Rivista Anarchica Online
La rabbia di Diego
di Giulia Cane
"Non è questo il libro di un eroe da romanzo, a meno che il vero eroe non
sia la terribile macchina, la prigione.
Non si parla qui di me, né di alcune persone, ma di uomini, di tutti gli uomini relegati in questo angolo
nero della
società. Mi sembra, infatti, che venga il momento di una letteratura che scopra finalmente alle masse
il vincolo
esistente tra l'individuo e i suoi simili, e non ponga più i problemi del destino individuale se non in
funzione del
destino di tutti". Queste le parole di Victor Serge in "Gli uomini in prigione" che Abel Paz fa sue nello stendere
le memorie carcerarie Al piè del muro (Barcellona, Hacer Editorial, 1991 ,
pp. 444, Pesetas 2.500). L'affinità con
Victor Serge, che racconta i suoi dieci anni passati in diverse prigioni in "Memorie di un rivoluzionario",
è dovuta
al comune destino di militanti perseguitati l'uno dalla dittatura di Franco, l'altro da quella di Stalin. Ma questa
simpatia va oltre il vissuto politico personale per riflettersi sul modo di intendere la vita carceraria come vicenda
umana e politica collettiva. Di Abel Paz, nome letterario Diego Camacho, il biografo di Durruti, è
appena uscito Los lnternacionales en la
region espanola 1868-1872, una sintesi del più ampio lavoro di Max Nettlau sullo sviluppo della
Prima
lnternazionale in Spagna. L'autore sta per pubblicare gli altri volumi delle sue memorie, dall'infanzia al ritorno
in Spagna nel 1977. Al piè del muro è il resoconto appassionante e
particolareggiato dei dieci anni passati nelle prigioni franchiste.
Il racconto va dal rientro a Barcellona dopo la reclusione in campo di concentramento in Francia, dove si
trovava
dalla fine della Guerra Civile, al lungo "tempo morto" della prigione, spezzato da un'evasione (da Gerona); e
prosegue fino al Congresso parigino dell'AIT nel 1952. Vi è poi un periodo di libertà
condizionata dal'52 al '54
ma nel '53 si dilegua in Francia. Un lungo tempo contrassegnato dalla lotta: fuori cercando di costituire la
resistenza libertaria; dentro, per ricevere informazioni sull'attività del movimento e giornali dall'esilio.
Ecco
quindi i diversi sistemi di comunicazione delle notizie, come noci o saponi riempiti di foglietti, o giornali dentro
un thermos che entra ed esce dalla prigione per dei mesi. Ogni testo viene poi memorizzato per riferirlo ai
compagni. Diego racconta la solidarietà fra prigionieri e le brutalità subite dai funzionari.
Riferisce i particolari,
fino ai più forti, della vita in prigione così come sono, senza enfatizzarli, perché non
serve. Conosciamo così le
persone che lo circondavano: le molte decine di uomini che compaiono in Al piè del muro,
companeros del alma
morti fucilati, altri con cui ha sviluppato un'intima amicizia, o prigionieri conosciuti appena. In una recente
intervista pubblicata su "Umanità Nova", l'autore sostiene di avere trascritto una sorta di memoria
collettiva. E'
naturalmente quella dei prigionieri "comuni" o politici coi quali ha consumato il tempo di prigionia, così
come
dei compagni e delle compagne "fuori", perché questo è anche il resoconto di una fase delicata
per il movimento
spagnolo. La CNT e la FAI sono naturalmente squassate dalla repressione, lacerate teoricamente e politicamente
fra le due principali tendenze opposte: chi intendeva la resistenza come collaborazione con altre forze
antifranchiste (come già durante la guerra) e chi rifiutava qualsiasi posizione
collaborazionista. Appena esiliato, Abel Paz comincia una lunga serie di articoli sulla stampa confederale
in cui descrive il vissuto
carcerario, ma sarà la transizione politica spagnola, dalla morte di Franco in poi, con la profonda
delusione per
il mancato cambiamento di fondo, a rendere imprescindibile un libro simile. Una testimonianza resa oggi, in
un
periodo in cui storici, politici, accademici rimuovono la memoria collettiva, imponendo una memoria
giustificatoria. Mistificano il passato sociale perché non potenzia, anzi mette in discussione, l'ideologia
del potere
presente. Non sono isolati gli storici che oggi negano l'esistenza di una vera repressione franchista in Catalogna,
né coloro che in vari modi riabilitano Franco. O, in ogni caso, coloro che privano la Guerra Civile di
una lettura
di tipo sociale ed ideologico. "Ci rinchiudevano per paura, ci assassinavano per paura, e per la stessa paura
pretendono di ignorarci oggi (...). Come si può temere i morti? Si possono temere i morti solo quando
continuano
a vivere e le loro idee, anche se sembrano cancellate, continuano insistentemente, come la vecchia talpa, a
scavare
e scavare nel sottosuolo della storia". E' questa la molla che ha fatto scattare la rabbia di Diego, rabbia che
pacatamente e lucidamente emerge in ogni pagina del libro.
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