Rivista Anarchica Online
Cercando un altro Saddam
di Gianni Sartori
Prima le rivelazioni su "Monthly Statistics of Foreign Trade"; poi la conferma
che il "Vincennes" era in missione
di appoggio all'Iraq quando abbatté l'airbus iraniano (quasi trecento morti); infine le dichiarazioni di
Hassan al
Alawi (uno dei più prestigiosi oppositori del rais di Baghdad) sul ruolo degli Stati Uniti nella
repressione della
rivolta sciita, gettano una luce inquietante sulla sostanziale continuità dell'appoggio occidentale al
repressivo
regime iracheno. Merita senz'altro una rilettura (anche se risale ormai al maggio del 1991) la pubblicazione
di molti dati interessanti
sui rapporti tra i paesi occidentali e Saddam in pieno embargo ONU, da parte dell'OCSE, l'Organizzazione per
la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Dalla lettura dei dati import-export dei paesi occidentali risultava
che
le esportazioni in Iraq tendevano ad azzerarsi più o meno dal mese di settembre (1990). Con l'eccezione
della
Germania (che ancora in novembre esporta per oltre due milioni di dollari) e della Gran Bretagna (in settembre
vende merci all'Iraq per un valore di 2,1 milioni di dollari), pilastro della coalizione anti-Saddam. Niente
di strano visto che lo stesso Major, a seguito dello scandalo della Bank of Credit and Commerce
International, ha dovuto riconoscere di aver permesso la vendita a Baghdad di componenti per armi chimiche
e
nucleari, fino a tre giorni dopo l'invasione del Kuwait. Da ricordare che il prestigioso "Financial Times"
rincarò
la dose sostenendo che la BCCI avrebbe continuato a finanziare acquisti di armi da parte dell'Iraq anche dopo
quella data. Comunque nel complesso sembra che l'embargo sia riuscito (almeno nei confronti delle esportazioni
legali); fin troppo riuscito, verrebbe da dire, visto che anche attualmente è assai difficile far arrivare
viveri e
medicinali per le popolazioni così duramente colpite. Ben diverso invece è il discorso delle
importazioni occidentali dall' Iraq, soprattutto del petrolio. In settembre
sembra quasi che l'embargo non fosse mai stato decretato; in particolar modo per gli Stati Uniti. Gli USA,
principali esponenti della coalizione anti-Saddam, importano da Baghdad per circa 470 milioni di dollari
nell'agosto 1990 e per 312 milioni di dollari a settembre. La stessa cosa vale per il Giappone che in settembre
compra petrolio iracheno per quasi 40 milioni di dollari. La Comunità Europea importa dall'Iraq
a settembre per ben 147 milioni di dollari. Ma la CEE non si ferma qui:
compra per 12 milioni di dollari a ottobre, per 2 a novembre e per oltre 16 milioni di dollari a dicembre. Sempre
in ottobre la Gran Bretagna importa per 9 milioni di dollari, la Germania per 2. A dicembre importano la Spagna
(9 milioni di dollari), la Grecia e l'Italia (2,7 milioni di dollari). Queste cifre, per quanto inferiori ai valori
precedenti l'embargo, rappresentano certo notevoli entrate di valuta,
soprattutto per un paese sotto "assedio economico". Di sicuro non vennero usate per acquistare viveri per la
popolazione... Indicazioni in tal senso vengono dalle numerose inchieste tenute in Italia e altrove (v. fra tutte
quella sulla filiale di Atlanta della Banca nazionale del lavoro), in particolar modo sulla prosecuzione di rapporti
tra aziende occidentali e vari enti iracheni per la fornitura di materiali impiegabili in laboratori di ricerca
chimica
e nucleare. E' quindi ben più di un sospetto la convinzione che, anche durante il conflitto, tra il regime
di Baghdad
e i suoi nemici-soci in affari i legami più o meno sotterranei siano rimasti numerosi e solidi. Del resto
Saddam
era notoriamente in buona parte una creatura dell'Occidente. Ne è stata ulteriore conferma l'ammissione
che
l'abbattimento nell'88 dell'airbus iraniano non fu "un tragico errore" (come aveva invece sempre sostenuto il
Pentagono). L'episodio risale a più di quattro anni fa (due prima della Guerra del Golfo) ma la
verità è venuta
fuori soltanto da pochi mesi. Come hanno ben documentato ABC e Newsweek
(ma dopo tanto tempo la notizia non ha suscitato particolare
sdegno) l'incrociatore lanciamissili Vincennes, quando abbatté l'aereo civile iraniano con i suoi 290
passeggeri,
era nelle acque territoriali iraniane e non, come avevano sempre sostenuto, in quelle internazionali. Alla fine
la
verità è saltata fuori, nonostante le bugie di Reagan, di Bush (allora vicepresidente), dei vari
capi di stato
maggiore... Assieme ad altre unità navali l'incrociatore partecipava ad una operazione segreta contro
la marina
iraniana, in appoggio all'Iraq (e a quel Saddam che proprio pochi mesi prima aveva anche compiuto l'ennesimo
efferato massacro contro le popolazioni curde, grazie anche all'armamento occidentale). La conferma
è venuta da una fonte insospettabile come l'ex-ammiraglio Crowe. Val la pena di ricordare l'episodio,
così come lo ricostruì Newsweek: quel giorno l'incrociatore Vincennes e un'altra
nave da guerra americana, il
Montgomery, impegnarono battaglia contro alcuni scafi iraniani (motovedette, presumibilmente). Il pretesto
(risultato poi fasullo) fu di essere stati chiamati dall'SOS di un mercantile pakistano (che smentì) e da
uno libanese
(risultato poi inesistente). Durante la battaglia che si svolgeva in acque territoriali iraniane si alzò in
volo l'Airbus
civile. Il Comandante del Vincennes avrebbe potuto facilmente informarsi sulla natura del velivolo, grazie ai
numerosi caccia americani presenti nell'area ma, ritenendosi "vittima" di un attacco iraniano, ordinò
il lancio dei
missili. Come ha sostenuto Newsweek questa sezione della task Force americana rientrava in un
piano per favorire
la vittoria irachena, nonostante gli USA si dichiarassero neutrali. L'anno prima un caccia iracheno aveva
scambiato la fregata americana Stark per una nave iraniana e l'aveva attaccata. Ben trentasette marinai americani
avevano perso la vita ma gli Stati Uniti avevano accettato prontamente le scuse di Saddam; anzi per evitare altri
spiacevoli incidenti da quel momento il Pentagono aveva distaccato alcuni alti ufficiali in Iraq. Ha
dichiarato Ted Koppel (della televisione ABC): "Le unità da guerra USA nel Golfo
Persico fecero da spia e
da alleati agli iracheni" violando anche le leggi passate dal Congresso su un intervento nel conflitto Iran-Iraq.
Se
a questo si aggiunge quanto riportato dal Los Angeles Times e cioè che almeno dal 1985
Reagan e Bush erano ben
informati sui progetti di Saddam per trasformare l'Iraq in una potenza nucleare, si può ben capire come
sia lecito
considerare il regime iracheno, sostanzialmente, se non proprio una creatura un buon alleato dell'occidente. Un
buon alleato che avrebbe potuto impunemente continuare a reprimere e massacrare curdi e iracheni, se solo
avesse
rispettato la parte assegnatagli nello scacchiere mediorientale (quella del "cane da guardia"). Una
spiegazione di questa apparente schizofrenia è stata indirettamente fornita dalle dichiarazioni di Hassan
al
Alawi, già consigliere di Saddam ed oggi uno dei più prestigiosi esponenti dell'opposizione
democratica irachena.
Dal suo esilio ha messo in evidenza come l'obiettivo degli USA non sia la democrazia in Iraq ma soltanto la
eventuale destituzione di Saddam. ll regime in quanto tale viene visto ancora come una garanzia per gli interessi
occidentali nell'area. Hassan al Alawi conosce bene il regime baasista: dal 1975 al 1981 è stato
Consigliere per l'Informazione e la
Propaganda, in stretto rapporto con Saddam. Poi, tredici anni fa, la fuga. Dichiara senza mezzi termini che gli
USA non hanno nessuna intenzione di sostenere le opposizioni per abbattere il rais e istituire un democrazia
in
Iraq. "Non c'è alcun aiuto americano al fronte interno. Gli Usa non hanno dato niente ai ribelli. Tutti
i paesi
limitrofi all'Iraq hanno ricevuto l'ordine di non far passare un solo oppositore iracheno". Nei campi di Rafha
e di
Al Artaweia (Arabia Saudita) ci sarebbero più di 50.000 oppositori, tutta gente disposta a recarsi in Iraq
per
combattere contro Saddam ma non possono muoversi dagli accampamenti. Gli Stati Uniti vedrebbero invece
volentieri una sostituzione dell'uomo al potere, mantenendo sia il regime che il partito unico (Baas). Insieme
ai
servizi segreti e agli organi della repressione interna che, in quanto garanti di stabilità, resterebbero
intatti e
funzionanti. Ciò che gli americani temono soprattutto è una autentica rivolta popolare come
quella dei Curdi al nord o degli
Sciiti a sud. In proposito Alawi riporta un fatto gravissimo. Quando, dopo la guerra del Golfo, Saddam stava
rischiando di uscire sconfitto dal confronto con l'"intifada" sciita, gli Americani restituirono all'esercito iracheno
un gran numero di elicotteri e carri armati (molti di fabbricazione italiana, v. quelli dell'Agusta e della Simmel
di Treviso ndr) che erano stati catturati nella zona di Al Nassiriya e nel sud dell'Iraq. "Senza questo intervento
degli Usa in sostegno di Saddam la rivolta popolare aveva buone probabilità di vincere". La notizia si
commenta
da sola ma non posso fare a meno di cogliere un'analogia con un episodio analogo del secolo scorso. Quando
i
Prussiani, nel 1870, avevano ormai sconfitto l'esercito francese e catturato l'Imperatore Napoleone III, temendo
il "contagio" della grandiosa sollevazione popolare passata alla storia come "La Comune" si affrettarono a
liberare
e riarmare migliaia di soldati francesi perché "ristabilissero l'ordine" a Parigi. Sappiamo con quanta
ferocia le
truppe eseguirono la consegna. Evidentemente, al di là delle temporanee inimicizie (dovute soprattutto
alla
concorrenza economica, alla smania di potere...), i potenti finiscono sempre per trovare un accordo e spartirsi
il
"bottino". Il loro vero, autentico nemico restano quei diseredati, umiliati e offesi, che cercano in qualche modo
di scuotersi di dosso il giogo dell'oppressione.
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