Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Primi piani acuminati
S. M. Ejzenstejn ha scritto una Teoria generale del montaggio (ed. Marsilio,
1985) ove sostiene che "definire
la natura del montaggio equivale a risolvere il problema specifico del cinema". Io non so quale sia il problema
specifico del cinema, ma so che il cinema, per tempi e modi della sua percezione, pone più di un
problema che,
psicologia e neuroscienze alla mano, resta a tutt'oggi irrisolto. Il celebre regista sovietico fa il caso dei processi
di simbolizzazione. Dice, per esempio, che ne La corazzata Potemkin, il primo piano degli occhiali
a pince-nez
del medico di bordo rappresenta l'intero personaggio al quale quegli occhiali appartengono. Si tratterebbe di
quel
ben noto procedimento retorico che va rubricato come sineddoche. Tuttavia, mi permetto di aggiungere io, va
anche detto che, di questo processo di simbolizzazione, non si può fare una regola generale. Siamo nel
campo
delle private operazioni mentali di ciascuno e, così come è plausibile che qualcuno
categorizzando qualcosa come
"occhiali" pensi direttamente al loro proprietario, è parimenti plausibile che qualcun'altro si fermi agli
occhiali
medesimi o venga indotto al ricordo di un suo lontano parente. Percepire, categorizzare e semantizzare qualcosa
è sempre strettamente connesso con la storia precedente e il contesto sociale di chi percepisce,
categorizza e,
infine, semantizza. Come ci ricorda Alberto Angelini (Psicologia del cinema; ed.
Liguori, 1992) Ejzenstejn parte dal principio che,
nel cinema, "si riservano i dettagli ed i primi piani a quelle parti del mondo reale che vengono percepite come
più
importanti, o cariche simbolicamente dei più ampi significati" ma, via via che il cinema si è
sviluppato, come in
ogni linguaggio che si rispetti, ho l'impressione che le cose si sian fatte piuttosto complesse. Colgo un
esempio da Luna di fiele del molto americano e poco polacco e niente francese
Roman Polansky. E'
la solita storia tutta letteraria del marito che racconta come, spinto da un innamoramento finito prima nel sesso
e poi nella detestazione reciproca - prima in direzione da lui a lei, e poi viceversa - di una coppia che lo sa Dio
perché sta assieme, è ora paralizzalo su di una carrozzella. Film trascurabile, noiosetto e
scontato come tutti quei
film in cui il letterario predomina - non banale solo in un paio di guizzi d'inventiva necessari a servire porzioni
di sesso altrimenti indigeste. Orbene, bando alle tristezze e soffermiamoci sul particolare in primo
piano. Fra i giochini di sesso non può mancare - nell'anno di grazia 1993 - quello in cui il sado e
il maso vengono
equamente suddivisi fra i due protagonisti. Lui è legato e lei usa un affilato rasoio per buttargli via quel
po' di
guardaroba che indossa, intimo compreso. Lasciando perdere a cosa la fanciulla poi si disponga, fatto sta che
il
rasoio è buttato sul parquet ove si infilza perfettamente e lì - con la scrupolosa attenzione del
regista - rimane
eretto. A questo punto, una teoria del "primo piano" incontrerebbe le sue brave difficoltà. Il rasoio, di
per sé, in
quanto tale lì ed in quel momento: simbolo? sineddoche? E perché mai? Allora potremmo
parlarne come di un
vuoto estetismo? Nel caso di un Polansky non saremmo neppur tanto lontani da un'ipotesi sensata, ma, per
l'esempio specifico, saremmo un po' miopi. Infatti, se dai tempo al tempo, a volte, nel cinema come nella vita,
i conti tornano con calma. Molto tempo dopo: non si amano più, lui, paralizzato com'è,
paga il fio delle sue abiezioni e sembra sublimare
le proprie rinunce nel piacere del coinvolgimento verbale - fa comizio dei congressi carnali consumati - e lei,
trasformatasi in crocerossina aguzzina, gli fa, con minime precauzioni igieniche, le iniezioni di un dubbio
toccasana. Sennonché vola la siringa e il medesimo, accogliente, parquet di prima è pronto a
farsi infilzare
dall'ago. Primo piano, allora, della siringa eretta. Di per sé, anche qui, come simbolo direbbe pochino,
ma come
negare che, rapportata al precedente del rasoio, non ne costituisca la complementarietà? Parquet
permettendo, dal rasoio alla siringa è sì, innanzitutto, uno scambio di strumenti, ma, proprio
per i fini di
cui nella narrazione sono investiti, questo scambio viene a rappresentarne un altro - quello di portata
significativa
maggiore, essenziale nella vicenda narrata, del rapporto psicologico che lega i due personaggi, l'evoluzione di
un
legame all'interno del legame stesso. Come sottolineare, nel nome del sesso, un passaggio dall'urlo di piacere
a
quello di dolore. Tutto ciò per dire che, nel cinema come in altri linguaggi, tante sono le strade che
portano alla costruzione di un
simbolo e che, se molte di queste dipendono direttamente dal montaggio, altre possono godere di una loro
autonomia. Ferma restando la libertà, per chi riceve la comunicazione, di rifiutarle tutte.
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