Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 201
giugno 1993 - luglio 1993


Rivista Anarchica Online

L'eterno ritorno
di Antonio Cardella

Mentre scrivo, Palermo commemora Falcone, Borsellino e quanti ebbero la vita stroncata da attentati di mano mafiosa. Di mano mafiosa, si badi, ma ispirati da chissà quanti padrini che trasversalizzano il composito scenario del potere in Italia.
Dal pulviscolo che fitto si leva dopo le esplosioni antiche e recenti, emergono appena, per subito scomparire, facce ben note e altre di cui è ancora difficile tracciare un identikit sia pure sommario.
Il fatto è che, malgrado le rumorose «vittorie» dello stato sulla delinquenza organizzata, quanti hanno vissuto questi ultimi decenni con animo vigile, attenti a non perdere le tracce, spesso bene occultate, del malaffare nazionale, si sentono assai poco tranquillizzati. Il ragionamento che costoro fanno è semplice. Se si essicca il ceppo di un tronco che aveva ramificazioni diffuse e radici profonde nella società civile, poiché quest'ultima non ha mutato di un'acca la trama dei suoi valori, la logica dei suoi interessi, dove alligna allora il nuovo ceppo?
Per quel che vale, il mio convincimento l'ho già manifestato, ed è che questa che si va sgretolando è mafia delle vecchie cosche, ormai marginalizzata a smaltire i residui di settori economici un tempo primari come la droga, e ad organizzare, per i capi come Riina, una soluzione dignitosa per la rinuncia al ruolo attivo, onde por fine ad una clandestinità divenuta insostenibile e, soprattutto, inutile.
E con la mala pianta di questa mafia, sfioriscono anche i suoi referenti politici. Questi ultimi finiscono male, disperati, senza neppure un briciolo di dignità. E da disperati, tentano di rimanere a galla sbracciando scompostamente, aggrappandosi disperatamente a qualunque cosa galleggi accanto a loro, incuranti di affrettare, con la propria fine, la fine di tanti altri loro simili.

Ingozzarsi di merendine
Ma l'agonia di un'epoca può durare a lungo, e, in questo senso, è ingannevole il clima da cupio dissolvi che si respira in questa primavera del 1993. Se tutti chiedono «il nuovo» e mostrano di volere buttare dalla finestra, come una volta si usava a capodanno, le suppellettili inservibili, ebbene, non c'è alcuno che, interrogato su questo «nuovo» così insistentemente invocato, non si trinceri dietro il vago più vieto: l'onestà, la democrazia, la giustizia e via di questo passo, come se, a fondamento di questi valori non necessiti preliminarmente una comunità realizzata, che progetti il proprio modello di sviluppo in modo da considerare impliciti - e, quindi, ineliminabili e imprescindibili - tali valori. Che, viceversa, albergano molto lontani dalle nostre contrade e che, per vedere luce, richiedono sempre sacrifici umani.
E un popolo che ha bisogno di vittime sacrificali a sublimazione della cattiva coscienza nazionale, è un popolo malato e, ad esorcizzarne le tare, non bastano i rituali delle marce o delle veglie, con il coinvolgimento di innocenti che, innocentemente, finita la cerimonia, tornano a casa a tormentare i genitori per ottenere l'ultimo jeans firmato o a disdegnare il buon pane per ingozzarsi di merendine costosissime marcate Mulino Bianco. Questo per dire che i vizi dei padri sono purtroppo ereditati dai figli.
Anche noi, infatti, che da bambini abbiamo vissuto la terribile stagione del secondo conflitto mondiale e che, per necessità, conoscevamo il valore del risparmio, non è che, una volta usciti dal tunnel, avessimo scelto con oculatezza la via di un'economia non distorta, fondata su ricchezza vera, per scarsa che fosse, e non mortificasse i deboli a tutto vantaggio dei potenti. Ci mettemmo, viceversa, a costruire con alacrità i canali dello spreco, presupposto di ogni sopruso ed incentivo alle malversazioni di ogni specie. Fu allora che consegnammo il Sud allo Stato-Mafia e il Nord a banditi di altra natura, ben vestiti e diversamente arroganti, magari con l'erre moscia, ma spietati nel perseguire il loro tornaconto a spese della comunità.

Le consorterie degli affari
E vedete come, anche in questa direzione, le cose non mostrano di cambiare, se Giovanni Agnelli, sopravvissuto splendidamente (e ovviamente) alle molte traversie nazionali, è ancora lì a pretendere dai giudici, con l'arroganza di sempre, che la FIAT, per reati accertati e confessati, non sia processata; che ancora, per l'ennesima volta, l'emblema del capitalismo, il fiore all'occhiello dell'imprenditoria italiana, goda di un trattamento di favore, probabilmente lasciando trapelare, dalle parole sibilate tra le labbra sottili, il ricatto di una pesante controffensiva dei potentati suoi simili contro chiunque, uomini o istituzioni, si schierasse contro le consorterie degli affari. E che questa ipotesi del ricatto sia tutt'altro che campata in aria, lo testimonia, nel concreto delle scelte politiche, l'indirizzo dato da Scalfaro alla più recente crisi di governo. Senza volere entrare nel merito delle qualità personali, Ciampi è senza dubbio l'uomo che, dietro il paravento di indirizzi economici astratti, ha continuato a scaricare sui lavoratori l'intero peso della crisi, favorendo in ogni modo - con le manovre sui tassi soprattutto e continuando a rifiutare ogni intervento sulle rendite parassitarie - l'oligopolio della finanza e della grande industria multinazionale.
C'è certamente di che rallegrarsi che Andreotti corra il rischio di andare sotto processo, ma ci sembra sbagliato enfatizzare il significato ed il peso di questo evento (del resto ancora da avvenire). Andreotti è stato certamente il garante di una subalternità acritica del sistema Italia alla potenza e alla prepotenza americana. Nei quasi cinquantanni della sua carriera politica, tutta consumata ai vertici del potere, l'Italia è stata terra di conquista per la salvaguardia degli interessi americani in Europa; e di frontiera contro la pressione militare dell'Est; ma è stata anche la terra dove si sono attestati il prepotere dei partiti nell'assalto portato alle istituzioni; quello delle organizzazioni propriamente malavitose e quello dei poteri occulti dello stato: i servizi segreti, le logge massoniche, i presidi di Gladio. Ebbene, se anche l'immagine di Andreotti sparisse dall'albo di famiglia della nomenklatura italiana, corrosa dall'usura e, diciamolo pure, dalla naturale conclusione della parabola biologica di una interminabile presenza alla ribalta politica, non appare per nulla tramontata l'era delle stragi senza colpevoli (a meno che non si addossi tutto alla mafia, buona per tutte le occasioni e per tutte le stagioni); delle trame occulte agite da personaggi senza volto, che si indovinano, per esempio, dietro i comportamenti allusivi di un Cossiga; nelle congiure del capitalismo internazionale che, anche sotto l'aspetto del bonario Ciampi, mira - manovrando la speculazione come arma di ricatto - ad una concentrazione spaventosa e soffocante della ricchezza, con la conseguente desertificazione di sempre più ampie zone geografiche (Abbiamo già scritto come, in questo senso, il trattato di Maastricht sia emblematico).

Ma quale rinnovamento?
Come vedete, compagni, a fronte di questi, che sono solo i principali problemi che ci affliggono, aggravati da una sinistra che ha svenduto l'intero suo patrimonio di cultura e di militanza, e che balbetta - in Italia e in Europa - frasi sconnesse e incomprensibili, le sorti degli Andreotti, dei Craxi o dei Forlani sono eventi davvero trascurabili: quel che conta è il bilancio di ciò che muore con loro e di ciò che a loro sopravvive. E a me pare che, nella sostanza, è molto di più ciò che, di loro, a loro sopravvive.
Domenica, 23 maggio, nella basilica di S. Francesco d'Assisi, a Palermo, dove si commemoravano le vittime di Capaci, un fragoroso applauso ha accolto l'ingresso del ministro della giustizia, Giovanni Conso. A battere le mani erano comuni cittadini, quelli stessi sulla cui testa si giuocano tutte le partite dei poteri locali e nazionali. Ebbene, non vi nascondo che fui percorso da un brivido: l'uomo che aveva tentato con il collega Amato, di mandare affrancati da ogni pena i politici corrotti e che non poteva essere tanto rincoglionito da non sapere che con la farsa del procedimento amministrativo nulla sarebbe stato restituito del maltolto, né dai singoli, né dai partiti, ebbene, quest'uomo era assunto dalla folla come il simbolo del rinnovamento. Peggio di così!