Rivista Anarchica Online
Coazione no
La lettera di Roberto Gimmi sulla droga ("A" 194) denota una pessima informazione. Le
comunità che ritiene
si debbano appoggiare stanno proliferando come funghi dopo la pioggia da quando il problema droga è
diventato un "problema di moda", in particolare con i finanziamenti promessi dalla legge Vassalli-Jervolino.
Le "cooperative di solidarietà" che gestiscono le comunità sono spesso delle ottime macchine
per far soldi:
finanziamenti da parte di enti locali, ministero dell'interno, rette corrisposte dalle U.S.S.L., manodopera gratis
e la possibilità di far leva sulla pietà e lo snobismo di quelli che comprano magari il vino
(17.000 morti per
alcool accertate nel 1987) della comunità per tossici per fare la buona azione e scaricarsi la coscienza.
Quanto
al loro funzionamento spesso lasciano molto a desiderare. Vi sono anche realtà che lavorano seriamente
perché
il tossico cresca come persona, inizi ad assumersi le sue responsabilità e attraverso questa maturazione
si liberi
davvero della sua catena, non solo la tossicodipendenza, ma la non libertà che alla tossicodipendenza
lo ha
portato. Esistono anche molte realtà "terapeutiche" dove nel migliore dei casi vi è
indifferenza, nel peggiore plagio. E' il caso dei reduci di Muccioli e Don Gelmini (non a caso massimi
fautori del trattamento coatto), che seguono
a mo' di claque i loro padreterni infallibili nelle tournée-comizi comportandosi come robot
telecomandati. Credo che la miglior definizione del modello terapeutico autoritario l'abbia data sul Corriere
della Sera del
9/11/92 don Ulisse Frascali, responsabile della comunità "Villaggio del Fanciullo" di Ravenna, sotto
inchiesta
per favoreggiamento di evasione nei confronti di tossici agli arresti domiciliari presso la sua comunità:
"...ecco
perché non condivido il metodo di Muccioli, un uomo che vuole giovani addomesticati, che accettino
questo
sistema, io al contrario voglio farne dei sovversivi". Le comunità che considerano il tossico un adulto
e non un
bambino magari anche deficiente, gli richiedono un lavoro che nessuno potrà mai costringerlo a fare,
un lavoro
profondo su se stesso e sui suoi modi di vivere con gli altri, un lavoro che per la sua stessa natura richiede che
la persona sia "pronta" e motivata per affrontarlo. Non a caso si sono opposte alle terapie coatte. La pratica
clinica ha dimostrato che contro la volontà del paziente non è possibile guarire un banale
raffreddore di
stagione, figuriamoci una dipendenza psicologica! E poi perché un trattamento coatto solo per i
tossici? Perché non anche per gli alcolisti (socialmente non meno
dannosi, anzi...), i fumatori, i depressi, gli anoressici, i bulimici, i nevrotici in genere? Molti fra costoro fanno
male a se stessi e agli altri non meno di quanto ne faccia un tossico. A proposito di alcolismo c'è
un'esperienza ultra-quarantennale che si basa sulla presa di consapevolezza e
l'autodeterminazione dell'alcolista e l'instaurazione di rapporti non gerarchici all'interno del gruppo. Sono gruppi
di auto-aiuto fra persone accomunate dallo stesso problema, senza nessuna figura di operatore esterno e senza
qualcuno che "diriga" il funzionamento dei gruppi stessi. Tutte le decisioni vengono prese durante le cosiddette
"riunioni di servizio" in cui tutti sono stimolati a sentirsi responsabili dell'esistenza del gruppo stesso.
L'esperienza di tanti anni e quelle più svariate dei singoli componenti di tutti i gruppi ha portato a
ritenere che
solo coloro che "toccano il loro fondo" e realizzano che il loro rapporto con l'alcool è diventato un
problema
e chiedono liberamente e volontariamente aiuto possono essere aiutati. L'unica forma di pressione ben vista
è
quella di non togliergli le castagne dal fuoco, di non risolvergli i problemi che provoca (ad esempio non pagargli
assegni a vuoto e evitargli processi per guida in stato di ubriachezza e relativi incidenti). Si sconsiglia
abitualmente qualsiasi altra forma di pressione. Accanto a gruppi di auto-aiuto degli alcolisti esistono anche
quelli dei familiari, che hanno non meno degli alcolisti bisogno di aiuto per uscire da una spirale psicologica
sfasata. Personalmente, come figlia di un alcolista ed ex-ragazza di un tossico non so dire se sia nato prima
l'uovo o la gallina, se cioè certe sofferenze psicologiche siano state generate dalla lunga storia con un
tossico
o se la storia che c'è stata sia nata anche dal mio malessere e dal mio bisogno di dipendenza.
Eloisa Mirelli (Milano)
P.S. - Quando parlo di alcolismo o di tossicomania non mi riferisco al consumatore, ma a colui che di una
sostanza ha bisogno come sostegno psicologico per affrontare la vita quotidiana. La tossicomania è un
abito
mentale. Il problema non nasce con l'uso di una sostanza, il problema è la mentalità con cui ci
si avvicina ad
essa. Il guaio è l'essere dipendenti, sempre. Da quale sostanza, abitudine o persona è secondario.
Non si smette
di essere liberi perché ci si fa, ci si fa perché non si è liberi. E non si può
costringere qualcuno a liberarsi.
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