della precedente, ma che almeno ci aiuta a comprendere la funzione, in
economia come in politica delle assegnazioni di valore morale. Il mercato è il mercato, come a dire una
struttura
in cui si è venuto organizzando lo scambio di certi beni secondo certe procedure, elaborate, a loro volta,
allo
scopo di produrre ricchezza per alcuni (di solito pochi) a spese di altri (generalmente parecchi). Sono quelli che
sostengono che un mercato ben funzionante può produrre ricchezza per tutti, e che per farlo ben
funzionare in
futuro dobbiamo sacrificarci da subito, che barano.
Un progetto di antagonismo sociale Naturalmente, questa dialettica del "voi
sacrificatevi oggi, che in futuro andrà meglio per tutti" non è proprio
una novità. È un classico delle comunicazioni sociali, un tòpos dell'argomentazione
nel rapporto padroni/servi.
Si applica da tempo immemorabile al campo economico come a quello militare ("armiamoci e partite") e
sociale. Ma da tempo altrettanto immemorabile è stata riconosciuta per quel che è. Oggi,
questo riconoscimento (che è alla base di qualsiasi impostazione politica sia pur vagamente di
"sinistra")
tende ad affievolirsi. Ci sentiamo tutti sulla stessa barca, costretti ad affrontare solidamente gli stessi compiti
storici (la "costruzione dell'Europa", per dirne uno) e le stesse evenienze catastrofiche (la crisi della lira,
l'esplosione del debito pubblico, il crollo della Borsa e via metaforizzando). Sta passando, almeno a livello di
comunicazione pubblica, un'impostazione che vede nei problemi politici il manifestarsi di ineluttabili leggi cui
tutti devono sottomettersi di necessità. Il punto di vista opposto, ovviamente, è quello che in
quei problemi,
anche quelli apparentemente più catastrofici, vede la realizzazione (o comunque la conseguenza) di un
progetto
altrui, della volontà di un "altro" che va accuratamente identificato e - se del caso - aspramente
combattuto. Un
punto di vista forse più ragionevole: l'unico, comunque, a partire dal quale si può pensare di
ricostruire un
progetto di antagonismo sociale.
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