Rivista Anarchica Online
Dalla Maremma a Milano
di Anastasia Pasquinelli
È uscita in questi mesi la prima biografia di Luciano Bianciardi, scrittore
nato a Grosseto nel 1922 e morto a
Milano di cirrosi epatica alla fine del 1971. La vita agra, romanzo in gran parte autobiografico
uscito a Milano
nel '62, fu il suo capolavoro che assicurò al Bianciardi un buon successo ma che egli non seppe o forse
meglio
non volle sfruttare. La biografia di questo scrittore, assolutamente anomalo nel panorama letterario italiano,
s'intitola Vita agra di un anarchico, ed ha per sottotitolo Luciano Bianciardi a Milano
(Baldini & Castoldi,
Milano, 1993, lire 20.000). Il suo autore, il giornalista Pino Corrias, dà quindi, correttamente come
vedremo,
al Bianciardi la qualificazione di anarchico fin dal titolo, e vediamo subito perché. Il Bianciardi si
trasferì
definitivamente da Grosseto a Milano nel '54 con un contratto di collaborazione con la Casa Feltrinelli, che
Giangiacomo stava mettendo in piedi proprio in quel periodo ed al quale il nome di Bianciardi, già
laureato in
Lettere alla Normale di Pisa, era stato fatto dai fondatori e collaboratori del periodico comunista «Il
Contemporaneo». Ma ne La vita agra la motivazione della salita dalla Maremma a Milano dell'Io
narrante è
sublimata e trasfigurata: ve lo spinge solo il desiderio di vendicare sulla odiata Soc. Montecatini la strage di 43
minatori verificatasi per una fuoriuscita di grisù nel maggio '54 nella miniera di lignite di Ribolla,
sfruttata da
quella società oltre ogni limite di normale prudenza. Nel romanzo, l'Io narrante vagherà a lungo
per la capitale
lombarda per studiare l'ubicazione degli immensi uffici della società nei quali egli sembra fermamente
intenzionato a depositare una forte carica esplosiva per distruggerli, in nome di quei 43 poveri morti. Ma poi
questa forte volontà iniziale, nel romanzo, sfuma gradualmente, e l'intellettuale un poco alla volta
finisce con
l'adattarsi, bene o male, ma più male che bene, al trantran vorticoso della capitale lombarda, ormai presa
da
quella sorta di convulsione collettiva che fu il miracolo economico di fine anni '50 - inizio '60, da lui
magistralmente descritto. Il Bianciardi però rimase volutamente ai margini di quel fenomeno, come
appare da La vita agra che nella
seconda parte è più scopertamente autobiografica: da perfetto anarchico, quando gli arrise il
cosiddetto
«successo» (sostantivo che egli rifiuta come tale: lo ammette solo come participio passato del verbo
«succedere»), egli rifiuterà senza esitazioni un'allettante offerta di collaborazione esterna ma fissa
fattagli dal
Corriere della Sera, l'odiato organo di stampa dei «padroni», preferendo riprendere la solita vita disperata di
traduttore dall'inglese dei testi più svariati, con l'assillo delle scadenze da rispettare, e con l'invio
regolare della
metà di tutte le entrate alla famiglia legittima lasciata a Grosseto: avrà infatti lasciato fin dal
'56 il lavoro alla
Feltrinelli, per la sua incapacità di rispettare gli orari d'ufficio, ma più che altro per una
incompatibilità «di
pelle» col suo titolare. Scanzonato, di carattere scontroso, dalla battuta facile e tagliente, questo toscano
autentico fino al midollo intuì
con grande lucidità l'evoluzione che il nord-Italia stava per avere in quegli anni; dotato di grande
intelligenza
e di ottima cultura, nonostante poche e salde amicizie fu e rimase un isolato, che ostinatamente si rifiutò
di
inserirsi nell'onda di piena verificatasi in Italia negli anni del «miracolo», preferendo restar fedele a quei 43
poveri minatori e ad una Maremma sempre amata con infinita nostalgia ma che negli anni '70 ormai non esisteva
più, completamente travolta dalle nuove mode e dalle nuove ideologie consumistiche. Nella sua
biografia, il Corrias ripercorre il triste itinerario di vita di questo interessante scrittore,
accompagnandolo con il puntuale riscontro della sua opera letteraria (oltre a La vita agra egli
scrisse
L'integrazione e Il lavoro culturale) cui egli dedicava regolarmente le sue ore
domenicali, non potendo
distogliere gli altri sei giorni dal proprio lavoro di traduttore. Ne risulta un costante contrappunto fra produzione
letteraria e vita vissuta che rende molto bene il continuo quotidiano assillo che contrassegnò la vita
infelice di
questo autore, agra appunto, tanto da rendere inevitabile il suo progressivo scivolamento nell'oblio dell'alcool.
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