Rivista Anarchica Online
L'autonomia dell'evento
di Francesco Ranci
Come e perché si correlano due notizie rendendole una. Il caso dei recenti scontri in Danimarca e il voto
su
Maastricht.
Si suppone che, in un Paese libero e democratico, sulle questioni di maggiore
importanza si trovino a discutere
partiti contrapposti. Nulla di tutto questo avviene, invece, riguardo a quel processo di integrazione «europea»
che sta coinvolgendoci. Le informazioni che abbiamo ricevuto da parte degli organi preposti, a proposito
del recente referendum svoltosi
in Danimarca, sono una lampante dimostrazione di come su questo tema la posizione politica legittimata sia una
sola; infatti, a chi la pensasse diversamente una vera e propria identità politica non viene riconosciuta.
Come
è noto, i danesi avevano respinto - ben poco tempo fa - la proposta di aderire al trattato di Maastricht.
Il
referendum del 19 maggio ha perciò costituito, di per sé, una forzatura della volontà
popolare; i danesi, infatti,
sono stati chiamati ad esprimersi nuovamente, con il pretesto di alcune modifiche - presumibilmente di nessun
interesse - apportate al trattato. Ma nonostante la pressione internazionale, per cui il fronte del «sì»,
stando ai
voti già ottenuti dai partiti danesi, avrebbe dovuto raccogliere grossomodo il 90% dei consensi, il «no»
ha
raccolto - eventuali brogli elettorali a parte - il 43% dei voti. Si può dire una vittoria, o quasi.
Tralasciamo lo
spettacolo offerto dalle televisioni, e soffermiamoci invece, per comodità, su quello, peraltro non meno
penoso,
offertoci da alcuni dei principali quotidiani. Di fronte a questa situazione, molto simile a quella verificatasi in
Francia poco tempo fa, si deve rilevare che la stampa inizia a far ricorso alla categoria di «anarchico», per
designare tutti coloro che hanno votato «no» - e che dovranno pagarne le conseguenze -; saremmo, dunque, alla
prima maggioranza assoluta raggiungibile da un partito anarchico nella storia dell'umanità.
Piazza e squatter Agli «anarchici» viene attribuita,
specificatamente, la prerogativa di reagire con violenza, come se un anarchico
potesse perdere le staffe a causa di un referendum, secondo il classico stereotipo criminalizzante per cui
l'anarchico, non riconoscendo legittimità ai sistemi «rappresentativi» di gestione del potere dell'uomo
sull'uomo,
sarebbe allora propenso a commettere atti di violenza - atti dettati da quel presunto maligno che albergherebbe
in ogni individuo, e da cui chi detiene il potere proclama di saper e poter difendere, sempre e comunque, chi
quel potere deve subire. Vediamo, dunque, questo campionario dell'informazione di regime. «Il Corriere
della sera» (20 maggio 1993),
afferma che dopo il sì danese a Maastricht sui mercati c'è grande ottimismo; ma,
subito dopo, apre una
parentesi per avvertire che i fautori del «no» si sono scontrati con la polizia.
L'allarme viene enfatizzato, per esempio, da «l'Unità» che parla di Saccheggi e
incendi a Copenaghen / una
notte di guerriglia urbana macchia il referendum europeista (titolo solo a p. 15). I fautori del «no»,
per poter reggere - dal punto di vista semantico - lo scontro violento con la polizia, senza che
esso diventi nella mente di chi legge una vera e propria insurrezione del popolo danese, diventeranno poi «gli
anarchici» nelle pagine interne del Corriere (Copenaghen, 24 ore di rivolta per sfidare il
sì all'Europa! Gli
anarchici prendono a sassate la polizia, decine di feriti, titolo a p. 9). Soddisfatto di aver
surrettiziamente spacciato questo processo di «ri-categorizzazione», tramite il quale i due
eventi sono fittiziamente correlati, il Corriere si dilunga nella descrizione dei cosiddetti «Bz», cioè
coloro cui
effettivamente viene attribuita la responsabilità dello «scontro» con la polizia. Il fatto che «gli
anarchici» prendano a sassate la polizia sarebbe giustificato dal semplice fatto che i «Bz» si
«autodefiniscono anarchici»; come se, ad esempio, il fatto che il Papa si autodefinisce «cristiano», consentisse
di affermare che i cristiani ammettono la pena di morte. «La Repubblica» parla di un gruppo
«anarchicheggiante» (mostruosità linguistica su cui ci si potrebbe soffermare). Per «Il Giorno», tali
giovani, che,
ripete, si «autodefiniscono anarchici», sono invece «gli squatter», così come per l'Unità, che
non fa uso della
categoria di «anarchico» (come il «Manifesto» e «L'Indipendente»); per l'«Indipendente» si tratta di
«centinaia
di disoccupati», più alcuni «giovani armati, occupanti abusivi di case». I rapporti con il fronte del «no»
si fanno
sempre più problematici. Tuttavia, lo stesso Giorno propone ancor più esplicitamente il
rapporto instaurato dal Corriere e, inserendo un
elemento di mediazione, dice che Il «no» sconfitto in Danimarca scatena la piazza (titolo in prima
pagina). La
«piazza» essendo non più gli «squatter» ma, visto che si trovano appunto in piazza a battagliare con
la polizia,
scatta la ri-categorizzazione ed ecco «alcune centinaia di giovani anarchici», che, purtroppo per loro, avrebbero
«costretto» la polizia a «sparare» (prima pagina). Ancora più pesante la formulazione del
«Giornale», che parla addirittura di Sparatoria a Copenaghen (prima
pagina), precisando poi che circa quattrocento «anarchici» avrebbero affrontato gli agenti «con pietre e
bastoni»,
costringendoli a sparare «prima in aria e poi ad altezza d'uomo». Si tratterebbe di «teppisti» (p. 11), ossia
di un «movimento che vive nell'illegalità e si richiama a slogan
anarchici» (assunti da cui viene legittimata la frase: «un gruppo di anarchici ha distrutto e saccheggiato alcuni
negozi»). Per il Giornale, così come per la Repubblica, a tirare le fila dietro le quinte sarebbe il
«Movimento
2 giugno» - di cui un rappresentante viene definito come un «alfiere» del «no» -, che chiederebbe nuove
elezioni
minacciando che «gli incidenti potrebbero ripetersi». Mentre L'Unità, con maggiore cautela, si limita
a sostenere
che il quartiere di Norrebro, sede ufficiale degli «squatter», era «una delle roccaforti del no» (proponendo una
distinzione che tuttavia non intacca la correlazione di base fra fautori del no e occupanti del quartiere di
Norrebro).
Operazione ideologica Il titolo de «L'indipendente», invece, attribuisce una
sorta di istinto violento, anziché premeditazione e delega
degli atti violenti agli anarchici, ai sostenitori del «no» - o, almeno, ad una parte di essi, definiti in modo del
tutto inedito come «anticomunitari» (dopo gli extra-comunitari da importare, ecco gli anti-comunitari da
esportare), titolando (a p. 21) così: Il sì scatena un finimondo/ Duri scontri fra un gruppo
di «anticomunitari»
e la polizia danese. Un agente in coma. Analogamente il Manifesto titola: Dopo il sì alla CEE,
gli scontri; e
sostiene che l'evento, considerato evidentemente una reazione diretta del fronte del «no», sarebbe conseguenza
della «crisi economica», che spingerebbe a «cercare obiettivi per la propria rabbia» nella «burocrazia di
Bruxelles» - troppo «lontano» per i gusti del quotidiano comunista. La crisi economica, secondo il Manifesto
(che, pur tutelando interessi diversi ha lo stesso genere di preoccupazioni del Giornale, che sottolinea come
nonostante la sparatoria i mercati fanno festa) «distrugge tutto, anche le coscienze»; come dire che chi si oppone
alla CEE - e cioè «i giovani del quartiere di Norrebro», che tuttavia non si accorgerebbero di essere in
compagnia dei «conservatori inglesi» e praticamente di nessun altro - non sa quello che fa. Alla conclusione,
lo stesso Corriere (p. 9) riporta le dichiarazioni del primo ministro danese secondo cui «tutto fa pensare che
si
trattasse di una rissa già programmata», e che si è trattato di un «caso isolato» per la cui
responsabilità non si
può «penalizzare il fronte del «no»; fronte che, in tutta questa storia, ha perso come si diceva ogni
diritto di
parola, se non di esistenza politica, conservando solo quello di «minacciare» nuovi scontri di piazza. Il che
viene
a confermarci che il rapporto di causa ed effetto, posto fra due eventi ben distinti - l'esito del referendum e la
notte di «guerriglia» -, sebbene sorretto da una ampia operazione ideologica, sbattuto in prima pagina ed
enfatizzato in tutte le maniere, esplicitamente ed implicitamente, non ha, invece, alcun fondamento. E ancor
meno risulta plausibile la contestuale accusa rivolta agli «anarchici», alla cui ideologia, invece, è
palesemente estranea la problematica del referendum in questione. Un rapporto di causa ed effetto ed una
accusa, dunque, chiaramente strumentali, rivolti semplicemente a
demonizzare ogni opposizione ai fautori dell'Europa Comunitaria. Per questo fine, di due notizie se ne fa una
sola, per imporre un valore.
*La Repubblica, che affronta il problema a p. 15, dopo un titolo come Copenaghen, guerriglia
urbana / la polizia spara
e ferisce 10 persone, spiega e legittima il comportamento dei poliziotti con il loro esser privi del
necessario
«addestramento specifico»; così, mentre per la Repubblica «la tragedia è stata evitata per
caso», secondo l'Unità, invece,
andrebbe applicato uno schema deterministico, perché sarebbe giunto l'«ordine, via radio, di mirare alle
braccia e alle
gambe dei dimostranti più minacciosi». ** Il Corriere instaura il rapporto fra esito del referendum
e scontri di piazza in prima pagina, come inciso in un articolo
dedicato alle ripercussioni economiche del voto, poi in un articolo interno accusa gli anarchici, poi i «Bz», e
infine
scagiona il fronte del «no», concludendo in palese auto-contraddizione; Manifesto, Giornale e Giorno scelgono
il titolo
prima pagina, con la differenza che il Giornale accusa subito gli anarchici per poi passare alla presunta
complicità del
«no», mentre il Giorno accusa direttamente il «no» di manovrare gli «anarchici» (al Manifesto interessa
comunque lo
scontro di piazza); Unità, Indipendente e Repubblica presumibilmente gradiscono meno le notizie e
l'operazione ideologica
di regime, e la riservano per le pagine interne.
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