Rivista Anarchica Online
L'eterno ritorno
di Antonio Cardella
Mentre scrivo, Palermo commemora Falcone, Borsellino e quanti ebbero la vita
stroncata da attentati di mano
mafiosa. Di mano mafiosa, si badi, ma ispirati da chissà quanti padrini che trasversalizzano il composito
scenario del potere in Italia. Dal pulviscolo che fitto si leva dopo le esplosioni antiche e recenti, emergono
appena, per subito scomparire,
facce ben note e altre di cui è ancora difficile tracciare un identikit sia pure sommario. Il fatto
è che, malgrado le rumorose «vittorie» dello stato sulla delinquenza organizzata, quanti hanno vissuto
questi ultimi decenni con animo vigile, attenti a non perdere le tracce, spesso bene occultate, del malaffare
nazionale, si sentono assai poco tranquillizzati. Il ragionamento che costoro fanno è semplice. Se si
essicca il
ceppo di un tronco che aveva ramificazioni diffuse e radici profonde nella società civile, poiché
quest'ultima
non ha mutato di un'acca la trama dei suoi valori, la logica dei suoi interessi, dove alligna allora il nuovo ceppo?
Per quel che vale, il mio convincimento l'ho già manifestato, ed è che questa che si va
sgretolando è mafia delle
vecchie cosche, ormai marginalizzata a smaltire i residui di settori economici un tempo primari come la droga,
e ad organizzare, per i capi come Riina, una soluzione dignitosa per la rinuncia al ruolo attivo, onde por fine
ad una clandestinità divenuta insostenibile e, soprattutto, inutile. E con la mala pianta di questa
mafia, sfioriscono anche i suoi referenti politici. Questi ultimi finiscono male,
disperati, senza neppure un briciolo di dignità. E da disperati, tentano di rimanere a galla sbracciando
scompostamente, aggrappandosi disperatamente a qualunque cosa galleggi accanto a loro, incuranti di affrettare,
con la propria fine, la fine di tanti altri loro simili.
Ingozzarsi di merendine Ma l'agonia di un'epoca può durare a lungo,
e, in questo senso, è ingannevole il clima da cupio dissolvi che si
respira in questa primavera del 1993. Se tutti chiedono «il nuovo» e mostrano di volere buttare dalla finestra,
come una volta si usava a capodanno, le suppellettili inservibili, ebbene, non c'è alcuno che, interrogato
su
questo «nuovo» così insistentemente invocato, non si trinceri dietro il vago più vieto:
l'onestà, la democrazia,
la giustizia e via di questo passo, come se, a fondamento di questi valori non necessiti preliminarmente una
comunità realizzata, che progetti il proprio modello di sviluppo in modo da considerare impliciti - e,
quindi,
ineliminabili e imprescindibili - tali valori. Che, viceversa, albergano molto lontani dalle nostre contrade e che,
per vedere luce, richiedono sempre sacrifici umani. E un popolo che ha bisogno di vittime sacrificali a
sublimazione della cattiva coscienza nazionale, è un popolo
malato e, ad esorcizzarne le tare, non bastano i rituali delle marce o delle veglie, con il coinvolgimento di
innocenti che, innocentemente, finita la cerimonia, tornano a casa a tormentare i genitori per ottenere l'ultimo
jeans firmato o a disdegnare il buon pane per ingozzarsi di merendine costosissime marcate Mulino Bianco.
Questo per dire che i vizi dei padri sono purtroppo ereditati dai figli. Anche noi, infatti, che da bambini
abbiamo vissuto la terribile stagione del secondo conflitto mondiale e che,
per necessità, conoscevamo il valore del risparmio, non è che, una volta usciti dal tunnel,
avessimo scelto con
oculatezza la via di un'economia non distorta, fondata su ricchezza vera, per scarsa che fosse, e non mortificasse
i deboli a tutto vantaggio dei potenti. Ci mettemmo, viceversa, a costruire con alacrità i canali dello
spreco,
presupposto di ogni sopruso ed incentivo alle malversazioni di ogni specie. Fu allora che consegnammo il Sud
allo Stato-Mafia e il Nord a banditi di altra natura, ben vestiti e diversamente arroganti, magari con l'erre
moscia, ma spietati nel perseguire il loro tornaconto a spese della comunità.
Le consorterie degli affari E vedete come, anche in questa direzione, le cose
non mostrano di cambiare, se Giovanni Agnelli, sopravvissuto
splendidamente (e ovviamente) alle molte traversie nazionali, è ancora lì a pretendere dai
giudici, con
l'arroganza di sempre, che la FIAT, per reati accertati e confessati, non sia processata; che ancora, per l'ennesima
volta, l'emblema del capitalismo, il fiore all'occhiello dell'imprenditoria italiana, goda di un trattamento di
favore, probabilmente lasciando trapelare, dalle parole sibilate tra le labbra sottili, il ricatto di una pesante
controffensiva dei potentati suoi simili contro chiunque, uomini o istituzioni, si schierasse contro le consorterie
degli affari. E che questa ipotesi del ricatto sia tutt'altro che campata in aria, lo testimonia, nel concreto delle
scelte politiche, l'indirizzo dato da Scalfaro alla più recente crisi di governo. Senza volere entrare nel
merito
delle qualità personali, Ciampi è senza dubbio l'uomo che, dietro il paravento di indirizzi
economici astratti, ha
continuato a scaricare sui lavoratori l'intero peso della crisi, favorendo in ogni modo - con le manovre sui tassi
soprattutto e continuando a rifiutare ogni intervento sulle rendite parassitarie - l'oligopolio della finanza e della
grande industria multinazionale. C'è certamente di che rallegrarsi che Andreotti corra il rischio di
andare sotto processo, ma ci sembra sbagliato
enfatizzare il significato ed il peso di questo evento (del resto ancora da avvenire). Andreotti è stato
certamente
il garante di una subalternità acritica del sistema Italia alla potenza e alla prepotenza americana. Nei
quasi
cinquantanni della sua carriera politica, tutta consumata ai vertici del potere, l'Italia è stata terra di
conquista
per la salvaguardia degli interessi americani in Europa; e di frontiera contro la pressione militare dell'Est; ma
è stata anche la terra dove si sono attestati il prepotere dei partiti nell'assalto portato alle istituzioni;
quello delle
organizzazioni propriamente malavitose e quello dei poteri occulti dello stato: i servizi segreti, le logge
massoniche, i presidi di Gladio. Ebbene, se anche l'immagine di Andreotti sparisse dall'albo di famiglia della
nomenklatura italiana, corrosa dall'usura e, diciamolo pure, dalla naturale conclusione della parabola biologica
di una interminabile presenza alla ribalta politica, non appare per nulla tramontata l'era delle stragi senza
colpevoli (a meno che non si addossi tutto alla mafia, buona per tutte le occasioni e per tutte le stagioni); delle
trame occulte agite da personaggi senza volto, che si indovinano, per esempio, dietro i comportamenti allusivi
di un Cossiga; nelle congiure del capitalismo internazionale che, anche sotto l'aspetto del bonario Ciampi, mira
-
manovrando la speculazione come arma di ricatto - ad una concentrazione spaventosa e soffocante della
ricchezza, con la conseguente desertificazione di sempre più ampie zone geografiche (Abbiamo
già scritto come,
in questo senso, il trattato di Maastricht sia emblematico).
Ma quale rinnovamento? Come vedete, compagni, a fronte di questi, che
sono solo i principali problemi che ci affliggono, aggravati da
una sinistra che ha svenduto l'intero suo patrimonio di cultura e di militanza, e che balbetta - in Italia e in Europa
- frasi sconnesse e incomprensibili, le sorti degli Andreotti, dei Craxi o dei Forlani sono eventi davvero
trascurabili: quel che conta è il bilancio di ciò che muore con loro e di ciò che a loro
sopravvive. E a me pare
che, nella sostanza, è molto di più ciò che, di loro, a loro sopravvive. Domenica,
23 maggio, nella basilica di S. Francesco d'Assisi, a Palermo, dove si commemoravano le vittime
di Capaci, un fragoroso applauso ha accolto l'ingresso del ministro della giustizia, Giovanni Conso. A battere
le mani erano comuni cittadini, quelli stessi sulla cui testa si giuocano tutte le partite dei poteri locali e
nazionali. Ebbene, non vi nascondo che fui percorso da un brivido: l'uomo che aveva tentato con il collega
Amato, di mandare affrancati da ogni pena i politici corrotti e che non poteva essere tanto rincoglionito da non
sapere che con la farsa del procedimento amministrativo nulla sarebbe stato restituito del maltolto, né
dai
singoli, né dai partiti, ebbene, quest'uomo era assunto dalla folla come il simbolo del rinnovamento.
Peggio di
così!
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