Rivista Anarchica Online
Antiproibizionista ma..
Recentemente la lotta alla mafia ha riaperto il dibattito sulla legalizzazione della
droga. L'antiproibizionismo per un numero crescente di personaggi che contano è diventata
l'estrema soluzione contro
lo strapotere mafioso. Il 24 luglio ben 109 parlamentari (78 deputati e 31 senatori) hanno dato vita
all'intergruppo antiproibizionista
promosso da Marco Taradash che ha per obiettivo la legalizzazione e la riforma della discussa legge sulle
tossicodipendenze, la 162/90 o Vassalli-Jervolino. Si sono alleati perché convinti che la droga
rappresenta ormai la voce più redditizia del mercato su cui prospera
la criminalità organizzata. Da qui la necessita di togliere una potenziale fetta di questo mercato dalle
mani delle
cosche, attraverso la creazione di circuiti commerciali legalizzati, gestiti direttamente dallo stato. Tra i
primi impegni dell'intergruppo vi è l'appoggio al referendum promosso dal C.o.r.a. e dai radicali. Il
vento antiproibizionista è passato anche sulla copertina del settimanale del Sole 24 ore, "mondo
economico",
i profitti della droga vengono riciclati in attività economiche e finanziarie, quindi non è
più possibile stabilire
una linea di separazione tra il capitalismo di origine mafiosa e quello di origine pulita. I narcotrafficanti stanno
per realizzare una forte concentrazione di potere economico in grado di influenzare la politica dei diversi stati,
quindi legalizzare la droga offre l'opportunità di recare un danno enorme ai traffici e ai patrimoni
mafiosi.
Secondo i nuovi e i vecchi antiproibizionisti legalizzare la droga vendendola nelle farmacie, magari dietro
presentazione di ricetta medica, sottrae alla mafia il controllo del mercato. Il commercio non essendo
più
clandestino farebbe crollare i prezzi e non essendoci più guadagno le organizzazioni criminali
abbandonerebbero il campo, come è successo negli USA per l'alcool dopo l'abolizione del
proibizionismo. Lo stato garantirebbe la qualità del prodotto facendo diminuire il numero dei morti,
così come diminuirebbe la
catena che si riproduce all'infinito della microcriminalità (furti, scippi, rapine, prostituzione, violenza,
spaccio)
causata dalla necessità di trovare denaro (...). Gli antiproibizionisti sostengono che in una
società libera la legge deve proteggere i singoli dalla violenza degli
altri, non certo da loro stessi. Combattono il proibizionismo perché intravedono in esso concezioni
illiberali,
paternalistiche e repressive che creano più mali che benefici. I divieti non hanno impedito l'aumento
dei
consumi di droga mentre hanno favorito le organizzazioni criminali internazionali. Gli stessi tossicodipendenti,
spinti dalla necessità di comprare la dose, costituiscono la più determinata rete di propaganda
e vendita delle
sostanze stupefacenti. Il proibizionismo è il modo migliore di aiutare i trafficanti perché
aumenta il crimine con tutti i gravi problemi
sociali che ne derivano fino a portare la gente a organizzare "comitati di difesa" gruppi di "vigilantes" o a
trasformarsi in "giustizieri killer" . La droga ha trasformato la criminalità da devianza in potere. Lo stato
non
può intervenire sulla persona ma deve informare e dissuadere. L'obiettivo primario consiste nel limitare
i danni
(malattia, criminalità, overdose, aids), non esistono soluzioni miracolistiche, bisogna legalizzare per
salvare chi
è costretto all'illegalità per impedire che al consumatore oltre all'etichetta di "drogato" si
aggiunga quella di
"delinquente". Gli antiproibizionisti non vogliono redimere il drogato, né pretendono di risolvere
il problema alla radice ma
si sforzano di arginare e circoscrivere un fenomeno con cui la società deve convivere. Tabacco, alcool,
psicofarmaci ecc.. sono già "droghe legali", si provi a pensare alle migliaia di persone che ne fanno uso
se si
trovassero anche loro in regime di proibizionismo? Le tesi proibizionistiche hanno argomentazioni che pongono
una serie di interrogativi alla proposta di legalizzazione di cui bisogna tenere conto. I proibizionisti sostengono
che la legalizzazione non sconfigge la mafia né il mercato nero. Negli USA l'abolizione del
proibizionismo sugli
alcolici non ha cancellato a suo tempo "cosa nostra". La mafia pur colpita nei suoi guadagni si riciclerebbe in
altri settori. Il mercato clandestino continuerebbe a vendere quelle escluse o creerebbe delle "nuove
dipendenze". La legalizzazione potrà essere utile per evitare sofferenze e ridurre i reati agli
"irrecuperabili", ma
non avrà effetto su questa fascia di intossicati non ancora in possesso del certificato di
irrecuperabilità. Il
commercio clandestino continuerebbe a prosperare proprio come succede per le sigarette che, pure, si possono
acquistare nei tabaccai. Il danno e il fastidio che fumare il tabacco produce ai terzi induce oggi a restrizioni
sempre più severe. Per combattere le cosche bisognerebbe vendere sottocosto anzi gratuitamente, quindi
più
che legalizzare bisognerebbe parlare di liberalizzare. La liberalizzazione è l'unica proposta che
permetterebbe
di supporre annullati i profitti della mafia, ma basterebbe un piccolo controllo sulle condizioni dei destinatari
o sulle sostanze distribuite per conservare alla mafia il mercato. Si pensi alla facilità con cui
organizzazioni
mafiose assoggettano attività come i mercati generali ortofrutticoli o l'edilizia che, pure, non sono
affatto
fuorilegge, inoltre sarebbe necessaria una legge internazionale perché la legalizzazione solo in Italia
richiamerebbe drogati da tutto il mondo. La legalizzazione porterebbe senz'altro, all'inizio, ad un aumento
probabile dei consumatori. Un dato inconfutabile è quello costituito dal bisogno sempre crescente
del tossicodipendente a causa
dell'assuefazione che la droga comporta. Non si può, quindi, facilitarne l'uso perché sarebbe la
condanna a morte
per il drogato che non avrebbe più possibilità e stimoli per smettere. Il metadone è
già una esperienza di
legalizzazione fallimentare e prima di sperimentare nuove leggi bisognerebbe favorire e appoggiare le
comunità
e il volontariato. Come possono i servizi sanitari gestire la legalizzazione visto il loro stato disastrato?
Prima di decretare il fallimento del proibizionismo bisognerebbe realmente attuarlo. Quel che funziona
è opera
di privati. Lo stato è latitante e si limita a qualche ambulatorio fatiscente che regala metadone. L'opera
di
controinformazione è inesistente. Pur riconoscendo la validità delle argomentazioni
contrarie penso di dovermi schierare con le tesi
antiproibizioniste, perché ritengo la proposta della legalizzazione come il minore dei mali, se non altro
per le
implicazioni sociali e politiche libertarie contrappone a possibili rigurgiti autoritari che l'atteggiamento
proibizionista sottintende. Ritengo, infatti, che gli spazi di libertà vadano difesi, consolidati,
propagandati, per
acquisirne sempre di nuovi, per creare in un'ottica gradualista l'abitudine alla libertà necessaria per i
cambiamenti sociali antiautoritari. Lo stesso Malatesta, nel 1922, si dichiarò favorevole a tesi
antiproibizioniste:
"..dichiarare libero uso ed il commercio della cocaina, ed aprire degli spacci in cui la cocaina fosse venduta a
prezzo di costo, o anche sottocosto. E poi fare grande propaganda per spiegare al pubblico e far toccar con mano
i danni della cocaina; nessuno farebbe propaganda contraria perché nessuno potrebbe guadagnare sul
male dei
cocainomani. Certo con questo non sparirebbe completamente l'uso dannoso della cocaina, perché
persisterebbero le cause sociali che creano i disgraziati e li spingono all'uso degli stupefacenti. Ma in ogni modo
il male diminuirebbe, perché nessuno potrebbe guadagnare sulla vendita della droga, e nessuno potrebbe
speculare sulla caccia agli speculatori..". Ora cercherò di motivare il mio stato di disagio o meglio
il fatto di non riuscire a digerire completamente queste
posizioni. Il problema nasce nei confronti del tossicodipendente su cui sembra di fatto prevalere la cultura
dell'abbandono e della rassegnazione. Come sostenitore della libertà non posso condividere la
libertà di drogarsi
anche se ciò è "un vizio e non un crimine". La difesa della libertà del drogato diventa
per lui la libertà di
asservimento, anzi si è in uno stato peggiore della schiavitù. Penso, infatti, che chi cade nella
droga smetta di
essere una persona libera, il fisico e la mente sono preda dell'assuefazione. Il tossicomane è tutto
occupato da
questa esperienza, è inchiodato, è come paralizzato a questa situazione. Ritengo, pertanto, che
nei confronti del
tossicodipendente i nostri atteggiamenti libertari debbano essere messi in discussione, in quanto il drogato si
trova in un "circolo vizioso" da cui non riesce ad uscire. Nei suoi confronti bisogna assumere atteggiamenti
decisi ed autoritari, in quanto essi tentano in mille modi di trovare giustificazioni alle loro difficoltà di
smettere.
Dobbiamo intervenire come, ad esempio, nei riguardi di un bambino che tenta di mettere le dita in una presa
di corrente, in nome della libertà lo lasciamo fare o interveniamo con la nostra autorità?
L'esperienza cosciente
del tossicomane è completamente dominata dall'idea del farmaco, ed è impossibile capire
dall'esterno la violenza
e l'importanza decisiva di questa condizione. Tentare di farlo smettere prendendo per buone le dichiarazioni che
egli rilascia quando resta a secco significa impegnarsi in una lotta frontale contro un avversario più
forte.
Quante volte distratti o indulgenti si è chiesto all'"imputato" cosa si potesse fare per lui. E figuratevi,
chiedeva
soldi, libertà, autonomia, onestà. Quanti hanno vissuto e vivono in questa angoscia, con il
tormento di non poter
far niente e di non sapere cosa fare. L'ipotesi, la speranza di venirne fuori, prende corpo nel drogato
soltanto dopo che ha toccato il fondo. Fino a
quando non conosce l'abisso, l'abiezione, lo sconvolgimento fisico e mentale non fa che raccontare bugie a se
stesso e agli altri. Quante volte si è assistito alle sue ricadute proprio quando sembrava venirne fuori.
La
legalizzazione pur avendo lati positivi che condivido non ha effetti sul drogato, da qui il mio disagio e la messa
in discussione degli atteggiamenti libertari nei confronti del tossicodipendente. Il drogato ricorrerebbe al
medico e al farmacista senza la minima intenzione o possibilità di guarire, la vita sua
e di quelli che gli stanno vicino continuerebbe a essere un tormento (...). Non ha senso barare dicendo che
l'overdose è un ecatombe, fanno più morti, molti di più, due droghe legali come il fumo
e l'alcool. Il risultato
della legalizzazione sarebbe pertanto illusorio ed apparente. Non bisogna essere necessariamente anarchici per
capire che il tossicomane può essere curato solo se cambiano i suoi rapporti e l'ambiente; la droga
è una malattia
dell'anima delle società industrializzate e ricche, è la testimonianza di una mancanza di valori
che colpisce sia
i sotto-proletari che fuggono da un mondo che li emargina, sia i ricchi che vivono l'inconsistenza
dell'abbondanza dei beni materiali. La libertà, la giustizia, la pace, l'uguaglianza e la fratellanza
in realtà corrispondono a fame, razzismo, profitto
personale, guerra, violenza, discriminazione, pregiudizio, abbandono, strapotere della mafia e dei partiti. Nella
fabbrica, nella scuola, nella politica predominano la prevaricazione, l'utilitarismo, la violenza, l'ingiustizia. Da
questo punto di vista è, quindi, incurabile. A questo punto sarebbe troppo semplicistico e sloganistico
porre la
soluzione nella rivoluzione e nell'anarchia, perché sono molti coloro che hanno avuto e continuano ad
avere un
figlio, un parente, un amico, un compagno, la fidanzata che si buca. Le statistiche convincono solo chi è
già
convinto, e siccome la guerra non è ancora persa si possono vincere delle battaglie. Una volta chi si
drogava
veniva visto come un uomo in rivota, oggi è considerato solo uno stronzo. Ecco, questa è
già una battaglia vinta.
Roberto Gimmi (Milano)
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