Rivista Anarchica Online
La soluzione politica
di Carlo Oliva
Non mi è chiarissimo che cosa avesse in testa il celebre giudice Di Pietro
quando ha parlato della necessità di una
"soluzione politica" a quello che per lui sembra diventato un insopportabile onere professionale, ma non
c'è
dubbio che il suggerimento, pur vago che fosse, ha avuto successo: si è sparso come l'incendio spinto
dal vento
su una pianura riarsa, infiammando i cuori e dando ali alle penne. Per evitare che l'Italia sprofondi nel gorgo
delle
tangenti, che dollaro e marco volino chissà dove, che la Borsa precipiti, la produzione si fermi e le
istituzioni si
sfascino, ci vuole una bella soluzione politica. Anzi, sbrighiamoci a trovarla, perché il tempo
stringe. Sarà. A me veramente sembra che il concetto, se non la proposta, in sé sia affatto
ovvio, al limite del pleonasmo.
Visto che, stringi stringi, il guaio del paese consiste nel fatto che vi è insediata a ogni livello una
dirigenza politica
venale e corrotta, che è fuor di dubbio un problema politico, la soluzione non può che essere
politica. A occhio
e croce non sembra che, almeno a breve termine, possano essercene altre che il licenziamento dei politici in
questione e la loro sostituzione con un altro gruppo di governanti di maggiore presunta affidabilità. Poi,
naturalmente, resterà il problema di mandare i ladri in galera, alle miniere di sale o ovunque sia
opportuno
mandare chi ha depredato le risorse comuni, ma questo problema proprio politico non è. E'
squisitamente
giudiziario e - almeno in teoria - politico e giudiziario sono due piani diversi. Se mai, la soluzione politica di
cui
sopra renderebbe alquanto più agevole la soluzione del suo corollario legale, nel senso che i ladri
de quibus, orbati
delle prerogative e delle immunità di cui s'ammantano sarebbero incarcerabili con facilità molto
maggiore. Beh, non so voi, ma a me non sembra che sia questa la soluzione politica che auspicano
tutti. Sull'opportunità di riqualificare le istituzioni, rinnovando assemblee e corpi esecutivi,
sembrano d'accordo in
parecchi, ma sull'immediato invio a domicilio degli attuali titolari regna una prudenza sospetta. Prima, dicono,
vanno cambiate le norme elettorali, se no è inutile, e gli unici che possono cambiarle, naturalmente,
sono gli eletti
in carica. Come a dire che a chi è noto per aver infranto le regole vigenti va affidato l'incarico di
stabilire quelle
future, che è di costruire nuovi e meno accessibili pollai. Come "soluzione politica" non c'è
male. In realtà, non è la prima volta che l'espressione ricorre nei dibattiti pubblici, e non
è difficile capire che cosa
intendano i suoi zelatori. Parlavano della necessità di una soluzione politica, anni fa, quei pochi che
pensavano
che la crisi del post-terrorismo non si potesse risolvere limitandosi a etichettare come un pericoloso criminale,
da condannare comunque al massimo della pena, chiunque fosse implicato per qualsiasi verso nella cosiddetta
"lotta armata". Di fronte a una generazione di militanti più o meno criminalizzati, si proponeva di
distinguere e,
se del caso, di giustificare, riconoscendo nel guazzabuglio infernale degli anni '70 talune responsabilità
collettive
da non attribuire automaticamente ai singoli. Diciamolo pure, "soluzione politica" in quel contesto
significava l'emanazione variamente condizionata, di un
provvedimento di clemenza "mirato": un'amnistia, un indulto, uno sconto generale di pena, qualcosa che
riconoscesse (e premiasse) la politicità di certi atti che altri preferivano etichettare come criminali.
All'epoca, la
proposta fu respinta dalla classe politica tutta con genuino orrore: tra lai e querimonie ci si limitò, come
sempre,
a togliersi dai piedi quanti fossero disposti al gesto, tutt'altro che politico, dell'abiura personale, e a tenere
rinchiusi
a titolo di capro espiatorio quei pochi che no, a prescindere da ogni seria attribuzione di responsabilità
personali. E fu tutto. Beh, correggetemi, ma non è questa la soluzione che, oggi, governanti
venali e corrotti, colti con le mani nel
sacco, vorrebbero applicata a se stessi? Con la differenza che allora, di necessità, si erano criminalizzati
molti
comportamenti politici, mentre adesso per beneficare i signori delle tangenti bisognerebbe politicizzare molti
comportamenti criminali. Perché la classe dirigente non chiede una soluzione politica a un problema
politico, o una via d'uscita giudiziaria a un'impasse giudiziaria, ma un intervento politico che elimini certe
sgradite
conseguenze legali. Per i nostri politici la parola d'ordine è sempre una sola: l'impunità. La
propria, naturalmente.
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