Rivista Anarchica Online
L'odioso vizio
di Filippo Trasatti
Circa un anno fa, ma non è certo la prima volta e non sarà certo
l'ultima, la stampa ha dato voce a una notizia che
di per sé sembrava destinata a rimanere confinata nelle riviste scientifiche. Un neurobiologo americano
avrebbe
scoperto (e il condizionale è d'obbligo, vista l'esiguità del numero dei casi esaminati),
confrontando il cervello
di uomini omosessuali ed eterosessuali morti di AIDS, che l'ipotalamo degli omosessuali sarebbe più
grande
rispetto a quello degli eterosessuali. Di questi tempi vanno per la maggiore gli studi di neurobiologia, tanto da
spingere alcuni temerari ad affermare che ormai la psicologia avrebbe i giorni segnati, di fronte all'imponente
avanzata delle neuroscienze. Qui però non ci interessa la disputa scientifica, quanto piuttosto quella per
così dire
socio-antropologica. Sembrava ormai sopita la vecchia querelle sulla naturalità/culturalità
dell'omosessualità, ed
eccola ritornare viva e vegeta. Ci verrebbe da chiederci perché proprio oggi. Ebbene una prima risposta
tragica
mi pare che possa essere così formulata: l'Aids ha riportato pienamente in campo le paure e il disprezzo
verso
l'omosessualità e c'è bisogno di sapere fino a che punto gli "appestatori" siano colpevoli verso
l'umanità. Scoprire un radice biologica dell'omosessualità potrebbe costituire una scusante
per un comportamento (e peggio,
un modo di essere) non solo per molti moralmente intollerabile ma anche ormai da molti considerato pericoloso.
Se non ci credete provate a sentire cosa dice la gente in tram, o peggio in quei templi della virilità che
dovrebbero
essere le palestre; recentemente mi è capitato e giuro che c'è da rabbrividire. Ci sono molte
spiegazioni di questo odio, ma nessuna che mi convinca fino in fondo, che riesca a dar ragione della
violenza anti-omosessuale presente tra noi. Ancora abbastanza diffusa è l'idea che il credo religioso
cristiano sia
stato la causa dell'intolleranza verso i gay. Questo, comunque la si pensi in proposito, non spiegherebbe il
perché
di una repressione così feroce anche in ambito musulmano, comunista, e nei moderni stati teoricamente
aconfessionali. E' sufficiente dire, o è una spiegazione corretta, che l'illegalità della sodomia
tra adulti
consenzienti in alcuni stati degli Usa è un prodotto del puritanesimo americano? Come spiegare allora
il fatto che
in Italia, in cui certo è innegabile lo strapotere della chiesa cattolica, l'omosessualità non sia
sanzionata
legalmente? Bisogna forse richiamarsi alla tradizione dei popoli mediterranei, ricordando come i ricchi tedeschi
(e non solo tedeschi), perseguitati in patria, fuggissero in Italia (Capri, luogo di culto) per rilassarsi e sollazzarsi
a piacimento? Che dire allora della tolleranza dei paesi del nord Europa di tradizione protestante? A dissipare
alcuni luoghi comuni sui rapporti tra cristianesimo e omosessualità può servire il magnifico
libro dello storico
americano John Boswell Cristianesimo, tolleranza, omosessualità (Leonardo,
Milano 1989), ricchissimo di
annotazioni interessanti, un modello di come si possa scrivere un saggio militante senza perdere mai di vista
la
precisione e la profondità di analisi. Due esempi tra i tanti possono bastare. Ancora nell'VIII secolo
papa Gregorio III in un penitenziale "specificava penitenze di 160 giorni per attività
lesbiche e solo un anno per atti omosessuali tra maschi. In confronto, la penitenza per un prete che va a caccia
era di tre anni" (Ibidem, p.225). La cultura islamica, in particolare quella della Spagna, aveva un atteggiamento
di estrema tolleranza verso i gay. Non solo l'omosessualità era estremamente diffusa a tutti i livelli, ma
addirittura
i re componevano poesie che celebravano l'amore gay. "Sarebbe un errore - dice ancora Boswell - considerare
questa predilezione culturale per l'erotismo omosessuale come risultato della secolarizzazione o della decadenza
religiosa: la Spagna islamica era nota per la sua severità nelle questioni in materia legislativa e morale,
produsse
eminenti giuristi e teologi, e fu generalmente governata da musulmani considerati fanatici nel resto del mondo
islamico. Le immagini dell'amore omosessuale costituivano il modello corrente degli scritti mistici islamici sia
all'interno che fuori della Spagna. Molti autori di poesie erotiche gay nella penisola iberica insegnavano il
Corano,
erano capi religiosi o giudici" (ibidem, p.237). Non stiamo facendo, sia ben chiaro l'elogio del bel tempo andato.
Qui si tratta di altro: cioè capire come mai a un certo punto si sia prodotta una svolta nella repressione
dell'amore
omosessuale. A un certo punto, a partire dal XII-XIII secolo, dopo le crociate e con il rafforzamento dei primi
stati
moderni, incominciarono le persecuzioni contro ebrei, eretici e gay. "L'opinione largamente sostenuta,
secondo la quale chi minacciava maggiormente la sicurezza dell'Europa
cristiana (i musulmani dall'esterno, gli eretici dall'interno) era particolarmente dedito alle relazioni omosessuali,
contribuì molto alla reazione profondamente negativa durante questo periodo contro la
sessualità gay manifestata
a molti livelli dalla società europea" (ibidem, p.350). E' impressionante rilevare come nel giro di circa
50 anni,
dal 1250 al 1300 l'omosessualità in Europa fu trasformata da pratica sostanzialmente accettata a crimine
che
prevedeva la pena di morte. Per giustificare questa repressione i trattati teologici cominciarono a riproporre in
modo diverso la questione della naturalità/innaturalità dei comportamenti omosessuali. Ma qui
lo storico ci
abbandona e lo fa a ragion veduta poiché non ci sono dati sufficienti per spiegare questo radicale
mutamento
storico che apre la strada a secoli di persecuzione più o meno feroce che vede ormai accomunate da un
triste
destino, gay e altre minoranze, prima tra tutte quella ebrea. Che poi la religione, in particolare quella cattolica
abbia fornito la copertura ideologica e morale a quanti perseguitavano pubblicamente e privatamente ebrei e
gay
è fuori di dubbio ed è ancor oggi sotto gli occhi di tutti. Ma la radice dell'odio non sta
fondamentalmente in un
determinato credo religioso: questo può fornire le direttive per un determinato uso del corpo e delle
pratiche
sessuali, ma non necessariamente deve discriminare tra omosessuali ed eterosessuali. La coppia concettuale di
solito utilizzata in questo caso "naturale/innaturale" cambia profondamente nel corso del tempo. A quasi
sette secoli di distanza dobbiamo porci la stessa domanda: qual è la ragione di questo odio così
profondo
e radicato ad ogni livello sociale, politicamente e culturalmente trasversale? La rilettura di un testo, forse
non conosciuto come merita, ci può offrire una chiave di lettura: parlo de
L'antisemitismo di Jean-Paul Sartre (Oscar Mondadori, Milano 1990). I gay dall'inizio
delle persecuzioni
medioevali ad Auschwitz hanno percorso spesso tratti di strada in comune e Sartre offre alcune considerazioni
sulle origini dell'antisemitismo che a me paiono illuminanti anche per capire la situazione dei gay ancora oggi.
Quasi all'inizio Sartre introduce una considerazione interessante per noi. "L'antisemita moderno è un
uomo cortese
e vi dirà dolcemente: 'io non detesto gli ebrei. Credo semplicemente preferibile, per questa o quella
ragione, che
essi prendano parte ridotta all'attività della nazione'. Ma subito dopo, se vi siete guadagnati la sua
fiducia,
aggiungerà con più abbandono: 'vedete, ci dev'essere qualche cosa negli ebrei: mi disturbano
fisicamente'" (p.23).
Passiamo al caso dei gay: il mio vicino può benissimo scambiare con me un sorriso, una stretta di mano,
può
ridere insieme a me e invitarmi anche a bere un bicchiere; ma dal momento in cui sa che sono gay qualcosa
cambia. I gesti diventano più cauti, meno naturali; dietro a un sorriso si riesce a cogliere talvolta senza
fatica una
sfumatura di compatimento o di curiosità e via elencando. Tutte queste modificazioni non sono frutto
di paranoia,
ma possono essere osservate quotidianamente intorno a noi. Se avete voglia di fare un esperimento interessante
di psicologia di massa, acquistate una copia del mensile gay "Babilonia" con un bel ragazzo discinto in copertina
e avventuratevi in metrò. Poi mi saprete dire. Ma al di là di queste osservazioni superficiali
c'è qualcosa all'interno che muta. Sartre dice:
"è una presa di posizione dell'anima, ma così profonda e totale che si estende al campo
fisiologico, come
nell'isteria" (p. 23). Nasce dunque una ripugnanza che non ha le sue ragioni in esperienze precise. E' una visione
totale del mondo che non può essere distinta dalle altre componenti umane. Pensate agli incredibili e
pur veri casi
di feroci sterminatori nazisti che erano al tempo stesso perfetti mariti, padri, lavoratori, estimatori della musica
e anche, dulcis in fundo, estremamente sensibili d'animo. Non bisogna smettere di riflettere su queste esperienze
e su questo orrore. Penserete che il paragone sia forzato. Recentemente è stato tradotto in italiano il
libro di Heinz
Heger, ex deportato omosessuale tedesco, Gli uomini col triangolo rosa (Sonda,
Torino 1991) che narra la
sconvolgente esperienza dello sterminio omosessuale nei campi di concentramento. Questo silenzio che ancora
grava su queste vicende costituisce un raddoppiamento dell'annientamento: ai gay è stata negata anche
la memoria
dell'olocausto. L'accostamento può apparire poco opportuno, ma bisogna riflettere sul fatto che il
pregiudizio e
la violenza non sono appannaggio esclusivo di criminali nazisti, ma riguardano tutti da vicino, anche coloro che
si ritengono libertari. Alexander S. Neill, fondatore di Summerhill in Inghilterra considerata un modello per
molte
scuole ed educatori libertari di questo secolo, così scriveva nel 1960 nel suo libro Questa
terribile scuola: "In
trentotto anni, la scuola non ha prodotto nessun omosessuale. Perché la libertà modella bambini
sani". E non è
l'unica citazione di cui vergognarsi. Probabilmente ha ragione Michel Foucault che, rispondendo
all'intervistatore
che gli chiedeva se gli intellettuali siano più tolleranti e ricettivi rispetto a comportamenti sessuali
diversi, diceva:
"E' forse vero che nei circoli intellettuali di queste cose si parla più apertamente, ma ciò non
è necessariamente
un segno di maggior tolleranza. Talvolta è vero il contrario" (in
Omosessualità, Feltrinelli, Milano 1984, p.39).
Nella vita di tutti i giorni, al di là dell'olocausto, vengono usate due diverse strategie di negazione
dell'altro:
l'assimilazione e la ghettizzazione. La prima, pericolosa quanto invisibile: sei come noi, esattamente uguale a
noi,
ma devi adeguarti alle regole, non devi eccedere; Sartre coglie perfettamente nel segno dicendo che questa
forma
di ostilità, che può ben essere camuffata dietro le apparenze di una posizione illuminata, si
manifesta più
facilmente quando l'ebreo è facilmente riconoscibile e al tollerante vien da dire: "è veramente
troppo ebreo".
Lascio ai lettori il compito di ricercare gli esempi che valgono per i gay. La seconda strategia più
scopertamente
intollerante, la ghettizzazione, serve a mantenere qualcuno nello stato di inferiorità per rendere
manifesta la
propria superiorità: ci sarà sempre qualcuno, donna, zingaro, ebreo, malato di AIDS, verso il
quale vantare la
superiorità normalizzante che nella nostra cultura è ancora tipicamente maschile ed
eterosessuale. E' un
meccanismo molto più sottile di quanto a prima vista ci appaia: le prime barriere, i primi cavalli di
Frisia sono
nella nostra testa. Notate poi il sottile discrimine linguistico che stigmatizza ebrei, donne e gay: "Un ministro
donna"; "Un eccellente avvocato della potente lobby ebraica americana", "famoso scrittore omosessuale" e
così
via. Si ha cioè il bisogno di specificare, di applicare una etichetta alle persone in base all'appartenenza
a un genere,
a una religione, di una minoranza sessuale, come se queste loro caratteristiche andassero prese per il tutto. Con
le parole di Sartre l'antisemita crea una totalità sincretica a cui dà il nome di "ebreo". Ma non
esiste l'ebraicità:
"Per l'antisemita ciò che costituisce l'ebreo è la presenza in lui dell'ebraicità, principio
analogo al flogisto o alla
"virtus dormitiva" dell'oppio" (p.42). L'ebreo, al di là di tratti somatici, tradizioni religiose, è
ciò che ne fanno gli
antisemiti. Non esiste l'omosessualità: esistono comportamenti omosessuali. Siamo tutti coinvolti in
una ricerca
continua dell'identità: l'identità omosessuale va bene purché sia altro da noi, qualcosa
di estraneo cui si arriva a
riconoscere un certo rispetto ma da lontano, purché non ci tocchi né ci coinvolga in alcun modo.
E' la finzione
borghese dell'individuo astratto: siamo tutti esseri umani uguali, ma ognuno a casa propria. Qui nasce il
pericolo,
o meglio la sensazione della minaccia alla propria identità che è una delle molle
dell'intolleranza religiosa,
razziale e sessuale. Identità monolitiche e false che si contrappongono con le conseguenti
stigmatizzazioni e
generalizzazioni. Ognuno può far da sé la prova, tentando di definire l'identità gay, o
se vi e più facile, l'identità
maschile e femminile. Si scoprono facilmente una serie interminabile e impressionante di stereotipi culturali
che
si proiettano sull'altro. E si potrebbe aggiungere che la dicotomia omosessuale/eterosessuale, che noi
candidamente diamo per scontata, è in realtà un prodotto culturale: gli antichi (non solo i greci
e non solo gli
antichi) certo avrebbero molto da ridire in proposito. Ed è forse su questo punto che si dovrebbero
concentrare
gli sforzi, anche facendo tesoro di quanto la riflessione femminista sugli stereotipi sessuali è venuta
elaborando. Potremmo continuare a lungo, ma non è qui il caso. Mi preme invece sottolineare con
forza le conclusioni cui
giunge Sartre alla fine del suo percorso. "1'antisemitismo non è un problema ebraico: è il nostro
problema (...)
non spetta agli ebrei fare una lega militante contro l'antisemitismo, ma a noi. (...) Non ci sarà un
francese libero,
finché gli ebrei non godranno la pienezza dei loro diritti; non un francese vivrà sicuro,
finché un ebreo in Francia
e nel mondo intero potrà temere per la propria vita" (p. 1 22-123). E' necessario ricordare che il saggio
è stato
scritto da Sartre alla fine della seconda guerra mondiale. Eppure oggi, cinquant'anni più tardi, con tutto
quello che
è accaduto nel frattempo, c'è una rinascita dell'antisemitismo. Come c'è nell'aria, fatte
le debite differenze, una
forte intolleranza contro i gay. O forse sarebbe meglio dire che non è mai sparita del
tutto. Solitamente si pensa che le conquiste culturali dell'umanità siano per sempre; ma si rivolga
lo sguardo invece a
ciò che sta accadendo nella civilissima America, dove la pena di morte trova tra i suoi portabandiera
il nuovo
presidente americano Clinton, considerato l'uomo del rinnovamento. Bisogna riprendere incessantemente
l'adagio di Primo Levi: "Voi che vivete sicuri/ Nelle vostre case, /Voi che
trovate tornando a sera / il cibo caldo e visi amici...".
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