Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 201
giugno 1993 - luglio 1993


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Etica con il trucco

Lui e lei s'incontrano, si gironzolano un po' attorno e poi fanno l'amore. La cosa va avanti per un po' fino a quando lui, guardando fuori dalla finestra la Parigi notturna, dice «vieni qui, che ho da dirti una cosa». Lei va fiduciosa fra le sue braccia e lui prosegue, «sai, sono sieropositivo». E lo sapeva, prima di far l'amore con lei? Eccome che lo sapeva. E perché non gliel'ha detto? A quest'ultima domanda, lui, con un'alzata d'ingegno, risponde: «Sai, il virus io non lo sento come una parte di me». Diciamo che così il dibattito etico proposto da Cyril Collard in «Notti selvagge» è bello che impostato. Ma, sviluppo del film alla mano, anche bello e risolto. Punto primo, lei, anziché mandarlo a quel paese, prima si arrabbia un po' ma per amarlo presto più di prima. Dunque la spiegazione la prende per buona, e neppure le passa per l'anticamera del cervello che, consapevolmente o meno, al mondo si racconta storie per il proprio comodo tornaconto Che lui la tradisca con questo e con quello, che si butti in ammucchiate pluri e omosessuali, che la ferisca nell'indifferenza dei propri torpori, per lei sembra tutto grasso che cola. Lui si crogiola nel «cupio dissolvi» e lei lo interpreta benevolmente come manifestazioni di eroismo romantico. La benevolenza è tale, e talmente insistita, reiterata in tutte le tonalità - dall'urlo al sussurro -, da far pensare che, quantomeno, sia condivisa dal narratore. Punto secondo, c'è anche il caso in cui lui si taglia a bella posta per utilizzare il proprio sangue infetto come arma, contro una banda di destrorsi razzisti che stanno infierendo sull'amico immigrato e che guarda caso sono gli stessi che organizzano sesso «deviato». Come dire: avrà l'aids, ma è comunque dalla parte giusta della barricata, ama la vita e la democrazia. Punti in più, diffusi qua e là, valorizzazioni positive a piene mani in discorsi fatti, voci fuori campo tutte a credito del personaggio, sguardi lontani e sognanti umanità migliori, canzoni canticchiate a testimonianza di creatività poetica e bacio all'infermiera. Conclusione: se ci aggiungiamo che lei sembrerebbe (!) non aver contratto il virus (argomento particolarmente ignobile, perché non è molto «democratico» giudicare un atto solo dall'effetto che ha avuto), è ovvio che il nostro vada assolto con la formula piena. Eroe romantico, dunque, e non untore assassino, bisognoso di affetto e non di calci nel sedere. Detto di passaggio che il film gronda di melodramma da ogni sequenza - non riuscendo, conseguentemente, a dotare i personaggi di una storia che li incorpi in persone coerenti nel fare e nel dire -, e detto che alla voce «cinema e malattia» non ne risulta alcunché di nuovo, detto ciò, non è che io voglia, in proprio, istruire un processo etico sulla questione. Qui, mi basta rilevare come Cyril Collard, per le soluzioni narrative cui ricorre, il processo l'abbia istruito a modo suo, tendendo - com'è ovvio, parlando in definitiva di sé stesso - a metter le cose in modo tale che lo spettatore sia indotto al bacio in fronte nonché alla lacrima assolutoria. Il che, se fa parte del bagaglio quotidiano di ogni buon narratore, nel caso specifico può anche far discutere: l'aids non è una malattia inventata in un film di fantascienza, i suoi morti non sono morti cinematografici, le scelte che sta gradualmente imponendo all'umanità non sono ipotesi eleganti di un gioco di società. Beninteso, al narratore tutta la sua libertà creativa, ma a noi tutta la nostra libertà di difendercene nel momento in cui la narrazione si trasforma, in virtù di abili mosse non sempre evidenti a tutti, in un sottile e pericolosissimo discorso persuasorio.