Rivista Anarchica Online
Jack lo sgocciolatore
di Marc' de Pasquali
"Vivo una vita ai margini della società, e per gli emarginati le regole della
società comune non valgono". Questo assioma di Degas oltre che a tutti noi, ben s'addice a Paul
Jackson Pollock che molto meno serenamente
di Hopper fu l'ultimo dei pittori grandi, ribelli, individualisti, tra sfinenti presenze fumose (il leggendario strazio
metropolitano del sensuale "Cedar bar"), traballanti manifestazioni ("Gli irascibili" 1951), Van Gogh
all'americana
che suona l'armonica col medio della destra amputato. La vita è desiderio e ogni desiderio è
lecito. Pollock voleva dipingere, dipingere forsennatamente, forme nervose,
colori ossessivi, argentei, monocromi come note arabe sconvenienti o città alienate, ma ironia,
timidezza, whisky
e doppio carattere (dalla vitalità vorace e fiuto pronto, cheto, all'abulia quasi disciplinata e nichilista,
aggressiva),
ostacolarono non poco il suo flusso ispirativo. Forse per questo Pollock amava Picasso e Mirò,
così arricchiti e
invecchiati dopo i bombardamenti, famosi e meticolosi fuori dalle superate politiche, così inquadrati
nei musei
e nelle catapecchie del mondo; li amava contro l'angoscia, le scatole di cioccolatini, il dissapore esistenziale,
contro quel po' di solidarietà che giace in ognuno di noi. Pollock nasce nel 1912 (origini irlandesi
scozzesi) a Cody, nel Far West, ultimo di cinque fratelli comprensivi;
munge vacche due volte al giorno, cresce a San Diego, si sposta progressivamente per la California. A sedici
anni
conosce la teosofia, lavora nel Gran Canyon col padre per la linea ferroviaria, incontra la messicana opera
marxista di Rivera, gli affreschi aztechi di Orozco, le visioni dell'amato Ryder. Col crollo di Wall Street, va a
New
York, s'iscrive alle serali di Thomas Benton - impropriamente il Whitman dei pittori, è solo il
più popolare e
rappresentativo "regionalista" formato nel rinascimento della rivoluzione messicana (un americanismo carico
d'agricoltori e minatori danzanti, beoni, patrioti). Pollock gli fa da modello aiutato culturalmente e
finanziariamente, e farà pure il bidello mentre studierà pittura
murale, scultura, ceramica, l'arte e la calligrafia degli Indiani. Gira gli States in autostop, su treni-merci, fa il
taglialegna, passa nottate in prigione, soffre la fame, o mangia chili di spinaci, si fa fare una coperta dal
cappotto,
incontra il militante comunista Siqueiros e Lee Krasner che da collega diverrà sua moglie (oggi
milionaria).
Eredita il macello di Sacco e Vanzetti, il proibizionismo, il realismo sociale antiamericano e anticapitalista dei
John Reed Clubs, nel secolo del cinema (e del fumetto). Mentre nasce il New Deal, Roosevelt è spinto
dai
potentissimi senatori del Sud (incontrastati nell'uso degli schiavi e del Ku-Klux-Klan), Joe Di Maggio -
esemplare
di razza, è desiderato dalle Norma-Marylin. E si leggono malinconie e urla sudiste (nobel a Faulkner
nel '49),
furori di pascoli all'ovest (nobel a Steinbek nel '62), in una mobile quotidianità da commessi viaggiatori,
tra
animaletti di vetro, teatri domestici alla O'Neill - tutt'una caduta poetica. Ferita dalla grande guerra, l'arte
riesce a sopravvivere, ma non a starsene ancora chiusa in opifici, e si sparpaglia,
ovunque, per chiunque, seppur pochi la coglieranno. Per ditirambico distruttivo fato, da Parigi la produzione
precipita nell'ipermercato di New York, in un altro privato internazionale, malgrado si tratti d'una tetra arcadia
di provincia, Benton in testa. Dice Argan "il credo della società d'America è ch'esiste per fare"
e l'armeno Gorky
suicida nel '48, l'olandese de Kooning medaglia nazionale della pittura conferita da Reagan, l'ebreo russo
Rothko
suicida nel '70, coevi di Pollock, ricevono sussidi statali tramite la Works Progress Administration per opere
pubbliche. Però per Pollock è dura, l'alcool lo rende uomo violento. Inizia un trattamento
psichiatrico, viene
arrestato spesso, ricoverato - La nascita della tragedia. Per comprendere le ombre dello spirito
forsennatamente ingerito, inizia un'analisi junghiana, dalla libera
associazione all'automatismo pittorico in stadi surrealisti di frontiera - solitaria sonatina, e una
Fiamma ('37) che
arde ancora al Metropolitan. Arriva Peggy Guggenheim - calda mecenate che inaugurando una propria galleria
fa un contratto a Pollock (e a Hofmann sgocciolatore come già Gorky che chiosava Picasso e Masson
ch'emulavano Max Ernst), gli fa mostre, prestiti, gli commissiona un Murale per il proprio
appartamento ('43, ora
nel refettorio dell'università dell'Iowa). Muore Roosevelt, Hiroshima è straziata, l'Europa a
pezzi. Grosso, col suo ciuffetto biondo cenere, il mezzo sorriso da contadino impacciato e poco discorsivo,
Pollock che
da ubriaco si denuda ai ricevimenti, è incapace di disegnare, fa direttamente colare i segni dai tubetti,
dai barattoli,
stile "allover", tenta i primi "dripping", via i pennelli, i cavalletti, usa stecche, spatole, coltelli, tele non
preparate,
stese sul pavimento, prende contatto all'indiana, e le riempie da parte a parte di selvagge e trascendentali linee
a frusta, di geometriche macchie un po' speculari all'ordinamento di Mondrian, alla scaturigine celtica, alle ansie
e alle grida espressioniste di Munch. Sono tele pregne di abbandono, di serpentelli vivi, fangosi, di scritture
senza
storie, di calligrammi alterati, di lave nere scagliate a terra dall'inconscio, jazz sporco, disordinato e resistente
che
battaglia con celesti cabalette ottocentesche, tele titaniche per selvaggi muri americani, per avventi
paradigmatici,
viscerali, tele colpite da sabbia e vetri colorati, di lacche e siliconi, d'amianto e sassi, tele di numeri gessati e
una
Cattedrale ('47) d'action Painting ('48, al Centre Pompidou, biglietto d'ingresso,
martedì chiuso). Jack Pollock
passa gli stupiti e voraci anni cinquanta alle Biennali di Venezia, con mostre personali in Europa e soprattutto
a
Parigi. Il suo lavoro è filmato da Hans Namuth, terapie di gruppo, di chemio, omeopatie, alzandosi tardi
criticato
dai vicini, in orientale attesa della frenesia ormai ripetitiva che lo fa dipingere poco e deprimere molto. Flirta
con
una studente d'arte, e una sera accompagnandola a un concerto, ubriaco, si uccide sbattendo l'auto. E' il
1956, Warhol fotograferà tutto. Un anno dopo il franco canadese Kerouac pubblica On the
road, l'eversione
d'una "beat generation" che da Corso a Ferlinghetti, dall'Atlantico al Pacifico, nel nuovo Howl
di Ginsberg, fa
saltare tante repressioni e tante educazioni fra sgolate musicalità corali. "Che cosa vorrei diventare
è difficile dirlo.
Un artista, in qualche modo." (Jackson Pollock Lettere, riflessioni, testimonianze edizioni SE a
L. 22.000). Un
artista che in qualche modo ha demolito la pittura rendendola solo epigone, un artista che ha lanciato sulle sue
opere energie e discordie, interi patimenti, ingarbugliate e sconosciute anarchie, fonti di nessuna
casualità ("ciò
che è esteriore è interiore") come certe spinte disperate che nel dubbio non si elevano temendo
la dionisiaca
scoperta di sé, la supremazia dell'istinto gradevole sensazione.
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